DENTRO LA GRANDE STORIA DELL’ERMETISMO

Roma. Ermetismo, un nuovo saggio dell’editrice Atanòr

16 Febbraio  2005

Domenico Cambareri

(fonte: Parvapolis)

L’Ermetismo è una fra le più suggestive pagine della cultura tardo-antica, in cui pare che rifluiscano religioni, filosofie e misteriosofie, alchimia e, in particolare, fra tutto questo, la gnosi e le componenti fondamentali del pensiero egizio. I suoi influssi e ruoli effettivi sono stati spesso confusi e vistosamente dilatati, visto che sino al XVIII secolo si credeva in maniera generale che l’antichità degli scritti risalisse ad età molto più antiche, se non remote. Lo sviluppo degli studi nel corso del XX secolo ha accresciuto le conoscenze, tanto che sul piano storico ci si può muovere entro un quadro di riferimento generalmente condiviso. Nell’ambito della sterminata letteratura che esiste in materia, un libro lineare, agile e sintetico, frutto della “messa a punto” di una studiosa francese, Françoise Bonardel (edito dalla benemerita casa editrice massonica Atanòr, Roma, nella collana Rebis diretta da Maurizio Nicosia e Mariano Bianca, prezzo €12,00), offre la possibilità di avvicinarsi all’Ermetismo con la felice opportunità di vederlo presentato entro una più ampia prospettiva interpretativa. In questo scorrevole e godibile saggio, infatti, Françoise Bonardel, allieva di Antoine Faivre e docente all’Università di Parigi, ci presenta la via ermetica secondo la via che nasce da una duplice prospettiva, rappresentata sin dalle pagine introduttive e ben anticipata da Marco Pasi nell’introduzione. Ovvero, è la duplice prospettiva che si basa su di una condizione di maturazione tematica e terminologica introdotta in Inghilterra dalla grande studiosa Frances Yates (Hermetism, Hermeticism) e, quindi, sulle sue orme, dal non meno famoso, citato Faivre (Hemétisme e Hermétisisme) in Francia. Che ella rende, in un processo di ulteriore affinamento dell’approccio metodico-terminologico, secondo una partizione ternaria, così: «Giocando sulle tre possibilità offerte dal francese, abbiamo scelto di chiamare qui ermetico il pensiero degli Hermetica, ermetista l’insieme della tradizione esoterica occidentale, ed ermesiano [hermésien] ciò che, ispirato dal suo Verbo, incita a intraprendere un atto ermeneutico di “comprensione” gnostica». Questa nuova possibilità di chiarificazione concettuale, che può definitivamente rifuggire dall’utilizzazione della maiuscola per riferici esclusivamente all’Ermetismo in quanto tale, ovverosia al Corpus Hermeticum e, come termine ad quem, agli Hermetica di Stobeo (V secolo), consente di allargare l’analisi con un’immediata determinazione già tra ermetico ed ermetista nell’ambito stesso degli scritti e del pensiero antico, quanto fra quello di ermetista e di ermesiano rispetto al pensiero ulteriore, sino ai nostri giorni, termine ultimo il quale è da utilizzare secondo riferimenti estensivi e dilatati. L’autrice tiene ben presente, fra le tante, la definizione data da Julius Evola, laddove scrive: «Il termine tradizione dev’essere considerato qui nella sua accezione originale di trasmissione: non abitudini che difendano una tradizione passatista…ma perennità di un sapere di tipo iniziatico» e, nel puntualizzare la sua natura esoterica: «Autonomo rispetto al cristianesimo, con il quale tuttavia condivide numerosi simboli relativi alla rigenerazione e alla salvezza; indipendente dalle società iniziatiche costituite (Massoneria, Rosa Croce…) ma non deliberatamente ostile o estraneo alle loro preoccupazioni, l’ermetismo avrebbe in effetti riunito nel corso dei secoli della storia occidentale, una famiglia di persone desiderose di lavorare soprattutto al superamento di tutte le forme di dualismo. Esso sarebbe caratterizzato da un certo tipo di sensibilità, che gli consentirebbe, grazie alla sua stessa plasmabilità, di accogliere e di amalgamare vie differenti di realizzazione». Più da vicino, la studiosa focalizza la natura dell’ermetismo in questi termini: “Né fusione mistica, [a differenza della famosa interpretazione di André-Jean Festugière] né semplice riconoscimento di una trascendenza, la gnosi ermetica consiste nell’abolire le frontiere, nel demolire i compartimenti stagni che imprigionano gli esseri e nell’entrare in tal modo in ‘simpatia’ con i differenti generi e specie… Si tratta di divenire noi stessi l’Uno-Tutto attraverso l’accrescimento di quel potere di comprensione che appartiene al Nous-Dio” che consente il compimento di quello che Bonardel chiama effusione cosmica. In questa visione, l’ “Uomo è, a immagine di Ermete, il mediatore per eccellenza, il nodo materiale e spirituale in cui convergono le energie divine prima di ritornare all’Uno. Egli è al tempo stesso il vaso, la materia, la forma e il fine di ogni trasformazione”. Queste definizioni dell’ermetismo sono in grado già di anticipare la definizione cronologicamente ulteriori di ciò che definiamo con Bonardel ermetista, e che ci si dipana sino all’apoteosi del vero “Rinascimento” occidentale di questo “neo” ermetismo. Il quale non è che il magnifico, splendido risultato della Tradizione ermetica che si avvia sin dall’esaurirsi del filone propriamente ermetico in quello che in termini propriamente cronologico-occidentali chiamiamo “alto medioevo”. Da qui, innanzitutto, il recupero della tradizione da parte dei musulmani sciiti, come indicato da Lous Massignon, e quindi, tramite “una vasta corrente dai confini assai incerti, le cui ramificazioni principali sono la Filosofia occulta e la Magia naturale… parenti prossime dell’arte dell’Alchimia… si è sviluppata in Occidente a partire dal XII secolo” con i nomi di Roberto di Chester, Alberto Magmo, Tommaso d’Aquino, Ruggero Bacone, Arnaldo di Villanova. Quindi, con la Rinascenza, abbiamo quelli che Bonardel denomina i grandi conciliatori, Marsilio Ficino, Poliziano, Pico della Mirandola, visto che nel loro sincretismo fusero anche cristianesimo e cabala ebraica, in cui purtuttavia l’ermetismo “si dissolse”, determinando appunto un’interpretazione giustapposta e finalizzata all’inveramento del cristianesimo, ma che ad ogni modo ci permette di considerare il significato di questa tradizione nel termine di ermetista. Tutta la schiera di nomi che vanno da Johannes Reuchlin a Jacob Boheme a Robert Fludd a Enrico Cornelio Agrippa e a Paracelo si muoverà entro questa “sintesi ermetista”. L’ulteriore procedere del percorso, porta Bonardel a considerare la genesi e lo sviluppo dell’alchimia nel suo percorso autonomo dall’ermetismo, per quanto puntualizzi la questione delle sue origini con René Alleau, che le riporta ai culti cabiri di Samotracia, con Mircea Elide che ci fa conoscere gli antecedenti babilonesi, con Henry Corbin che ci discopre la tradizione alchemica cinese, e con Eliade, di quella indiana. La tarda tradizione ellenico-egizia, araba e occidentale giunge sino agli albori della storia moderna. Il filone ermetista e le componenti alchemiche avranno influsso rilevante ancora nell’età moderna e contemporanea, non solo nell’ambito sempre più ridotto della teosofia “operativa” ma sia in filosofia e in poesia che nelle scienze, per quanto in via marginale, in cui si configura come vera Naturphilosophie: Blake, i fratelli Schlegel, Novalis, Goethe, Schelling, Baader, Hölderlin e tanti altri ancora. Nella parte conclusiva, l’autrice si spinge verso latitudini più avanzate nella contemporaneità, ma in “L’equivoco occulto-ermetista” e in “Ermetismo ed ermeneutica” ritrovo in maniera per me non sempre convincente, e anzi talora incrociata, l’utilizzazione dei termini da lei coniati in riferimento a personaggi, correnti e momenti della vita culturale europea che definisce appunto ermetisti o ermesiani. Ecco così Loius Ménard, che ritiene di ritrovare nell’ermetismo i “movimenti intermediari” che portano Bonardel a riconfermare in esso le peculiarità di restauratore, mediatore, riunificatore; il compito ermesiano di Marcelin Berthelot; l’occulto-ermetismo che collega (ermesianamente o ermetisticamente?) concezioni del socialismo utopico e mediazioni ermetiche (come in Charles Fourier), e al contempo mira alla grande sintesi ermetista, teosofica e occultista di accordare scienza e Tradizione; il “metodo dell’ermetismo” di François Jollivet-Castellot, e poi Edouard Schuré, Baudelaire, Papus, Saint-Martin., Huysmans, Mallarmé e i simbolisti, Wagner, perfino…André Breton e i surrealisti, più intrisi di magia, per quanto finalizzata esclusivamente a fini artistici. Conclusivamente, si sofferma su quanto offre di riflessione l’ermeneutica, e in particolare l’ermeneutica simbolica e quella filosofica, come in C. G. Jung, Martin Heidegger (che, come ricorda l’autrice, non ebbe mai a dichiararsi debitore dell’ermetismo), e sul ruolo di conciliazione dei contrari Thomas Mann e Herman Hesse, Mircea Eliade, Henry Corbin, Gilbert Durand. Per quanto denigrato in questi ultimi secoli come pseudo-filosofia e come produzione del tutto marginale e non recuperabile dello spirito umano, l’Ermetismo nella sua dimensione ermetista dimostra invece per Fraçois Bonardel degna vitalità, quanto non meno negli influssi e negli imprestiti concessi alle più disparate produzioni della cultura contemporanea, sul piano dunque ermesiano, quale è il caso in Italia della poesia “ermetica”.

Domenico Cambareri

  Parvapolis

 
 

Lascia un commento