LA REGRESSIONE CULTURALE DELLA SINISTRA

2 Febbraio 2009
Mino Mini
Fonte: Il Borghese

L’ARCHITETTURA TRA BUONI E CATTIVI AL TEMPO DEL FASCISMO

Alla prima lettura delle affermazioni di Carlo Melograni rilasciate a Il Riformista nel corso di un’intervista-lancio del libro “Architettura italiana sotto il fascismo – L’orgoglio della modestia contro la retorica monumentale 1926-1945” l’impulso immediato fu di rispondere polemicamente per le rime. Trattandosi, però, di un tema sul quale si erano espressi autorevoli storici dell’architettura con posizioni critiche diverse, la curiosità di conoscere quali termini di giudizio facessero da fondamento al saggio in questione mi ha indotto all’acquisto del libro senza l’intenzione di farne una recensione. Sennonché …
L’autore, per sua stessa ammissione, non è uno storico ed è partigiano nel giudizio. Del resto basta il titolo a dire il taglio del saggio che, per 321 pagine, svolge la tesi dualistica e manichea di un mondo, quello dell’architettura sotto il fascismo, animato dal conflitto tra i buoni e i cattivi: i primi – va da sé – espressione dell’architettura moderna, i secondi dell’accademismo monumentale ( qualunque cosa significhi ). Da una parte si ebbero i buoni, illusi da un regime che aveva fatto loro balenare la possibilità di essere rappresentato, nelle grandi opere e nei piani urbanistici, dall’architettura moderna e perciò stesso “sana”; dall’altra i cattivi che, accaparratisi gli incarichi più prestigiosi, corruppero i migliori tra l’avanguardia dei modernisti costringendoli – per converso – ad elaborare progetti di architettura “malata”, pomposa, retorica, monumentale e via aggettivando in senso negativo. Ci perdoni, chi ci legge, per l’attacco di cinismo di cui diamo prova, ma stante la povertà di categorie di giudizio critico riscontrabile nel saggio ci sembra sia stata trasformata in una lotta ideologica fra il bene ed il male una umanissima, ancorché disdicevole, competizione per l’accaparramento degli incarichi come sempre si è presentata nel mondo dell’architettura. Ma vedi la storia com’è raccontata. I buoni non furono, come oggi in regime democratico, emarginati dagli incarichi ufficiali, ma costretti a ripiegare, non nelle catacombe ma alla luce del sole, nella realizzazione di opere di architettura modesta “rispondente ai bisogni del popolo – luoghi di lavoro, servizi collettivi come le scuole o le attrezzature per l’assistenza, soprattutto le abitazioni a basso costo” – nelle quali si impegnarono “a corrispondere alle istanze sociali del nostro [di allora] tempo”, mentre i cattivi realizzavano “lussuose incongruenze del corso Littorio di Milano … la scolastica megalomania dei nuovi quartieri di Bolzano monumentale, … il massacro del quartiere del Mausoleo di Augusto a Roma, … l’immorale sventramento ( o stupramento?) di Piazza S.Pietro” e via esecrando. Ed in questa ideologica lotta i buoni ebbero i loro caduti, ovviamente nella resistenza o nei famigerati campi di sterminio. Non già per scelta di campo dopo l’8 settembre o – ad ignominia dei persecutori – per essere di altra religione, ma – viene lasciato intuire – per essere stati architetti moderni incorrotti. Il taglio impresso al saggio non ha reso un buon servizio ai poveri caduti, né ai puri né alla cultura. Ciò che più indigna Melograni, però, è altro: “la prova incontrovertibile di quanta confusa e dannosa volgare disinformazione si sia propagata nel nostro campo [ quello dell’architettura ovviamente ] è che l’EUR venga ora spacciata come <<quartiere razionalista>>.” Per lui l’EUR è la massima manifestazione reazionaria .

Che a ottantaquattro anni, dopo essere stato preside della nuova facoltà di architettura dell’ateneo di Roma Tre e avendo, quindi, vissuto da accademico e da protagonista buona parte dei sessantatre anni che ci separano dal 1945, termine da lui esaminato nel suo libro, non si sia ancora reso conto dell’errore ideologico della cosiddetta architettura moderna uscita trionfante nel dopoguerra e generatrice del disastro ambientale rappresentato dalle periferie urbane, rende patetica la sua indignazione circa la qualifica razionalista attribuita all’EUR. E’ segno di regressione al ’45 l’incapacità di vedere a quali livelli di settarismo e di persecuzione i rappresentanti di questa architettura moderna trionfante sono stati capaci di pervenire nei sessantatre anni intercorsi dalla fine della seconda guerra mondiale. Settarismo e persecuzione che non si riscontrarono nei sedici anni esaminati da Melograni se tanti edifici di quel periodo portano la firma dei puri oltre che dei corrotti dell’architettura moderna che insisto a definire “cosiddetta”, ma che si sono riscontrate, invece, nelle condanne che certi sicofanti della stessa ebbero a pronunciare nei confronti dei portatori di una diversa visione dell’architettura: “non costruiranno niente di più di un gallinaio!”. Regredito al ’45 non si è sentito, ad esempio, responsabile come docente e come architetto moderno del fenomeno canceroso che, ben più del presunto massacro del quartiere del Mausoleo di Augusto, ha distrutto l’equilibrio ambientale del fronte urbano soprastante l’ex porto di Ripetta con la fantozziana corazzata Potiëmkin arenata nel Tevere rappresentata dal contenitore dell’ara pacis di Meier. Né tampoco di altre amene realizzazioni di cui potremmo parlare se non fosse che l’occasione offerta dal saggio non è quella di scendere in polemica come la rabbia covata per anni mi ha indotto, colpevolmente, a fare, ma quella di una riflessione critica sul razionalismo e sulle presunte deviazioni dallo stesso attuate nella concezione e realizzazione dell’EUR. Beninteso nei limiti di un articolo per un mensile come quello che state leggendo.

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Il razionalismo fu una tendenza interna al campo del fare architettonico che nacque nell’ambito del filone romantico nord-europeo di fine ‘700 primi dell’800 e assunse, di questo, la contrapposizione ideologica al classicismo come veniva inteso, sia nel pensiero che nell’arte, dalla cultura di quei paesi. Un movimento di reazione quindi, questo romanticismo che, totalmente impregnato dello spirito nordico era, però, privo di una visione propria circa la totalità e complessità del mondo. Aveva bisogno di presupporre una visione classica cui contrapporsi per dar senso al proprio naturalismo ed al proprio agire. Nel tempo vennero a determinarsi, al suo interno, due poli di tendenza in dialettica contrapposizione: l’espressionismo tedesco ed il cubismo francese.

“Noi lavoriamo per il futuro e dobbiamo rinunciare al presente. Una volta per tutte una generazione deve addossarsi il compito di costruire,lontano dalle vecchie strutture, le fondamenta di una nuova architettura”.

A questo imperativo formulato dallo scrittore A. Behne nel 1920, il movimento espressionista uniformò la sua “lotta contro l’accademia identificata come lotta e rifiuto di una determinata realtà generale, oppressiva e mistificatoria allargata agli aspetti politici e sociali”. Trasmise tale ideologico atteggiamento a tutti i successivi movimenti razionalistici che si formarono in Occidente. Particolarmente in Germania con il Bauhaus ed in Francia con il movimento purista che diverranno, da noi, i riferimenti culturali rispettivamente delle riviste Casabella e Quadrante.

Il razionalismo italiano, e con esso il Movimento Moderno in Italia, nacque nel 1926 ad opera di giovani lombardi che costituirono il Gruppo7. Nello spirito prettamente italiano che da sempre ha rivisitato ogni possibile tendenza europea nel campo dell’arte e dell’architettura raffrontandola al nostro patrimonio passato, il Gruppo7 si dissociò dal massimalismo delle avanguardie artistiche del Novecento europeo e ribadì in più occasioni la diretta discendenza dalla tradizione propugnandone una coerente continuità su basi, appunto, razionali. Razionalità che si esprimeva nell’esame analitico delle funzioni, nella ricerca rigorosa della struttura, nella definizione di tipologie. Programmaticamente tutto ciò doveva poi sfociare in una radicale semplificazione linguistica. Ne fa fede il “manifesto del razionalismo italiano” apparso come programma sulla “Rassegna italiana” dal dicembre 1926 al maggio 1927.

Nel tentativo di uscire dalla identificazione prettamente lombarda, per opera soprattutto del giovanissimo Adalberto Libera entrato nel Gruppo7 da studente a 23 anni, i componenti confluirono nel MIAR (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale) che organizzò una prima Esposizione Italiana di Architettura Razionale nel 1928, nel tentativo di estendere il fronte del rinnovamento dell’architettura italiana e misurarsi nel confronto con l’architettura accademica. Nel 1931 il MIAR andò allo scontro con una seconda esposizione, e nella presentazione gettò le premesse per un dibattito che si protrasse fino al ’34 affermando: “E’ soprattutto doveroso riconoscere come si accentua sempre più la tendenza ad esaltare quel carattere di latinità, che ha permesso a questa architettura di definirsi come mediterranea”.

La seconda esposizione venne condannata dal sindacato nazionale fascista. Al MIAR venne contrapposto il RAMI (Raggruppamento Architetti Moderni Italiani) che di fatto svuotò il movimento di due prestigiosi esponenti già fondatori del Gruppo7. Uno di questi, Carlo Emilio Rava, riprese il dibattito sulla mediterraneità che divenne il connotato che distinse il confronto tra la corrente romana, incline ad una architettura organica derivata dalla classicità – che è altra cosa dal classicismo – e quella che potremmo definire la corrente milanese legata al movimento razionalista nord-europeo permeata di spirito romantico, ancorché temperato, ma di orientamento culturale meccanicistica derivato dai Lumi. Dibattito – si noti bene – interno al razionalismo se addirittura Le Corbusier, il corifeo del Movimento Moderno, fu permeato di questo spirito latino, mediterraneo, al punto di riproporre la grecità ovvero la concezione della misura proporzionale formulata dai greci.

Accennato assai sommariamente il quadro del razionalismo italiano, veniamo infine all’EUR che tanta indignazione desta in Melograni di fronte all’indubbio successo di un quartiere apprezzato e studiato in tutto il mondo. Secondo il vigente regime cultural-democratico ufficiale, non si può domandarsi manzonianamente se quella dell’EUR sia stata, architettonicamente, vera gloria. Anche se posteri non possiamo ancora formulare ardue sentenze; tutt’al più possiamo porci il quesito se l’EUR possa dirsi o meno “quartiere razionalista” meritando, così, di entrare nella storia del Movimento Moderno.

Consideriamo i fatti. Da una rosa di tredici architetti dell’età media di 38 anni (M.Piacentini cinquantacinquenne, S. Muratori ventiseienne) proposta dal conte Cini, Mussolini scelse cinque architetti : Piacentini, Pagano, Piccinato, Vietti e Rossi. Quattro razionalisti, di cui tre esponenti del MIAR, ed un eclettico (Piacentini) ai quali venne aggiunto Minnucci, altro esponente del MIAR, in qualità di direttore del Servizio Architettura dell’Ente Autonomo E42. Cinque a uno.

Il primo progetto di massima fu commentato fervidamente da Pagano su Casabella: “Questo complesso è stato pensato con spirito e intendimento nuovi pur collegandosi idealmente agli esempi del nostro glorioso passato, e più specialmente alla grande arte romana.”

Evidentemente, pur se soltanto intuitivamente, la mediterraneità fu perseguita da tutto il team dei progettisti se lo spirito latino si rifaceva alla grande arte romana. Il primo progetto, però, fu modificato da Piacentini perché, spiegò il razionalista Minnucci: “Dalle prime soluzioni urbanistiche, predominate da un maggiore senso romantico e paesistico, si è pervenuti ad una composizione, di carattere più severo, quadrato,romano. Benché il raggiungimento di questo valore classico sia stato lo scopo principale del Piano Regolatore definitivo, pure importanti ragioni tecniche non hanno mancato di influire sulla conformazione del Piano Generale. Difatti uno stretto adattamento al terreno, di effetto più paesistico che grandioso, portava al quartiere frammentario, a strade irregolari con curve e con pendenze che, spesso, avrebbero raggiunto valori dell’otto, del dieci per cento, ed anche più. Ora, a parte anche le esigenze del quartiere futuro, a parte la sua monumentalità, sarebbe stato un grave errore costruire una Esposizione in cui, al già notevole affaticamento, derivante da percorsi inevitabilmente lunghi, si fosse imposto al visitatore anche il superamento di continui e sensibili dislivelli.” Da qui la delusione e la rabbia di Pagano che, ergendosi a salvaguardante dei valori del razionalismo, negò il riconoscimento di qualità razionalista al nuovo piano dell’EUR e trasmise ai posteri i termini della sua condanna: pomposo, retorico, monumentale, enfatico. Ma l’EUR, che piaccia o meno e nonostante Pagano e i di lui epigoni è un quartiere razionalista, ma di un razionalismo naturalmente evoluto anche se non giunto al suo compimento. La razionalità implica la misurabilità di un fenomeno per poterlo analizzare e replicare. Un edificio, un quartiere, una città per essere razionali devono potersi misurare come organismi rispetto alle parti che li costituiscono. Perseguendo questo obiettivo il razionalista Le Corbusier si richiamò alla mediterraneità dei greci ricercando la scala umana basata sulla proporzionalità del corpo umano ( il celebre modulor ), ma non andò più in la di una applicazione meccanica della sezione aurea di un segmento, cioè del rapporto aureo, mancando così l’obiettivo dell’organicità ricercata allora per altre vie. Ma la ricerca delle leggi dell’organicità fu anche l’obiettivo della classicità che misurava ( razionalizzava ) il rapporto proporzionale del TUTTO rispetto alle sue parti delle quali è assai più che la loro somma. E’ verso questa capacità di misura propria della tradizione classica, perduta dall’ideologia del classicismo, che tendeva, più o meno consapevolmente, il razionalismo italiano e che nell’EUR fu intuita e mai chiaramente definita come categoria della mediterraneità, tentata esteticamente, ma non posseduta come metodo razionale e quindi operativo. I tempi non erano ancora maturi. L’intuizione portò, tuttavia, alla monumentalità che, lungi dall’essere un valore negativo, svolgeva la logica funzione di evidenziare e rendere percepibile immediatamente alla dimensione urbana, il ruolo polare di alcuni edifici o di complessi di edifici costituenti spazi urbani nel presupposto, stabilito nel piano, di fungere come cuore di un futuro quartiere cittadino da realizzarsi dopo l’esposizione in organica estensione della parte permanente realizzata. Questo, analizzando criticamente in sommario, è il razionalismo dell’EUR la cui valutazione esula dalla categoria del gustarello relativistico e soggettivo del mi piace … non mi piace per definirsi, invece, come una tendenza all’organicità espressa in termini percepibili e vivibili dal cittadino. Quanto sia più o meno riuscita l’espressione di tale organicità è materia di altra dissertazione che rientra nel novero delle ardue sentenze da formularsi con il sostegno di categorie critiche che la cultura ufficiale, al momento, è assai lontana dal comprendere.

Digredendo dal tema: la realizzazione del quartiere dopo la guerra per opera di Virgilio Testa commissario dell’Ente senza chiedere una lira allo Stato è un altro capitolo della storia dell’EUR che andrebbe conosciuto per aggiungere ammirazione al godimento estetico e compianto per la perdita dell’autonomia che la sinistra volle innescando, per eterogenesi dei fini, un lento ma progressivo degrado del quartiere.

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