Investimenti e previsioni. Lo strano caso della mela umana ed il calcolo delle probabilità

9 Marzo 2010

Enea Franza

Economia e scienza sociali. I limiti dela prevedibilità di fronte all’incertezza

Investimenti e remunerazioni – Investimenti, calcoli probabilistici, serie storiche e proiezioni al futuro – Rendere costante ciò che potrà non rivelarsi tale: le gambe storte  e corte della prevedibilità “meccanica” di fronte alle molteplici e imprevedibili variabili degli eventi storici e sociali – Le variabili contenute nel rischio e nell’incertezza – Calcoli di probabilità e impossibilità di valorizzare il limite della imprevedibilità e impredicabilità dei fattori storicamente non coerenti con una serie breve – Le scelte statistiche rispondono a “medie” d’impostazione e di interesse – Ritornare a Keynes – Eventi economici e sociali e affinamento dei modelli matematici – Permane la irriducibile differenza e la non pura mutuabilità tra metodo fisico e metodi delle scienze sociali – Continuare a studiare l’economia con modelli matematici purché non li si consideri alla stregua di vertità indiscusse e indiscutibili
Dalla lettura delle diverse opinioni sulla causa ultima della recente crisi finanziaria, il parere più diffuso sembra essere quello che, in definitiva, “il crack finanziario che sia stato causato da un’errata valutazione del rischio associato agli investimenti effettuati dagli intermediari finanziari e bancari”. Come dire, una svista colossale dei banchieri sul rischio incorporato dai titoli che compravano e vendevano. Tale idea sembra essere convintamente sostenuta da Alan Greenspan, l’ex timoniere della FED, che per primo l’ha lanciata, per poi confermarla a più riprese. In un recente intervento ha affermato: “il problema è che i nostri modelli – entrambi i modelli di rischio ed econometrici – cosi complessi come sono diventati, sono ancora troppo semplici per catturare la serie completa di variabili che regolano la realtà globale di dinamismo economico …“ . Dietro a tale opinione sta, pertanto, il concetto che il rischio di un investimento finanziario possa essere valutato correttamente, e che gli evidenti insuccessi dell’informazione siano dovuti in realtà a situazioni ulteriori determinate da fattori quali quelli di monopolio e/o agli incentivi messi in campo dalla pubblica amministrazione che hanno finito per ostacolare la formazione di prezzi corretti da parte dei mercati. Insomma, la solita storia del troppo poco mercato e dell’ingerenza pubblica che intralcia quella mano invisibile, che in economia tutto aggiusta ! Da tale premessa consegue naturalmente che l’unica strada per gestire la crisi (e prevenirne altre) sia quella di una migliore gestione del rischio da parte delle banche e dei regolatori. Ma come debbano migliorarsi le banche ed i regolatori non è dato sapere, forse – sembrerebbe di intuire – liberalizzando ancora di più il mercato, con regole all’ingresso ancora più leggere e concentrandosi su una politica antimonopolistica. Veniamo al punto della questione, per capire cosa eventualmente ci sia di sbagliato in questa posizione. Il punto, sembra strano, è forse tutto nella corretta risposta ad un quesito tanto astratto quando ineludibile: è effettivamente misurabile il rischio di un investimento? Se effettivamente lo fosse, non potrebbe dirsi che l’appello di Alan Greenspan sia da relegare tra le grida di un vecchio economista le cui teorie sono state sconfitte dai fatti della storia. E allora, stanno effettivamente cosi le cose, oppure aveva ragione Keynes nel sostenere che il futuro è incerto e che i partecipanti del mercato non hanno e non avranno una conoscenza, nemmeno appena sufficiente, degli eventi futuri ? Keynes, sugli errori di chi vuole applicare il metodo della fisica all’economia, scrive: <<E’ come se la caduta a terra della mela dipendesse dalle motivazioni della mela, se vale la pena di cadere a terra, se la terra volesse la caduta della mela, e dai calcoli errati da parte della mela su quanto distasse dal centro della Terra.>> Insomma, secondo Keynes non ci troveremmo mai nella possibilità di mutuare e applicare il metodo matematico per intero ai problemi umani, siano essi sociali che economici, a differenza dei fisici che invece sperimentano quotidianamente, con caratteri di ripetibilità in condizioni equivalenti, tipo, appunto la caduta di una mela.
Per cercare di capire come stanno effettivamente le cose nella valutazione di un investimento, dobbiamo necessariamente inoltrarci nelle metodologie che stanno alla base della valutazione del rischio, tecniche, ricordiamolo, che sono largamente usate dagli intermediari bancari nella gestione dei rischi dei loro investimenti . Vediamo di che si tratta, premettendo da subito tuttavia, che una grande parte degli economisti (tra i quali Keynes) ritiene che occorra sempre distinguere tra rischio ed incertezza e che mentre il promo (il “rischio”) possa essere misurato, l’incertezza non sia affatto misurabile neanche con il ricorso al calcolo delle probabilità.
Cerchiamo invece di capire come sia possibile condurre un ragionamento che ci portia fare delle congetture condivisibili per il futuro andamento di un investimento. Torniamo al modello che normalmente si usa e vediamo come si costruisce un portafoglio non rischioso. Per farlo, ricorriamo ad un esempio, che semplificheremo al massimo, scusandoci in anticipo con i cultori della matematica per le approssimazioni che introdurrò. A rassicurazione di tutti però valga il fatto che le semplificazioni apportate al nostro esempio non tolgono nulla al cuore del problema. Si supponga che un cliente si rivolga ad un operatore finanziario per avere un consiglio su come investire un patrimonio di 100.000 euro e supponiamo pure che il consulente disponga di alcune informazioni relative a due titoli (supponiamo azioni), legati alle società X e Y, che danno, rispettivamente, per il primo titolo un rendimento medio del 12%, con una variazione media rispetto a questo valore del 16% , e per il secondo, un rendimento medio del 10% con una deviazione media rispetto a tale valore del 14%. In altre parole, il titolo X presenta un rendimento ed un rischio più alto del titolo Y. Poniamo che il cliente, non volendo rischiare, potrebbe essere portato ad investire tutto il patrimonio nel titolo Y. Ma è possibile che se si compri un po’ di titoli X e Y si ottenga un maggior rendimento con un minor rischio? La teoria dell’investimento dei mercati efficienti dice che un qualsiasi consulente finanziario è capace di far ciò. Vediamo come: poniamo per ipotesi che la società Y e la società X operano, rispettivamente nel settore delle costruzioni ed in quello ecologico, ovvero, in settori che generalmente fluttuano in senso opposto. In tal modo, l’investitore ottiene un rendimento medio stabile, infatti, quando i rendimenti di Y sono elevati, quelli di X sono bassi, e viceversa. Adesso si tratta di misurare il grado di variazione comune dei rendimenti dei due titoli, e lo facciamo con operatore statistico noto come covarianza , o fattore di correlazione. Se è noto il coefficiente di correlazione dei due titoli considerati (pari, ad esempio, a 0,1) è possibile desumere non solo i rendimenti dei diversi portafogli composti da A e B, ma anche la loro volatilità. Così, ad esempio, potremmo ottenere che investendo il 50% del capitale (50.000 euro) in ciascuno dei due titoli un portafoglio con un valore di rendimento atteso superiore (11%) ed un rischio inferiore (11,14%) rispetto ad un portafoglio composto dal solo titolo Y (cui corrisponde come premesso un rendimento medio pari a 10 e un rischio uguale a 14%). Un grande affare per il cliente e per il consulente (che bene ha fatto il proprio mestiere), ma soprattutto un grande successo per la scienza economica che ha dimostrato che è possibile determinare una combinazione di titoli che presenti maggior rendimento e minor rischio dell’acquisto di uno solo. Un’invenzione meravigliosa! Purtroppo c’è qualche cosa che non funziona nell’esempio che ho raccontato. Cominciamo dall’inizio e, cioè, dai dati utilizzati nei nostri calcoli. Osserviamo che il nostro consulente, per il conteggio del rendimento dei titoli, si è servito di dati storici relativi ai titoli Y ed X, presi su un periodo di tempo che non ho definito. Ma attenzione, proprio su tali dati sono state stabilite le due variabili cruciali (rendimento medio e variabilità del titolo rispetto al rendimento) sulle quali si basa il mix di titoli; in altre parole, abbiamo costruito delle medie su dati storici e la combinazione che il consulente propone al cliente di Y ed X è quella che è la migliore in termini rendimento/variabilità. Se ne deduce che se riduco o, viceversa estendo il periodo di osservazione molto probabilmente cambieranno il rendimento e la variabilità media, e quindi la combinazione ottimale. Il discorso allora si potrebbe ricondurre a studiare il periodo migliore o più significativo per l’elaborazione dei dati? No, purtroppo c’è altro. Un altro aspetto va, infatti, evidenziato. I dati storici raccolti sono utilizzati per fare delle congetture per il futuro, in definitiva, le medie calcolate (rendimento e variazione rispetto al rendimento) vengono proposte come indicatori della probabilità di avere nel futuro un rendimento simile a quello medio e che si è registrato nel passato. Tale passaggio è, tuttavia, denso di conseguenze. Vediamole. Il primo effetto è che il risultato medio ottenuto può essere vero solo su un periodo di tempo futuro abbastanza lungo, viceversa, correremmo il rischio di cadere nel c.d. errore del giocatore. Di che si tratta ? Facciamo prima l’esempio di un lancio di una moneta (a due facce, non sbilanciata) che non ha effetto sul prossimo lancio della moneta, così che, ogni volta che la moneta viene lanciata c’è (idealmente) una probabilità del 50% che esca testa ed una probabilità del 50% che esca croce. Supponiamo che una persona lanci una moneta sei volte e ogni volta esca testa. Se concludesse che il prossimo lancio sarà croce perché croce “è dovuto”, allora avrebbe commesso l’errore del giocatore d’azzardo. Questo perché i risultati dei lanci precedenti non hanno influenza sul risultato del settimo lancio, che ha una probabilità del 50% di essere testa e del 50% di essere croce, proprio come qualunque altro lancio. Il secondo coinvolge casi le cui probabilità di capitare non sono indipendenti una dall’altra. Per esempio, supponiamo che un pugile abbia vinto il 50% dei suoi combattimenti negli ultimi due anni e supponiamo, altresì, che dopo molti combattimenti abbia vinto il 50% di quelli di quest’anno, che abbia perso gli ultimi sei e ne debba combattere sei. Se si credesse che il pugile debba vincere i prossimi sei incontri (perché ha utilizzato tutte le sconfitte e una vittoria è “dovuta”) allora si commetterebbe nuovamente, l’errore del giocatore d’azzardo. In effetti, si potrebbe ad esempio ignorare che i risultati di un incontro possono influenzare i risultati del prossimo; se ad esempio, il pugile si fosse infortunato in un incontro, ciò abbasserebbe le sue probabilità di vincere gli ultimi sei incontri. Allora, come si vede, la possibilità di avere la combinazione rischio/rendimento ottimale è limitata, nel caso di eventi indipendenti, al fatto di conservare il portafoglio su un periodo futuro molto lungo (e ciò in realtà contrasta con l’interesse dell’investitore che, vista la variabilità delle condizioni in gioco, può scegliere razionalmente sulla base delle condizioni di profitto esistenti nel breve periodo) mentre, nel caso di eventi dipendenti, è influenzata anche da eventi recenti che possono condizionare il risultato.
Veniamo alla seconda questione, ovvero, al problema dei problemi, che si potrebbe riassumere nella domanda: l’uso del calcolo delle probabilità è capace a dare indicazione corretta sul corso futuro di un titolo ? In effetti, a bene vedere, l’evento rendimento (ad esempio, per rimanere nel nostro campo, di un titolo azionario) sembra essere un evento unico, che risente certamente delle condizioni di domanda ed offerta sul mercato in un preciso momento. Domanda ed offerta ricordiamolo che a loro volta rispondono ai fondamentali dell’economia e della società emittente, ma anche a molteplici e disomogenei fattori “non quantificabili” sotto un’unica categoria – ed indicati generalmente dagli economisti finanziari come market psychology – attraverso cui si possono spiegare situazioni di mercato varie ed imprevedibili. Tali input che concorrono alla formazione del prezzo del titolo, sono unici ed irripetibili, cosi come la loro combinazione, e è proprio questa la ragione (a nostro modo di vedere) per cui è davvero difficile sostenere che la serie di valori che il titolo ha espresso in passato (ad esempio il rendimento) abbiano un qualche senso per il futuro. Sembrerebbe pertanto essere privo di significato applicare il calcolo probabilistico alla serie storica. I prezzi registrati, infatti, hanno una storia a se stante ed unica, diversamente, ad esempio della serie storica dei lanci di una moneta, ovvero di un dato in cui si sono prodotti tutti in condizioni equivalenti. Pertanto, atteso che il valore del titolo azionario è condizionato da fattori economici nonché da altre variabili psicologiche individuali di massa che operano sulla scelta individuale, posto che si riuscisse ad individuarle tutte e a stabilirne il nesso di causa ed effetto, pur tuttavia, saremmo sempre di fronte ad un doppio limite, costituito dal peso di ciascuna delle variabili e dal loro effetto combinato. Insomma ci troveremo di fronte ad una sorta di “paradosso del sorite”, che grosso modo recita così: <<Non è possibile ottenere un mucchio di sabbia. Infatti: un granello non è un mucchio ; due granelli non sono un mucchio ; tre granelli non sono un mucchio ; aggiungendo un granello a una cosa che non è un mucchio non si ottiene un mucchio>>. In altre parole, certamente l’effetto combinato di tutte le variabili che possono incidere sul valore del rendimento si possono individuare, ma è molto (se non impossibile) conoscere quando e quanto tali granelli di sabbia incideranno sul rendimento del titolo. Spero che tutta questa chiacchierata, che ha scomodato anche i filosofi, sia servita per dire che, in definitiva, in ogni caso, in tutti i casi, emerge nelle scelte d’investimento individuale o meno un elemento definibile come “incertezza”, e che esso non permette di determinare né di garantire in maniera oggettiva il risultato effettivo dell’investimento nel futuro, e che ciò condiziona il risparmio reale che si conseguirà. Una rivincita dell’economia keynesiana che si costruisce sull’irriducibile “spessore” significante non affatto articolabile in termini di prevedibilità che gioca il fattore primario dell’ “incertezza”, incertezza che non può che generare delusione per le aspettativa su di essa inopinatamente o maldestramente riposte? Sono in tanti oggi a pensarla cosi! La crisi che ci hanno fatto cadere sulle spalle sta a dimostrarlo. Non basta il dogma del liberismo ad oltranza ed estremo né bastano le confessioni delle insufficienze delle misure di prevenzione e di controllo contro le bolle finanziarie a rendere accettabili le scusanti dei difensori dei modelli matematico-finanziari che mai potranno predire con assolutezza l’effettiva evoluzione dei mercati, ovvero azzerare il ruolo dell’incertezza.
[1] 16 marzo 2008 Financial Times, Alan Greenspan.
[2]In particolare si segnala il lavoro di Black end Sholes :“The pricing of options and corporate liabilities”, pubblicato nel JoPE maggio-giugno 1973” . L’obiettivo del modello è quello di valutare al tempo t il prezzo di una opzione call di tipo europeo avente scadenza in T, con un prezzo di esercizio pari a K, scritta su un’attività sottostante (un’azione)  di valore S nell’ambito di un mercato in cui sono presenti oltre ad attività rischiose quali le azioni attività prive di rischio quali i bond, il cui tasso di rendimento risk-free è pari a r. Le ipotesi di base: assenza di costi di transazione e d’imposizione fiscale; tasso di interesse privo di rischio costante; distribuzione simmetrica delle informazioni fra gli operatori che implica impossibilità di arbitraggio; possibilità di vendere allo scoperto; non c’è distribuzione di dividendi. A queste ipotesi si aggiunge quella per cui il rendimento dell’attività rischiosa S sia caratterizzato da una duplice componente, una tendenziale ed una aleatoria. Ne consegue che il rendimento del titolo può essere scomposto in una componente tendenziale ed in una componente aleatoria che assume tanto maggior peso quanto più è grande la volatilità. A variazioni infinitesimali di rendimento corrisponderà una dinamica del prezzo spiegabile come:dS/S = µ∆t + σdX dove dX è un movimento browniano standard.
[3] Richard von Mises (18831953) propose di definire la probabilità di un evento come il limite cui tende la frequenza relativa dell’evento al crescere del numero degli esperimenti.
[4] La covarianza dà una misura della dispersione congiunta dei due titoli intorno alle rispettive medie. Una covarianza negativa indica che quando il rendimento di un titolo è inferiore alla sua media, il rendimento dell’altro titolo è superiore alla media: i due titoli si muovono in senso opposto. Una covarianza positiva indica che i rendimenti dei due titoli si muovono nello stesso senso; un valore di covarianza nulla indica che non sussiste relazione tra i movimenti dei rendimenti dei due titoli, ovvero, che gli andamenti degli stessi sono indipendenti tra di loro.
[5] E’ la frequenza a cui tende un evento al crescere del numero degli esperimenti, ripetibili in pari condizioni ogni volta.