Savastano su risorse e sviluppo: ecco le mie puntualizzazioni

14 Maggio 2010

Alberto Savastano  

Politiche e metodologie dello sviluppo

OLTRE TABELLINI E BARBA NAVARETTI

 

Guido Tabellini, Magnifico Rettore dell’ Università Bocconi di Milano e Giorgio Barba Navaretti, Professore ordinario di economia all’Università degli Studi di Milano, Direttore della Graduate School di Scienze sociali, economiche e politiche dell’Università degli Studi di Milano e Direttore scientifico del Centro Studi Luca d’Agliano, nel loro articolo del Sole 24 ore del 2 Aprile u.s. affermano che “……..alla radice dello scarso dinamismo della nostra economia c’è un rallentamento ormai ventennale del tasso di crescita della produttività sia del lavoro che dell’insieme dei fattori produttivi nel loro complesso. Ossia non è cresciuta nel tempo l’efficienza con cui i fattori (lavoro, macchinari, immobili e così via) vengono utilizzati dal sistema produttivo”. “…..soltanto attraverso una crescita sostenuta del reddito è possibile ridurre il peso del nostro debito pubblico senza compromettere eccessivamente la capacità di spesa dello stato…” Stabilito che crescere poco è un problema, quali sono le cause? Ve ne sono molte, ma il nodo principale è uno: il processo di allocazione delle risorse” “…… ora il Governo in carica dispone di maggioranza e tempo sufficienti per affrontare il più grave problema del Paese: come rilanciare la crescita economica e ……..che cosa fare per dirigere le risorse verso chi può farne l’uso migliore?”
Le vie indicate della ricerca e della formazione, sono ovviamente sempre e comunque da seguire; ma dopo aver diagnosticato le disfunzioni, identificato la causa principale che le ha prodotte e accertato che l’Italia ha bisogno di cure, è necessario e doveroso indicare con chiarezza quale sia la giusta terapia e gli interventi da porre in essere per raggiungere la piena guarigione.
In realtà, le regole per uscire dalla stagnazione economica, per evitare la ridotta crescita del Paese, per far funzionare al meglio il processo di allocazione delle risorse finanziarie, per canalizzare denaro, sforzi, lavoro che stentano ad andare verso le attività e gli investimenti più produttivi dove maggiore è il contributo allo sviluppo del paese ecc.., ESISTONO!
Sono le Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, ossia quelle del Valore aggiunto e della Redditività Esse consentono di accertare preventivamente se un progetto d’investimento pubblico o privato, produttivo, infrastrutturale e sociale sia o no in grado di produrre valore aggiunto e di quantificarne l’entità in termini di “tasso di redditività finanziaria” e “tasso di redditività sociale”.
Anche se elaborate nella seconda metà del secolo scorso, tali metodologie sono sempre attuali e universalmente considerate come l’espressione del più elevato livello di attendibilità scientifica; le sole in grado di consentire il rigetto sistematico dei progetti non redditivi e l’approvazione dei progetti d’investimento a maggiore valore aggiunto, quelli, cioè, in grado di contribuire positivamente alla crescita economica e sociale del Paese.
Sono le stesse metodologie che, quale componente del Nucleo di valutazione degli Investimenti pubblici creato presso il Ministero del Bilancio nel 1982 ex art.4 della legge finanziaria del 1982/182, contribuii a introdurre in Italia per sperimentarle nell’ambito del Fondo Investimenti e Occupazione (FIO). Questo tentativo purtroppo naufragò presto con le dimissioni di 9 dei 13 membri del Nucleo (tra i quali io) in opposizione alla decisione del Ministro in carica (1984) il quale, “motu proprio”, cioè con decreto ministeriale, ruppe il principio della collegialità del Nucleo restaurando lo status quo iniziale, ossia il conferimento ai singoli dirigenti, di propria scelta, la facoltà di pronunciarsi sulla validità degli investimenti. I meno giovani ricorderanno senz’altro il clamore che tali dimissioni suscitarono una vasta risonanza sui media che all’unisono riconoscevano il merito professionale dei dimissionari e ne esaltavano il coraggio per aver reso palese, con tale atto, la protervia e l’ostinazione della politica nel voler difendere il principio della discrezionalità del potere decisionale.
Questi eventi hanno lasciato, comunque, il segno.
La concezione dello Sviluppo è rimasta ancora troppo legata a una congerie di leggi variegate e multidirezionali, caratterizzate da regolamenti adottati autonomamente e di volta in volta dai vari centri decisionali che – secondo il peso politico del momento – se ne contendono la titolarità del merito. La stessa creazione dei Nuclei regionali di valutazione degli investimenti ex Legge n. 144/99 non ha prodotto i risultati attesi; nella gran parte dei casi, essi si sono trasformati in unità di controllo della mera conformità dei progetti alla normativa giuridica e amministrativa.
Quando nella valutazione si sale di livello tecnico, si preferisce il ricorso alle discipline aziendaliste che, pur avendo un carattere scientifico ineccepibile, si rivelano non idonee per valutare i progetti d’investimento
Per queste ragioni, tutti i progetti d’investimento approvati e finanziati, pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali sono stati da sempre incautamente esposti ad elevati rischi di insuccesso , di vanificazione e/o spreco delle risorse finanziarie agli stessi allocate con gravi ricadute sulla crescita economica e sociale del paese.
E’, dunque, soprattutto a queste carenze culturali, tecniche e metodologiche che bisogna ricondurre i mali del nostro Paese magistralmente descritti da Tabellini e Barba Navaretti.
Bisogna augurarsi, pertanto, che il Governo riproponga, con lo stesso impegno profuso per rilanciare il Nucleare, l’impiego delle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo estendendo l’obbligatorietà dell’analisi preventiva della redditività finanziaria e sociale su tutto il territorio nazionale a tutti i progetti pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali.
Conclusivamente, è indispensabile che la cultura dello Sviluppo – e, in primis, quella delle metodologie del valore aggiunto e della redditività – entrino direttamente nel DNA del popolo italiano: cittadini, tecnici e politici, affinché tutti insieme ne prendano coscienza e possano sapere, operare e giudicare correttamente in una materia vitale per il Paese.

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