Nacque cento anni fa a Modena. Nel mite ottobre romano del 1973 si affievolì improvvisamente come una supernova dopo aver raggiunto la massima intensità luminosa. Ricevendo un visitatore venuto dall’estero per conoscerlo, dopo essersi assiso su una poltrona per intrattenerlo chiuse gli occhi, quasi a raccogliere i pensieri prima di parlare, e non li riaprì più.
Fu un grande architetto ed un ancor più grande maestro, ma commise il più grave peccato che un architetto e docente potesse mai compiere in quegli anni: la critica alle degenerazioni di quel movimento moderno in architettura ( in sigla M.M.) del quale era considerato il vessillifero. Esecrata come un crimine, alla stregua di un parricidio compiuto dal “figlio del giovanile velleitarismo moderno “ – come lui stesso ebbe a definirsi – quella critica gli valse l’ostracismo: in vita fu “ rimosso dalla cultura e dalla storia”; da morto fu condannato alla “damnatio memoriae”. In realtà l’ostracismo che lo colpì trovò origine in un circostanza storica: si trovò ad intralciare la strada per la conquista dell’egemonia culturale che le sinistre stavano percorrendo. Alle spalle si era lasciato una vecchia classe accademica, pavida e versipellista, alla quale era estraneo culturalmente oltre che moralmente, avanti a sé si trovò a dover fronteggiare gli emergenti esponenti di quella cultura sedicente progressista che considerava intellettualmente “distorta e malata” affetta da “soggettivismo romantico per il quale l’architetto era un velleitario, fantasioso inventore di forme decorative “.
Nella critica alle degenerazioni ed ai fallimenti della modernità non fu certo il solo, ma fu l’unico che uscendo dall’equivoco cartesiano della separazione fra uomo e natura – la “res cogitans” contrapposta alla “ res extensa” – impostò un metodo scientifico di superamento della dominante visione meccanicistica dell’universo di matrice newtoniana per portare a soluzione la crisi della civiltà partendo dal mondo reale costruito dall’uomo, ovvero dall’architettura.
Si chiamava Saverio Muratori.
La sua scuola, a distanza di quasi venti anni dalla equivoca “riabilitazione” avvenuta a Modena nel 1991, ne celebra il centenario della nascita con un convegno itinerante di sei sessioni delle quali la prima si è tenuta a Modena Baluardo della Cittadella il 22-23 ottobre, le successive quattro nelle facoltà di architettura di Venezia, Roma, Genova, Milano; La sesta si terrà a Delft in Olanda. Il convegno avrà per titolo: Saverio Muratori o della scienza della città e del territorio. Considerate le sedi delle sei sessioni ad un pubblico colto potrà sembrare trattarsi di argomento per soli specialisti. Dagli articoli sul problema delle periferie, però, i lettori de Il Borghese conoscono già il nome di Saverio Muratori richiamato anche nella serie su “ Uscire dal deserto” e forse vorrebbero saperne di più.
La tragica e meravigliosa vicenda esistenziale e culturale di Saverio Muratori ha del romanzesco, ma non c’è qui lo spazio per raccontarla. Solo l’elenco dei suoi lavori e quello degli scritti che sono stati composti su di lui dal 1932 al 2009 esonderebbe dallo spazio che questo mensile può mettere a disposizione. L’unica possibilità di avere notizie un po’ più estese su di lui è fare , con cautela, un viaggio su internet. Per una trattazione sintetica della sua figura, sempre su internet nel sito Europa della libertà, si può consultare un breve saggio che scrissi per KULTUR nel 1998 dal titolo: Saverio Muratori o l’avventura della civiltà. Oggi, invece, vorrei dare testimonianza – per averla vissuta personalmente – di quella rimozione dalla cultura e dalla storia effettuata dal culturame di sinistra, dell’equivocità della “riabilitazione” e spiegare la metafora della supernova.
Un’attenta lettura della cronologia della sua vita mostra l’eccezionalità del personaggio: a ventitré anni, ad appena due mesi dalla laurea, si qualifica come protagonista del dibattito per l’architettura moderna con il concorso per il palazzo del Littorio del 1933 svolto in collaborazione con altri colleghi. A ventisei anni viene inserito in una ristretta rosa di dieci architetti che il conte Cini presenta a Mussolini per la progettazione dell’E42 oggi EUR. A trent’anni è libero docente in urbanistica e in composizione architettonica e due anni dopo l’antica ed intellettualmente aristocratica accademia di S.Luca lo nomina accademico e lo pone accanto ai suoi antichi membri: Martino Longhi (1591), Mascherino (1524-1606), Bernini (1598-1680), Borromini (1599-1667) etc. Fino ai cinquanta anni il suo percorso di architetto e di docente è un susseguirsi di successi, ma anche di ostilità e gelosie più o meno occulte che vengono in luce nel 1960 quando, insieme ai suoi assistenti, partecipa al concorso per l’urbanizzazione delle Barene di S. Giuliano a Mestre con tre progetti. Vince “a man bassa” ed otterrà in più una segnalazione per uno degli altri due elaborati. Il fior fiore degli urbanisti di allora, tutti di sinistra o cattocomunismi, viene sonoramente battuto, ma non si rassegnerà e scatenerà una campagna di denigrazione, senza uguali nella storia dell’architettura, che investirà anche la facoltà di Roma. E’ l’occasione che da sempre i cosiddetti “progressisti” aspettavano per la gramsciana conquista delle università ed il controllo della cultura ufficiale. Il quartiere delle Barene, occasionale casus belli, non sarà più realizzato e con questo concorso si chiude la fase di Muratori progettista. Non potrà più progettare perché “fuori del M.M.” .
Con sentenza di stampo staliniano è “rimosso dalla cultura e dalla storia”. Ma non finisce qui. Gli studenti di sinistra e progressisti formano una associazione con giovani assistenti di stessa estrazione politica e occupano la facoltà con il dichiarato scopo di “cacciare” (sic) Muratori e richiedere la chiamata a Roma di tre docenti di sinistra: Zevi, il più volgare denigratore di Muratori, vero e proprio terrorista culturale, Quaroni e Piccinato “battuti” nel concorso delle Barene di S. Giuliano. L’operazione riesce solo a metà. La “trimurti progressista” verrà chiamata a Roma, ma Muratori non verrà cacciato perché gli studenti liberi reagiscono: organizzano due corsi liberi per anticipare di un anno l’insegnamento di Muratori e rifiutano altri docenti spaccando la facoltà in due filoni: uno ufficiale tenuto dalla trimurti e dalla vecchia classe accademica da sempre ostile a Muratori, l’altro liberamente gestito dagli studenti che fanno riferimento all’ Istituto di Metodologia Architettonica diretto dallo stesso.
L’ostracismo cancella Muratori dalle schede di tutte le enciclopedie però lo proietta in una dimensione siderale: quella che, riferendomi agli ultimi anni di insegnamento, ebbi a definire metaforicamente la supernova. Nasce, infatti, nel 1963 un architetto di nuova concezione che, abbandonata perché preclusa, la scala della progettazione grafica, crea la sua opera architettonica ad una scala talmente elevata che la rappresentazione grafica non la può esprimere e calce , mattoni e cemento non la possono concretizzare, ma solo può tradursi in concreto mediante città e istituzioni misurate e proporzionate categorialmente come unità di spirito e materia, di uomo e natura.
Scrive, ma non fa il teorico. Non formula uno dei tanti astratti principi generali sull’architettura e l’urbanistica al di fuori di ogni realtà effettuale come fanno i critici e alcuni storici di mestiere. Al contrario, ogni sua nuova opera scritta è un’esplorazione nella realtà del mondo, del territorio, delle città per comprendere, ricostruendolo, il loro processo di formazione come organismo ovvero come vivente simbiosi di uomo e natura.
Ho aperto una finestra sul mondo per chi lo vuole vedere.
Fu questa la sua più grande opera d’arte che non si trova nella sua notevole produzione prima dell’ostracismo. La concretizzò nel metodo che mise a punto per dar forma a questo processo e renderlo operativo per continuare la vita dell’organismo sia esso un edificio, una città, un territorio e , da ultimo, un ecumene. Questo metodo – vera “ars magna “ frutto della sua sterminata cultura – lo chiama storia operante. Non storia delle vicende umane, sempre opinabile, ma di quelle dell’organismo come simbiosi di uomo e natura. In sostanza la storia reale della civiltà.
Gli ultimi due anni di insegnamento 1971-72 e 1972-73 sono quelli in cui Muratori brilla come una supernova al massimo del suo fulgore prima di affievolirsi. E’ molto malato, lo stress provocato dalla sua condizione di ostracizzato ha minato il suo cuore e sa di essere alla fine, ma vuole giocare la morte prima che gli impedisca l’ultimo volo: l’avventura della civiltà. Non può più scrivere, sa di non averne più il tempo e quindi affida al registratore il ciclo di lezioni di questi ultimi due anni. E’ l’ultimo suo grandissimo capolavoro postumo raccolto e trascritto da Guido Marinucci negli anni 1976 ( Autocoscienza e realtà nella storia delle ecumeni civili ) e 1978 ( Metodologia del sistema realtà-autocoscienza).
Passeranno diciassette anni dalla sua morte prima che la cultura ufficiale, regredita al relativismo ed al decostruttivismo, in un convegno a Modena nel 1991 “riabiliti” sovieticamente la figura di questo architetto, ma lo fa con i limiti propri del relativismo imperante. Ne tesse le lodi fermandosi al Muratori che fu “rimosso dalla cultura e dalla storia”; riconosce la validità della sua opera didattica, ma equivoca sul contenuto dei suoi scritti demolitori delle false verità della modernità. E’ consapevole ( il Muro era caduto da poco ) dei disastri che la cultura astraente ha provocato edificando lo sconcio delle periferie, ma nasconde la propria responsabilità dietro la relatività dei diversi punti di vista. Rifiuta ancora di leggere la realtà che ha davanti e per neutralizzare l’ingombrante spettro del disastro ambientale ed umano che ha provocato e che Muratori aveva evocato nei suoi scritti, “riabilitandolo” ha costruito una teca di cristallo e ve lo ha rinchiuso dentro.
Ma la finestra sul mondo non si è chiusa con la sua fine, la supernova è solo affievolita, ma il mondo è cambiato. Le città degli uomini sono diventate marginali rispetto alle periferie e dell’autocoscienza il cyborg che le abita non sa che farsene. Tuttavia occorre persistere sulla traccia del suo insegnamento anche se l’ultima dea , la spes , è andata a sballarsi in un rave party.