Ernst Jünger: ecco finalmente i taccuini di guerra, scritti rabbrividenti di ardimenti sfide alla morte e stragi. A quando l’edizione italiana?

07 Febbraio 2011

Fonti: Georg Knapp (Freundeskreis der Brüder Ernst und Friedrich Georg Jünger e.V. – Postfach 1208 in 8892 Riedlingen, De),  –     Klett-Cotta, w.w.w.klett-cotta.de – LASTAMPA.it cultura

 

La prima pubblicazione integrale del diario di guerra 

Edizione commentata con epilogo

 

Ernst Jünger diari della prima guerra mondiale, la prima volta di pubblico dominio – un unico documento letterario e storico, un evento editoriale eccezionale!
Ernst Jünger rapporto dal fronte. I diari di guerra sono ora disponibili con la casa Klett-Cotta Verlag. Le registrazioni die quaderini del giovane soldato non sono solo un documento unico della ‘catastrofe iniziale del 20 ° secolo ‘, ma anche un testo chiave per lo sviluppo di Ernst Jünger stesso come poeta. “Heimo Schwilk, World in Domenica 2010/10/03
Trascrizione di José Antonio C. Santos (Universidade do Algarve – Portugal) – A cura di Helmuth Kiesel – 3. Edizione 2010, 655 pagine, copertina rigida cartonata senza sovraccoperta, facsimili, segnalibro a nastro, Prezzo € 32,95 – ISBN: 978-3-608-93843-2
                                                                                                                                                   
Die Erstveröffentlichung des Kriegstagebuchs – kommentierte Ausgabe mit Nachwort
Mit dieser Ausgabe sind Ernst Jüngers Tagebücher aus dem Ersten Weltkrieg erstmals allgemein zugänglich – ein einzigartiges literarisches und zeitgeschichtliches Dokument und eine editorische Sensation!
»Mustergültig editiert … Der Atem des Krieges weht einen schon beim ersten Blättern an.«
Thomas Karlauf, FAZ, 09.10.10
Ernst Jüngers Frontbericht »In Stahlgewittern« ist neben Erich Maria Remarques Roman »Im Westen nichts Neues« das berühmteste deutschsprachige Buch über den Ersten Weltkrieg. Die »Stahlgewitter« sind jedoch kein rein fiktionales Werk, sondern basieren auf den 15 Tagebuchheften, die Jünger während des Krieges von der ersten Fahrt an die Front am Jahreswechsel 1914/15 bis zu seiner letzten Verwundung im August 1918 kontinuierlich führte. Der Verlauf vieler Tage wird nur in kurzen Notizen festgehalten, die Kampfeinsätze in den großen Schlachten werden hingegen erzählerisch vergegenwärtigt: Persönliches steht neben Militärischem, Empfindsames neben Martialischem, Amouröses neben Barbarischem,Anrührendes neben Abstoßendem. Und bei alledem lässt sich genauestens mitverfolgen,wie die Erfahrungen des Krieges von Jünger psychisch verarbeitet und stufenweise literarisiert wurden.

 

                                                                                                                                        

                                                                                                                                          

 

 

 

ALESSANDRA IADICICCO

Dalla smania d’avventura alla disillusione: il passaggio cruciale per la crescita dello scrittore nell’edizione integrale dei taccuini dal fronte

Gli ardori del giovane Junger

 

(La Stampa 26.11.10) – Uno Jünger inedito e quanto mai autentico si rivela in una grande mostra inaugurata al Museo della letteratura tedesca di Marbach e nell’edizione integrale dei taccuini dal fronte da cui prese forma il suo diario della prima guerra, Nelle tempeste d’acciaio. Cominciamo dal Kriegstagebuch. Presentato al pubblico internazionale dell’ultima Fiera di Francoforte e uscito in Germania in ottobre presso l’editore Klett-Cotta (pp. 655, e26,30), contiene la trascrizione fedele degli appunti raccolti da Ernst Jünger tra la partenza per il fronte nel 1914 e l’ultima ferita causata dal proiettile che gli perforò un polmone a Sapignies nel 1918. Tra l’arruolamento del volontario diciottenne: alieno da interessi politici, passioni ideologiche, seduzioni nazionalistiche e mosso semmai dall’ansia di combattere, la smania d’avventura, la voglia di confrontarsi con la morte che aveva spinto a una «fuga dalla pace» – tale la definì Robert Musil – tutta una generazione di giovani entusiasmati dalla guerra. E il suo ritorno da reduce smagato, da teorico disincantato della «mobilitazione totale» e della «guerra civile mondiale», testimone dell’assurdità del dolore dispensato nell’inferno industriale e, per i colpi subiti, eroe decorato con la croce di ferro al valor militare. Ad attestare quella crescita – il passaggio cruciale attraverso un battesimo del fuoco e un bagno di sangue, nonché l’atto di nascita di un autore che con l’Eric Maria Remarque di Niente di nuovo sul fronte occidentale sarebbe stato acclamato per aver fornito con Nelle tempeste d’acciaio uno dei più alti documenti di guerra del Novecento – ecco i quindici quaderni che il tenente di campo aveva con sé.
Riletti nella loro prima stesura ancora non rielaborata né riletta dall’autore, sono fitti di descrizioni sintetiche, commenti secchi, schizzi e mappe, registrazioni laconiche di vettovagliamenti, distribuzioni del rancio, pattugliamenti e trasferte. Le narrazioni più distese sono riservate alle battaglie più importanti, alle grandi scene d’azione rientrate poi con qualche variazione nella versione definitiva delle Tempeste data alle stampe nel 1920.
La scena finale, per esempio. Quella che vede Jünger atterrato da un colpo alla schiena e trascinato dietro la linea del fronte da un compagno che, per salvarlo, ci rimise la vita. Nei taccuini, a proposito della morte del soldato ucciso dalla pallottola che gli perforò una tempia, scriveva gelidamente: «Che sensazione strana quando un uomo fisicamente così vicino è portato via da uno sparo sotto il tuo corpo». La frase, riscritta in Stahlgewittern, diventa: «Cadde senza un grido, ma sentii la morte impadronirsi di lui prima ancora che avessimo toccato il suolo». La mera fenomenologia della caduta nella prima versione, l’imbarazzante «strana sensazione» con cui Jünger, ferito e attonito, esprimeva il più banale dei commenti, è trasformata nella riformulazione stilizzata del comune, agghiacciante ammutolire dei due compagni di sventura.
Jünger, che fu diarista scrupoloso per tutta la vita, che osservò con rigorosa disciplina il motto nulla dies sine linea – dall’età di 14 anni in cui, partendo nel 1909 per il primo viaggio, mise in valigia il suo bravo taccuino per gli appunti, a quella del centenario estensore dei diari dell’«età biblica», Siebzig Verweht, compilati tra il 1965 e il ’95 – adottò questo metodo di lavoro per ogni suo testo. Trascriveva, riscriveva, riformulava, integrava. O, per forza di levare, toglieva, alleggeriva, lasciava decantare. Per un culto della forma e per amore di «giustizia»: della «giusta», eticamente esatta messa in forma di un’idea. «Lo stile, filtrato attraverso tutti i sedimenti della scepsi, acquista una chiarezza di acqua distillata», scriveva nei diari parigini della seconda guerra mondiale. «Solo il giusto può sapere come va pesata la parola». Ogni frase dovrà improntarsi a «quella suprema trasfigurazione di cui soltanto l’amore è capace»: la sua «forza vitale si riconoscerà quando le parole caduche saranno scomparse». E ancora, in una delle Note dal Caucaso del gennaio 1943: «A proposito del diario: le brevi annotazioni sono spesso secche come foglie di tè. La stesura è l’acqua bollente destinata a estrarne l’aroma».
Di questo rito d’infusione e lenta diffusione dell’aroma dà prova la lettura comparata della versione originaria e della stesura definitiva dei diari della prima guerra. E la stessa procedura si rivela – esibita in esposizione sinottica – nella mostra «Arbeiter am Abgrund», Operaio sull’abisso, in corso al Deutsche Literaturarchiv di Marbach fino al 27 marzo. Qui, tra vari cimeli jüngeriani – l’elmetto del guerriero, le prede del cacciator sottile, l’ombrello colorato con cui attirava e catturava i coleotteri, la collezione dei fossili e degli orologi a polvere – ci sono ben 280 quaderni con i manoscritti autografi messi in vetrina accanto alle corrispondenti opere pubblicate. Da L’Operaio, riletto anni dopo il ’32 dall’autore che, riempiendolo di glosse segnate a margine con un «in vino error», si ricredé sull’esaltazione estetica del paesaggio da cantiere dei titani. Ai romanzi Eumeswil e Heliopolis, cresciuti per via di stratificazioni e aggiunte interlineari, sfatando il mito dell’autore romantico, il creatore demiurgico, e rivelando uno scrittore post-moderno ante litteram. Fino ai diari tutti – quelli delle due guerre e del dopoguerra, le note di viaggio, le cronache del Ribelle, Anarca, eremita e vegliardo di Wilflingen -: dispiegati come documenti di storia, archivi di esperienze, serbatoi di osservazioni, repertori di motivi. Soprattutto come laboratorio di riflessioni e di idee: messe in forma da un artigiano della parola che, di Autor und Autorschaft (è il titolo di uno dei suoi libri più belli), di «autore e autorialità», non avrebbe potuto avere una concezione meno autoritaria.