29 luglio, un giorno per ricordare le ombre su ciò che – per fortuna – non fu solo persecuzione

29 Luglio 2011

Filippo Giannini

 

SMENTITEMI SE POTETE

Ancora su una vexata quaetio:  Mussolini, il regime fascista e gli ebrei  

 

 

 

 

L’artefice della disfatta dell’Italia, artefice in parte passivo in quanto si prefiggeva tutt’altro rispetto a quello che avvenne per il suo popolo, tutti e due  traditi, umilati e “contraffatti” nei modi più ignobili, Benito Mussolini, il 29 luglio aveva il dì del suo natale. Molti fascisti per modo di dire, molti nostalgici per modo di dire, pochi neofascisti seri tra quelli rimasti lo hanno ricordato. Anche a noi sino giunti e-mail. Tra costoro ricordiamo quello di Nazareno Mollicone, sincero neofascista. Noi, che non abbiamo vissuto quegli anni e che siamo nati o negli ultimi anni del regime o nell’immediato dopoguerra, non sappiamo e non sapremo mai se, del tutto congetturando, fossimo   stati sin dalla prima ora o saremmo diventati  mussoliniani ferventi o fascisti antimussoliniani, ovvero fascisti diventati antifascisti per colpa di Mussolini o per una parte dei gerarchi che lo circondavano. Certo è, come abbiamo riportato a chiare lettere  nel nostro Documento Politico sin sul nascere di Destra Eufrasia e, quindi, de L’Europa della LIbertà, che non ci sognamo di rinnegare neppure le pagine più crudeli e stristi, come quelle delle bande antifasciste sorte nel corpo agonizzante della Nazione. Tutto ormai è consegnato alla ricerca storica che, mai neutra, è e sarà comunque l’unica ingrado di poter fornire coordinate per dibattiti sempre più aprofonditi, disincantati e seri. Men che mai ci sentiremo di rinnegare ruolo e signficato del movimento fascista, della concezione fascista e, per quello che essi divennero e cercarono di fare, il “partito” fascista  del regime a partito unico (cosa che è anche un inaccettabile controsenso). Le grandi mete agognate nell’ambito delle riforme sociali purtroppo rimasero bloccate nel loro compimeto perché il governo cercò di dedicare le maggiori enrgie al quadro internazione, realtà in cui le spinte delle grandi società finanziaie e capitalistiche trascinarono Regno Unito, Francia e USA in una guerra non guerreggiata per anni, favorendo in tal modo lo spirito della revanche hitleriana e tedesca e apertamente preparando il conflitto, anche grazie all’abbandono apparente della Polonia guidata da un governo militare di destra e mossa da intenti sciovinistici davvero antitetici rispetto a quelli germanici. La carta di maggiore peso che le potenze capitaliste occidentali usarono, graduandola a loro piacimento nella strategia di accerchiamento dei regimi di riformismo socio-economico e di “rivincira” dell’isolameto politico, fu tuttavia quella dell’egemonia dei mari e degli oceani e  quidi dei gandi traffici mondiali, ad iniziare da quelli dei rifornimeti delle materie prime, vitali per l’industria italiana e per quella giapponese. Il quadro dell’età dei nazionalismo e degli imperialismi è naturalmente molto più complesso, ma queste linee di massima sintesi non ne tradiscono affato il significato. Le tragiche vicende che coinvolsero il contesto europeo già prima dello scoppio del confitto e soprattutto nelle fasi conclusive della seconda guerra mondiale, sono ancora oggi tema di dolorosa attualità. Su tutto questo, l’anti-isarelismo italiano (da intendere non come anti – Israle, cioé come avversione a un’entità politica allora inesistente ma come anti-israelismo etnico-religioso) già allora erroneamente chiamato antisemitismo, o, in via parziaemnte erronea, antiebraismo, assunto per accontentare sul piano delle apparenze la posizione egemonica nazista, fu una responsabiltà politica soparttutto d’immagine (oltre che umana e giuridica per gli italiani israeliti colpiti), ma essa cosentì ai responsabili militari e civili della nostra Nazione di poter salvare ebrei e israeliti un po’ ovunque. In Grecia e nei Balcani, in Francia, in Italia. Tutto questo lo si deve innanzitutto a Benito Mussolini, il quale dovette destreggiarsi entro una cornice in cui i nodi più pericolosi erano presenti e agivano in maniera implacabilie ininterrotta, manovrati dai registi nazisti della caccia all’ebreo. Gli anni trascorsi da questi avvenimenti sono ancora pochi per poter fare luce senza la strumentale utilizzazione delle passioni e degli interessi ideologici, ad iniziare da quelli dell’egemonia sionista. Bene fa Giannini a ritornare sull’argomento per portare ulteriori contributi di chiarificazione, a prescindere dalle sue accese passionalità, per più di un verso  comprensibili  e condivisibili, visto qunto la ricostruzione della cruda verità dei fatti ha avuto a soffrirne in maniera esiziale. L’Europa della Libertà, nel ricordo della nascita di Benito Mussolini, senza nostalgismo retrò alcuno e on il coraggio di ricordare un uomo che fu il protagonista principe della nostra storia in anni incancellabili, soprattutto per la grandezza e la nobiltà degli obiettivi che lo muovevano, al di fuori e al di sopra dell’armamentario politico-demagogico a cui dovette sovente ricorrere per dare una coscienza nazionale a un popolo la cua anima era ancora ai primi vagiti di organizzazione civile e di solidarietà sociale. Italia Europa e Libertà, Eulà!

 

Un caro amico mi ha inviato una mail con allegato un file dal titolo Ebrei e fascismo, storia (?) di una persecuzione. È necessario scrivere che è un insieme di verità (poca), di falsità (tanta), di furbesche omissioni (molte)?
Il file è composto di undici pagine, di conseguenza sono nell’impossibilità di rispondere punto su punto, ma per dare piena soddisfazione a coloro che mi leggono e che desiderano sapere con argomentazioni documentate, invito a leggere il mio volume Mussolini, il fascismo e gli Ebrei. È un libro che mi ha impegnato per circa venti anni tra ricerche di DOCUMENTI allegati e impegno per la battitura del libro. Anticipo che è un volume di circa 350 pagine e di queste almeno 130 sono documenti, cercati e raccolti in Italia e all’estero.
Come ho scritto, mi trovo nell’impossibilità di intervenire su ogni parte di quanto ha scritto il signor Mario Avagliano (l’autore dell’articolo ricevuto). Però desidero portare un mio contributo per la ricerca di quanto è realmente avvenuto in quegli anni. Per giungere a questo proponimento voglio partire da un fatto che solo marginalmente può apparire dissimile da quello citato dal signor Avagliano.
Una decina di anni fa su il quotidiano Il Tempo di Roma, apparve un articolo del povero (morì poco dopo) Frajese, giornalista della Rai inviato in Francia, probabilmente per raccogliere documenti sulle cattiverie commesse da Mussolini. Dopo aver letto quanto Frajese aveva scritto, intervenni con una lettera al Direttore, iniziando con (cito a memoria): <Questa è una carognata>. Al che Frajese scrisse a sua volta a Il Tempo stizzito per il mio appunto, ma si guardò bene dal confutare quanto da me scritto. Rivolgo la stessa osservazione al signor Avagliano, nonché ai miei lettori e chiedo loro da che parte è la ragione. Sia il signor Avagliano che Frajese hanno presentato un documento scrivendo testualmente: <Lo sconvolgente documento che pubblichiamo qui di seguito (…)>. Lo sconvolgente documento è il seguente: <Ministero degli Affari Esteri – Appunto per il Duce – Bismarck (diplomatico tedesco presso lo Stato Italiano nel periodo bellico, nda) ha dato comunicazione di un telegramma a firma Ribbentrop (Ministro degli Esteri germanico, nda) con il quale questa ambasciata di Germania viene richiesta di provocare istruzioni alle competenti Autorità Militari Italiane in Croazia affinché anche nella zona di nostra occupazione possano essere attuati i provvedimenti divisati da parte germanica e croata per il trasferimento in massa degli ebrei di Croazia nei territori orientali. Bismark ha affermato che si tratterebbe di varie migliaia di persone ed ha lasciato comprendere che tali provvedimenti tenderebbero, in pratica, alla loro dispersione ed eliminazione (…) – Roma, 21 agosto 1942-XX>. Frajese, come è ovvio, si è fermato qui, non mancando di far notare che in cima allo sconvolgente documento appare un vistoso “Nulla Osta” e la firma del Duce. Posto l’argomento in questi termini, esso lascia la convinzione che il Duce avesse concesso il “Nulla Osta” per la consegna degli Ebrei ai tedeschi; il che sarebbe stata una carognata. Ma la carognata è essersi fermati a questo punto, tralasciando cioè il resto. Infatti apro il mio libro a pag. 154 e riporto: <(…). Prima di entrare nel merito è opportuno osservare che, dato l’andamento della guerra, il Duce, come abbiamo già scritto, mirava a differenziare la politica antiebraica dell’Italia da quella germanica anche nell’intento di porre il nostro Paese quale polo di riferimento per quei popoli europei che temevano l’egemonia del Reich. Così, quando Ribbentrop si incontrò con Mussolini, premette per tre interi giorni sull’argomento che più di ogni altro era nei desideri dei nazisti: la consegna degli ebrei. Mussolini era preso tra l’esigenza di non spingere col diniego sino ad una definitiva rottura col Führer e la volontà di non rendersi corresponsabile di un grave crimine.
Scrive Renzo De Felice (op. cit., pag. 414): <Per tutto ciò che riguardava la questione ebrei, puntare i piedi era impossibile: sarebbe equivalso a mettersi irrimediabilmente in rotta con Hitler, che in questa materia era assolutamente intransigente (e un passo della lettera recata da von Ribbentrop lo confermava senza ombra di dubbio)>. Così, messo alle strette, il Duce firmò l’ordine di consegna degli ebrei. Poi, ripartito il Ministro tedesco, convocò il generale Robotti e gli confidò: <È stato a Roma per tre giorni e mi ha tediato in tutti i modi il Ministro Ribbentrop che vuole a tutti i costi la consegna degli ebrei jugoslavi. Ho tergiversato, ma poichè non si decideva ad andarsene, per levarmelo davanti, ho dovuto acconsentire, ma voi inventate tutte le scuse che volete per non consegnare neppure un ebreo. Dite che non abbiamo assolutamente alcun mezzo di trasporto per portarli sino a Trieste via mare, dato che via terra non è possibile farlo>. Si ripeteva, in pratica, quanto avvenne in precedenza e quanto avverrà in seguito.
Léon Poliakov, Ebreo (“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pag. 221) scrive in merito alle costanti pressioni esercitate dal governo di Berlino su quello di Roma: <I loro sforzi furono vani. Sebbene Mussolini promettesse, almeno due volte ai negoziatori tedeschi di ridurre alla ragione i suoi generali, questo stato di cose si prolungò sino alla fine, cioè sino alla catastrofe italiana>. Anche Jacques Sibille, Ebreo (Gli Ebrei sotto l’occupazione italiana pag. 131) osserva: <È apparso impossibile che l’alleato di Hitler potesse porsi contro la concezione tedesca riguardo al punto centrale dell’ideologia nazista sulla questione Ebrei>.
No, caro signor Mario Avagliano, mai e sottolineo mai, fu consegnato un ebreo ai tedeschi, questo almeno sino a quando Mussolini poté esercitare il suo governo. Certo, le cose cambiarono (ma non più di tanto) dopo il colpo di Stato del 25 luglio 1943 e conseguente capitolazione dell’8 settembre dello stesso anno. Apriamo nuovamente il mio libro a pag. 187/190 e leggiamo: <(…). Ma il doloroso risveglio avvenne la mattina del 16 ottobre successivo. Più di ogni altro documento vale il ricordo della Signora Mirella Limentani che ci ha raccontato come visse quel giorno. Del suo racconto abbiamo cercato di non tralasciare alcun particolare: <Io e la mia famiglia vivevamo nel ghetto di Roma, precisamente in Via Sant’Elena. La città era piena di tedeschi e temevamo che qualcosa di grave potesse accaderci da un momento all’altro. Un giorno, il 16 ottobre 1943, avvertivo un silenzio anormale; sì, è vero, a volte il silenzio provoca un gran rumore. Erano le 6 di mattina, mi affacciai alla finestra e notai un camion tedesco che ostruiva completamente la strada e tanti tedeschi che scendevano dall’automezzo. Volsi lo sguardo nell’altra direzione e vidi alcuni tedeschi che trascinavano via un malcapitato che si difendeva dimenandosi e scalciando. Impaurita, avvertii la mia famiglia di quanto stava accadendo. Mio padre, giorni prima, aveva avvertito me e le mie due sorelle che, in caso di pericolo, ci saremmo potute rifugiare a casa di un ingegnere che viveva all’ultimo piano dello stabile. Sentimmo nelle scale un gran gridare e il rumore degli scarponi militari che salivano velocemente nei piani superiori. I tedeschi entravano con arroganza negli appartamenti, portando fuori intere famiglie di ebrei. I miei genitori ci sollecitarono ad andare a nasconderci nella casa dell’ingegnere. Mamma, che era una bella, bellissima donna, prese mio padre sotto braccio e insieme uscirono scendendo le scale e poterono raggiungere la strada senza problemi. Io e le mie sorelle lasciammo la nostra casa e salimmo velocemente le scale. Bussammo impaurite all’appartamento dell’ingegnere il quale aprì e potemmo vedere che le stanze erano piene di gente che, come noi, aveva lì trovato rifugio. L’ingegnere ci disse che non c’era spazio sufficiente per altre persone (infatti l’appartamento era piccolissimo) e, pertanto, poteva ospitare solo una di noi. Dovemmo far presto perchè sentivamo che i tedeschi salivano le scale; allora spingemmo con forza la nostra sorella maggiore nell’appartamento ed io e l’altra mia sorella gemella, Marina, ci acquattammo lungo il muro. Vedevamo dalla tromba delle scale e ascoltavamo le implorazioni degli infelici che venivano portati via accompagnati dalle urla dei tedeschi. Ci spostavamo impaurite, acquattate lungo il muro, quando, improvvisamente alle nostre spalle si aprì una porta e un uomo ci trascinò nell’interno del suo appartamento. Fu una fortuna: l’uomo, Ferdinando Natoni, che era in divisa fascista, ebbe solo il tempo per dirci di calmarci che udimmo bussare violentemente alla porta. Entrarono due tedeschi uno grassoccio, brutto, “sembrava un maiale”, era un sottufficiale, l’altro era un ufficiale “alto, bello”. Avevo diciassette anni e come tutte le ragazze di quell’età non potevo pensare alla malvagità. Il signor Natoni si fece avanti verso i tedeschi con decisione, presentò me e mia sorella come sue figlie e, mostrando la sua divisa, li invitò, con fermezza ad andarsene: cosa che fecero scusandosi per il disturbo arrecato>. Alla nostra domanda se erano tutti tedeschi, la signora Mirella ha risposto: <Tutti tedeschi, anzi, austriaci, tutti SS>.
Siamo riusciti a sentire anche la Signora Anna, figlia del signor Ferdinando Natoni, la quale ha confermato la testimonianza della Signora Mirella Limentani, aggiungendo – e lo ricorda chiaramente – che il padre, mentre la retata era in corso, si precipitò in strada e, avvalendosi della qualifica di “fascista”, pretese dalle SS la restituzione degli ebrei catturati nel suo edificio. Cosa che avvenne. La Signora Anna ci ha detto che il padre morì a 96 anni e ci ha pregato di ricordare che “non rinnegò mai la sua fede”.
La dolorosa pagina della razzia del 16 ottobre comportò la cattura di 1259 persone, uomini, donne, bambini, senza eccezione alcuna per vecchi e malati; tutti vennero trasportati a palazzo Salviati, alla Lungara. Probabilmente, per ordini superiori, ne vennero liberati 252, mentre gli altri 1007, portati alla stazione e caricati su carri bestiame. Il 18 ottobre partì da Roma il primo treno di ebrei rastrellati, diretto ai lager dell’Europa centro-orientale.
Il 20 febbraio e il 27 marzo 1944 furono effettuati dai tedeschi, in prossimità del ghetto, altre retate e fermi occasionali con conseguente deportazione. Poi, evidentemente, per il graduale potenziamento dell’Autorità della Rsi i rastrellamenti vennero man mano ad esaurirsi.
A guerra finita dei 1007 ebrei deportati ne tornarono quindici: quattordici uomini e una donna; nessun bambino.
A ulteriore conferma di quanto sin qui scritto, l’episodio di cui fu protagonista Ferdinando Natoni è ufficializzato dal rapporto Kappler, che fra l’altro attesta: <In un caso, per esempio, i poliziotti sono stati fermati alla porta di una abitazione da un fascista in camicia nera, munito di documento ufficiale, il quale senza dubbio si era stabilito nell’abitazione giudaica facendola passare come propria un’ora prima dell’arrivo delle forze tedesche>.
Ancora una volta Nicholas Farrell ci ricorda che <nell’ottobre 1943 gli Alleati non tutelavano il destino degli ebrei d’Italia come aveva fatto Mussolini>. Il 6 ottobre precedente, al Bletchley Park fu decifrato un radio-messaggio (M16) tedesco in codice, proveniente da Berlino e indirizzato al maggiore delle SS Herbert Kappler, capo della Gestapo di Roma. Questo messaggio ordinava di arrestare e deportare gli ebrei italiani. Inoltre il testo specificava che gli ebrei dovevano essere liquidati. Il messaggio, datato fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, indicava specificatamente gli ebrei di Roma che i nazisti avevano deciso di deportare. Gli Alleati, quindi, nonostante fossero a conoscenza del dispaccio M16 e ne fossero a conoscenza gli stessi Roosevelt e Churchill, nulla fecero. Avrebbero potuto allertare i tedeschi denunciando per radio quanto i tedeschi intendessero mettere in atto. Avrebbero potuto, ma non lo fecero: mantennero il silenzio>.
Allora, signor Mario Avigliano (e vari altri storici), dato che sino a quando Mussolini poté esercitare il potere nella completezza delle sue funzioni non un ebreo fu consegnato ai tedeschi, è vero o non è vero quanto ho sempre sostenuto, e cioè che quei mille infelici caduti nelle mani dei tedeschi e la loro conseguente morte, a chi dobbiamo farne carico? A Mussolini oppure al primo governo antifascista (leggi Badoglio) che coraggiosamente fuggì, consegnandosi al nemico, e mettendo nei guai non solo i nostri militari, il popolo italiano e gli stessi ebrei che sino ad allora erano vissuti senza che nessuno avesse torto loro un capello?
Prima di chiudere voglio citare un fatto assolutamente inedito. Qualche anno fa (il mio libro non era ancora stato pubblicato) mi trovavo a Sydney e precisamente a Bondi (una delle più famose spiagge del mondo), ed ero in compagnia di una mia amica (ebrea, fuggita da bambina con i genitori nel periodo bellico dalla Romania e rifugiatisi, come migliaia di altri ebrei nell’Italia di Mussolini) e decidemmo di andare a pranzare nel Club ebraico di Bondi. Alla fine sul punto di uscire, una signora della direzione mi fermò e mi chiese se ero italiano. Alla mia risposta positiva mi disse che mi voleva fare un regalo. Mi consegnò un foglio scritto in ebraico e in italiano. Sulla testata del foglio una scritta in ebraico che, ovviamente, non compresi. Chiesi alla signora di tradurmelo in inglese, cosa che fece e, grosso modo, così attesta: <Infiniti riconoscimenti>. E il testo in italiano: <Ad Alberto Calisse, Console Generale d’Italia che applicando le direttive del suo governo (leggi Mussolini, nda) agli Ebrei residenti e rifugiati nella zona di occupazione italiana in Francia, ha dato alta nobile prova di umanità e giustizia.
Omaggio di perenne riconoscenza – Nizza, 10 maggio 1943. Seguono le firme di otto Rabbini>. Per me è ancora oggi un mistero questo regalo. Come ha fatto quella signora a sapere che ero italiano e, soprattutto, sapere che mi interessavo di certi argomenti? Ovviamente il documento è allegato nel mio libro.
Concludo con una osservazione e una domanda: se tutto ciò è vero, chiedo: perché tante menzogne?
La risposta può essere quella fornita da Benito Mussolini stesso nella sua ultima intervista concessa a Gian Giacomo Cabella, quel 23 aprile 1945, a poche ore dal suo assassinio: <Le nostre idee hanno spaventato il mondo della grande finanza>. E quelle idee sono oggi ancora valide e ancora oggi spaventano quel mondo. E allora, i loro servi fedeli, continuano ad uccidere. Ma come disse un mio amico giornalista: <Non sempre i fucili uccidono!>.