Immondizia, ecologia e assilli della vita: le torce al plasma per il trattamento dei rifiuti sono un miraggio?

14 Giugno 2011

Mino Mini

 

NIMBY A ROMA

L’ISOLA DI MALAGROTTA

Un salto tecnologico ci consentirebbe di ricorrere a pochi inceneritori come misura ponte. – Avviare la grande innovazione industriale e della nuova ecologia con la torcia al plasma. –  Nuovo trattamento del riciclaggio con standard incredibili di efficienza, affidabilità, bassissimo inquinamento. – Perché non viene fatto nulla in Italia per avviare la realizzazione di questa rivoluzionaria strada? Forse lede sporchi interessi a danno della popolazione, dello spreco economico e dell’equilibrio ambientale?  – Cosa farà il governo Monti in questi mesi: sarà in gradi di rompere il muro omertoso di generale inefficienza, scegliere e subito  imprimere una svolta storica?

 

Un anno fa, commentando la sindrome di NIMBY(Not In My Back Yard), che colpì Napoli allorchè si trattò di individuare le aree indispensabili per le discariche o per la realizzazione degli inceneritori, delineammo le dimensioni del problema.
Riproponiamo una valutazione dimensionale per Roma nel momento in cui esplode, anche per essa, l’annunciata sindrome di NIMBY, ed i medici che dovrebbero prevenirla o curarla si rimpallano fra loro la decisione circa la individuazione dell’area o delle aree dove realizzare la discarica che dovrebbe sostituire la ormai ipersatura Malagrotta.
In questo ridicolo balletto di competenze Alemanno, Zingaretti e Polverini non sembrano avere chiara la posta in gioco né sembra avvertano il montante disgusto dei loro amministrati per l’insipienza dei governanti.
 Quale è l’entità del problema? Siamo in presenza di un’entità demografica produttrice di rifiuti di 4.225.244 abitanti censiti nel 2011 nell’area metropolitana di Roma. Nella realtà, la popolazione effettiva è molto superiore a quella censita, ma, non potendo disporre di dati certi, ci riferiamo a quelli ufficiali.
Facciamo un po’ di conti. A 536,55 kg di produzione annua di rifiuti pro-capite, totalizziamo 2.267.054,67 tonnellate di rifiuti in un anno. Per aiutare chi ci legge a visualizzare questa enorme quantità, trasformiamola in volume: sono 2.667.122,73 mc., ovvero, ipotizzando di esprimerlo come un edificio, avremmo un muro pieno profondo 12 metri e mezzo, alto 37 metri come la “stecca” più alta di Corviale, ma lungo 3,79 volte la stessa e cioè 5 chilometri e 762 metri. Per chi conosce Roma: da ponte Milvio al Circo Massimo compreso.
Adesso la domanda da 100 milioni di euro: come smaltiamo questa mostruosità? La risposta ce la saremmo aspettata da un sindaco laureato in ingegneria ambientale che, oltretutto, era stato ministro alle Politiche agricole e forestali e, in un più lontano passato, uno dei fondatori di Fare verde. Tanto più che in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe risolto l’emergenza rifiuti e avrebbe chiuso la discarica più grande d’Europa: Malagrotta. Non solo. Aveva anche promesso che avrebbe dato valore industriale all’azienda pubblica AMA.
 Sennonchè il 17 novembre 2010, tra la goduria dell’opposizione che soffiava sul fuoco guardandosi bene dal proporre soluzioni alternative, il sindaco confessava di non poter rispettare l’impegno per la chiusura della discarica entro la fine del mandato e nel dicembre dello stesso anno passava la patata bollente alla “governatrix” del Lazio. Al momento in cui scriviamo, dopo che era stata scongiurata la destinazione di Corcolle – San Vittorino, il NIMBY si è scatenato a Pian dell’Olmo mentre le 6.211 tonnellate giornaliere prodotte nell’area metropolitana di Roma, vanno ancora a riversarsi a Malagrotta. La vicenda, come è logico, è commentata da tutti i principali quotidiani nazionali ed ancora una volta, dai giornaloni del nord, viene riproposto il sistema virtuoso di smaltimento rifiuti di Brescia a base di raccolta differenziata, discariche di trattamento e termovalorizzatori.
 A parte l’ovvia considerazione che l’area “metropolitana” di Brescia comprende 500 mila abitanti a fronte degli oltre 4 milioni dell’area metropolitana di Roma e quindi risulta più facilmente gestibile, sono note le contestazioni che vengono mosse circa l’impiego del termovalorizzatore: possibili emissioni di gas tossici quali diossine, furani o ossidi di divinilene e SVOCs (Composti Organici Volatili Semilavorati), produzione di scorie e ceneri di fondo contenenti materiali incombusti e metalli pesanti nonché le temute ceneri volati (nanopolveri) contenenti metalli pesanti in forma di aereosol (cadmio, mercurio, piombo etc.).
Data la scrupolosità della società Aprica che gestisce lo smaltimento rifiuti di Brescia, i rischi sono senz’altro ridotti ma non si possono escludere del tutto. E basta un semplice dubbio che – come dice Ettore Ruberti ricercatore ENEA e docente universitario presso l’Università Ambrosiana – “…l’opera devastante dei cosiddetti “profeti di sventura”, ossia di variopinti personaggi (ambientalisti, opinionisti, comici, attori etc) che, lungi dall’affrontare tecnicamente le problematiche, diffondono una sottocultura del rifiuto a prescindere da qualsiasi tecnologia …” fa scatenare la sindrome di NIMBY.
Se le cose stanno così, non risolveremo mai il problema dei rifiuti?
Mai dire mai. Chi scrive non ama l’atteggiamento totalitario della tecnica lasciata senza controllo: la sindrome dell’apprendista stregone nel settore dei tecnici è diffusa quanto quella del NIMBY. Tuttavia, inserita in una visione organica e dalla stessa guidata, la tecnica può portarci alla soluzione di molti problemi. Anche quelli dello smaltimento rifiuti, come vedremo.
Occorre, però, vi sia una presa di coscienza da parte dei produttori di rifiuti, quali tutti noi siamo, e a questo fine si faccia lo sforzo di apprendere un minimo di conoscenza dei termini scientifici che stanno alla base dell’innovazione che ha caratterizzato la tecnica di smaltimento dei rifiuti. Diversamente finiremo vittime di quei “profeti di sventura” di cui si è detto, precipitando nella sindrome di NIMBY. Non è per polemica che è stato criticato il caso virtuoso di Brescia, ma per introdurre il problema dello smaltimento mediante inceneritore o termovalorizzatore che dir si voglia.
Spieghiamo: nei processi di termodistruzione dei rifiuti, la temperatura di processo nei forni tradizionali, come appunto il termovalorizzatore, è di circa 1500K (si legge 1500 Kelvin) che tradotto in gradi Celsius, quelli con cui misuriamo la febbre o la temperatura di cottura del forno a microonde, corrisponde a 1226,85°C ovvero 1226,85 gradi. A questa temperatura i rifiuti, specie quelli pericolosi, non vengono completamente distrutti e si hanno tutti quei residui gassosi e solidi di cui si è detto e tutti i pericolosi effetti conseguenti alla loro dispersione. Non a caso tali residui devono essere smaltiti in discariche rigorosamente controllate per diversi anni.
Esiste, oggi, la disponibilità di una tecnica innovativa messa a punto, a suo tempo, dai laboratori della NASA: la torcia al plasma.
Cosa sia il plasma non è facile esprimerlo in parole povere. E’ un gas ionizzato, ma non ha nulla a che fare con il terzo dei tre stati della materia – solido, liquido, aeriforme. Essendo costituito da elettroni e ioni, “ionizzato” indica che una frazione significativamente grande di elettroni è stata strappata dagli atomi. Si trovano sotto forma di plasma il sole, le stelle, le nebulose.
 Affascinante vero? Ma ai nostri fini non serve andare oltre nell’esposizione se non per far intendere che stiamo parlando di uno stato della materia -definito addirittura quarto stato – che mediante un opportuno dispositivo, la torcia al plasma appunto, è in grado di raggiungere altissime temperature. Da 7.000 a 13.000°C, a seconda del tipo di torcia utilizzato. Senza raggiungere livelli così spinti, l’applicazione della torcia al plasma sui rifiuti permette di generare una “zona” di reazione ove la temperature è compresa tra i 3.000 e i 4.000°C. Ed è in quella “zona” che il problema dello smaltimento dei rifiuti si risolve. Infatti, i rifiuti inorganici vengono fusi e trasformati in una roccia di tipo vulcanico chiamata Plasmarok. Una specie di lava totalmente inerte e non tossica nella cui matrice vetrosa sono inglobati e totalmente inertizzati i metalli pesanti. I rifiuti organici contenuti nei RSU (Rifiuti Solidi Urbani) si decompongono molecolarmente, cambiano natura e si trasformano in gas di sintesi (syingas), essenzialmente composti da idrogeno (˜53%) e da monossido di carbonio e metano, utilizzati per produrre energia elettrica.
Non si hanno le emissioni di gas tossici che si riscontrano nei termovalorizzatori, non si hanno scorie, né residui carboniosi (char ),né idrocarburi pesanti ( tar ). Non si hanno ceneri di alcun tipo né le tanto temute nanopolveri.
 D’altronde, l’utilizzo delle torce al plasma è un sistema già ampiamente utilizzato per il trattamento di rifiuti industriali tossici, delle ceneri prodotte dagli inceneritori, dei terreni contaminati, dei rottami metallici ferrosi e in lega. In Francia vi sono due impianti funzionanti e uno in Norvegia. Altri sono sparsi in America, Giappone, Regno Unito.
 E in Italia? Non domandate dove si possa visitare un impianto di torcia al plasma. Semplicemente: non c’è. Però ci sono già gli oppositori che strillano “No alla torcia al plasma” e motivano tale presa di posizione con dubbi e diffidenze basate su ipotesi prive di alcuna conoscenza del fenomeno. Eppure abbiamo in Italia un motore di ricerca per la tecnologia del plasma: è il CNR, precisamente il suo Istituto di fisica del Plasma di Milano che da oltre tredici anni si occupa delle applicazioni del plasma nell’industria, nella metallurgia e nello smaltimento dei rifiuti. C’è qualche università che svolge qualche timida ricerca su questi impianti analizzando qualche modello teorico, ma nessuna concreta realizzazione.
Ebbene: chi più di un ingegnere ambientale con oltre 4 milioni di produttori di rifiuti e che è diventato sindaco con la velleità di dare valore industriale all’azienda pubblica di smaltimento rifiuti, avrebbe dovuto impegnare una branca della stessa nella ricerca e nella realizzazione sperimentale di un impianto con tecnologia al plasma?
 Ragioniamo: un impianto di medie dimensioni non può trattare più di 100mila tonnellate l’anno di RSU; questo significa che può servire 186mila abitanti circa. Esistono due municipi romani che si avvicinano a questa dimensione: il X° con 184.197 abitanti su 38,680 kmq e il XIX° con 184.911 abitanti ma con la disponibilità di 131,283 kmq. Ipotizziamo di prendere in considerazione il XIX° Municipio dove installare sperimentalmente l’impianto con tecnologia al plasma. Avremmo bisogno di una discarica dove effettuare il pretrattamento che dovrà accogliere 273,97 tonnellate al giorno. Se separiamo il materiale organico per produrre il compost che costituisce dal 30 al 40% del RSU, ridurremo quest’ultimo a 178 t circa ovvero a 209,50 mc.. Stratificandolo con uno spessore di 70 cm, avremmo che la discarica avrebbe una dimensione minima di 300 mq senza odori di sorta. Situazione facilmente smaltibile in un giorno e troppo bella per essere vera.
Se invece il RSU fosse, come si dice, “tal quale” allora – sempre nell’ipotesi dello smaltimento giornaliero – necessiteremmo di 461 mq di discarica.
 Potremmo divertirci a lungo a calcolare le superfici necessarie alla discarica, al trituratore ( il RSU va triturato, separato magneticamente e compattato ), all’impianto di termocombustione con tecnologia al plasma, ma non è questa la nostra intenzione. Vogliamo mostrare come un’accorta politica di ricerca e sperimentazione avrebbe permesso di poter valutare, in termini di costi, di fattibilità, di servizio, di sicurezza della salute pubblica, la validità di un sistema articolato in diversi impianti con tecnologia al plasma di medie dimensioni oppure l’opportunità di realizzare un megaimpianto magari a tecnica mista: torcia al plasma e Thor a forno elettrico ad arco. Il primo per vetrificare i residui del secondo più adatto allo smaltimento del RSU “tal quale”.
Già disponiamo di alcune valutazioni che sono, però, da verificare sperimentalmente. Secondo Ettore Ruberti, più sopra citato, “ l’efficienza delle torce al plasma rende tale tecnologia più economica dei termovalorizzatori di ultima generazione, consentendo una riduzione dei costi di costruzione e di gestione anche del quaranta per cento”.
Ma c’è di più. I conti sommari ed un po’ limitati con i quali ci siamo divertiti, fatte le debite tare all’ottimismo espresso dalle cifre, mostrano una prospettiva interessante:
risolvere il problema dei rifiuti per entità urbane dimensionalmente equilibrate senza ricorrere alle megadiscariche. La tecnologia al plasma, priva di quegli inconvenienti che pregiudicano l’accettazione dei termovalorizzatori, consentirebbe la collocazione degli impianti all’interno dei quartieri urbani per i quali potrebbero essere, oltre che smaltitori di rifiuti, fonti di energia basata sull’idrogeno.
Non ci dilunghiamo sulle implicazioni di natura urbanistica che la prospettiva accennata lascia intuire. Le rinviamo ad un’altra dissertazione.
“In cauda venenum” potremmo deliziarci con questa considerazione poco “politicamente corretta” perché realistica: se al posto dei nostri attuali governanti ci fosse – con i suoi poteri – Mohammed bin Rashid Al Maktoum, lo Sheik Mo emiro del Dubai, avremmo risolto il problema: costruiremmo una fantastica laguna artificiale sui bassi fondali del mare laziale e su un’isola, anch’essa artificiale, al suo interno adibita a discarica piazzeremmo il relativo impianto con tecnologia al plasma dall’architettura fantastica. Non sarebbe una Malagrotta, ma un’isola meravigliosa, una Bellagrotta di insuperabile architettura e di alta tecnologia del riciclaggio. Nel più avanzato modello di integrazione con l’ambiente naturale.