I misteri sull’euro e sui profitti nascosti. Il palinsesto che non si vede, di Foa e Grigoletti

31 Gennaio 2012

Fonti: Il Giornale on line, www.capiredavverolacrisi

Marcello Foa, Mario Grigoletti

 

Le vie dell’euro non sono per tutti le stesse. Disparità di diritti e di doveri. E di profitti da un lato, di oneri dall’altro

 

E’ uno dei tanti paradossi dell’euro: ai tedeschi, ai severissimi tedeschi, è concessa una facoltà che è negata agli altri membri dell’eurozona e che è fondamentale per tenere bassi i tassi di interesse sul debito pubblico. Trattasi del diritto, accordato alla Bundesbank, di comprare i Bund quando non ci sono abbastanza acquirenti. Come spiega Mario Grigoletti nel sito “capire davvero la crisi”, di cui sono uno dei cofondatori, questo diritto è negato all’Italia. E si tratta di una discrepanza tutt’altro che secondaria, perché quano i titoli di Stato di un Paese sono sotto attacco, il fatto che la banca centrale possa acquistare quelli invenduti, sostituendosi agli acquirenti privati, permette di tenere bassi i tassi di interesse e, in ultima analisi, di scongiurare un default.
Per intenderci: se la Banca d’Italia avesse avuto questa possibilità, lo spread non sarebbe schizzato alle stelle. Ma non l’aveva e sappiamo com’ è andata a finirte, mentre la Bundesbank ce l’ha e se ne avvale molto più frequentemente di quanto si immagini (leggete l’articolo di www.capiredavverolacrisi.com ). E così riesce a rifinanziarsi a tasssi molto più bassi dei nostri.
Trattasi di un espediente, utilissimo ma molto italiano e poco tedesco. Eppure negato agli italiani e praticato dai tedeschi. In un gioco delle parti invertito, che grida vendetta. Perché le regole dell’Eurozona, applicando il sillogismo, anche morale, tanto caro alla Merkel, devono valere per tutti. E allora Berlino dia l’esempio e rinunci al privilegio oppure  la Ue lo estenda a tutti i membri.
Perché l’Italia tace? Perché non solleva il problema nel Consiglio europeo? L’Italia deve sempre e solo subire?

 

  • Marcello Foa, a lungo firma de Il Giornale, ora dirige il gruppo editoriale svizzero TImedia ed è docente di Comunicazione e Giornalismo. Il Cuore del mondo è diventato un blog indipendente ospitato da ilgiornale.it

Tutti gli articoli di Marcello Foa su ilGiornale.it

“Ridateci la sovranità monetaria Non c’è speranza con l’euro” Dopo Annozero, parla la Salvador

 

Nella famosa puntata di Servizio Pubblico andata in onda qualche settimana fa, quando l’ospite principale era l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ha fatto un ottimo intervento, che sta avendo un notevole successo sul web, Francesca Salvador. La sig.ra Salvador è una commerciante veneta, di Vittorio Veneto, che in questo periodo si occupa di volontariato, creando convegni e conferenze, in particolare per l’associazione Salusbellatrix di cui è presidente. Recentemente si è candidata alle prossime elezioni nelle liste del Partito Azione Sviluppo.
Il suo intervento da Santoro sta riscuotendo notevole successo perché la sig.ra Salvador ha parlato apertamente, cosa senza precedenti in prima serata, di signoraggio bancario, di ritorno alla sovranità monetaria e dei stretti legami tra il governo Monti, i poteri finanziari e i gruppi d’influenza poco trasparenti come l’Aspen, il Bilderberg e la Trilaterale, di come l’ingresso e la permanenza dell’Euro siano un errore e di come l’uscita dalla “zona euro” sia l’unica via di salvezza per il nostro Paese. Per questi motivi abbiamo deciso d’intervistarla per capire più a fondo le sue convinzioni politico-economiche.
Sig.ra Salvador, le tesi espresse da Lei durante la puntata di Servizio Pubblico sono molto forti, possiamo chiederle dove si è documentata per sostenerle?
Mi sono avvicinata ai temi economici molto tardi, prima ero più interessata ai temi medici e salutari, intorno al 2004/2005, ho letto qualcosa di Auriti, Marco della Luna, Keynes, fino ad arrivare da ultimo a Paolo Barnard, la positive money e tutte queste altre teorie tra cui ovviamente il signoraggio.
Spesso queste stesse tesi sono marchiate soprattutto dai media mainstream come tesi populistiche o addirittura complottiste, come mai secondo Lei?
Perché il mainstream è tutto assoggettato ai poteri forti, la realtà è questa, se Lei ripercorre gli ultimi dieci anni dall’entrata nell’euro, l’esaltazione e la magnificenza per questo programma; eppure c’erano state delle persone, anche premi Nobel dell’economia, che avevano messo in guardia dal progetto europeo, ma se tutto il sistema mainstream era in favore ed esaltava questo progetto qualcosa sotto c’era. Bisogna anche dire che non hanno nemmeno aperto gli occhi di fronte all’evidenza come quando ci hanno imposto Monti, mentre dalla rete si alzavano moniti riguardo l’affiliazione di Mario Monti con i poteri forti internazionali.
Alla domanda di Santoro su quale fosse secondo Lei una soluzione, Lei ha sostenuto la ripresa della sovranità monetaria. Questa tesi, che sta avendo un certo seguito sul web e in maniera esponenziale nei Paesi colpiti dalla crisi del debito, è poco chiara in molti aspetti tra cui, la sicura speculazione finanziaria sulla nuova moneta, il tasso di cambio con l’euro, il valore del mercato immobiliare, i benefici e i costi per le imprese italiane e il rischio di stagflazione nel primo periodo data la bassa crescita economica del nostro Paese …
Ci vuole innanzi tutto una forte volontà politica e una classe politica che si avvalga della collaborazione di tecnici, non quelli attuali, si potrebbe utilizzare la nuova Lira in un primo momento affiancandola all’euro, una doppia circolazione, perché la sovranità monetaria è uno strumento potentissimo, come avere una Ferrari in mano, che ti può portare lontano se la sai condurre, ma che se non usi con la dovuta cautela, ti fa schiantare sul primo platano!
Crede che con il ritorno alla Lira la pressione fiscale diminuirebbe? E il credito delle banche sarebbe facilitato? Se si perché?
Con la riforma bancaria si troverà il sistema di finanziare le imprese a costo quasi zero o come dice qualcuno a tassi negativi, la pressione fiscale più bassa sicuramente si, perché con la sovranità monetaria lo Stato non ha bisogno delle tasse dei cittadini per finanziare la spesa, in primis si auspicano  la scomparsa totale delle imposte indirette, come le accise sul carburante, che sono le più anti democratiche, provi anche a pensare  che anche se pagando un 30% in più per le materie prime, una volta che le importi e non ci paghi più le tasse, la benzina ci costa metà.
Lei durante il suo intervento ha sostenuto che l’Italia compra la moneta estera da banchieri privati per finanziare il welfare. Cosa cambierebbe con la Banca d’Italia che anch’essa è di proprietà di banchieri privati?
Per quello quando io parlo di sovranità monetaria, intendo la nazionalizzazione della banca centrale, poiché la moneta deve essere di proprietà dei cittadini. Ma da subito noi potremmo comunque sfuggire al raggiro dei banchieri,  è stato spiegato bene da Loris Palmerini, noi ci finanziamo attraverso le banche private perché non possiamo andare direttamente alla BCE che stampa moneta, e questo passaggio ci costa. Se non sbaglio le cifre la BCE gira alla banche private il denaro con un tasso dello 0,75%, quest’ultime lo vendono a noi Stati con un tasso del 5% circa; all’interno del Trattato di Lisbona c’è un articolo in cui si specifica che gli Stati non possono acquistare la moneta direttamente dalla BCE, ma c’è un comma in un altro articolo che dice che una banca pubblica può accedere al credito alle stesse condizioni delle banche internazionali, quindi se io nazionalizzo una banca, ad esempio l’MPS, mi finanzio il debito pubblico allo 0,75%  invece che al 5% e da domani mattina invece di finanziarci il debito pubblico con 100 miliardi di euro lo facciamo con 20 miliardi. Mi sembra che ci sia una bella differenza. Dovrebbero nazionalizzare la BCE ma non lo faranno mai.
Proprio per quanto riguarda i trattati europei, l’Italia è entrata a far parte dell’Euro in base al comma 2 del art.11 della Costituzione che prevede la possibilità di cessioni di sovranità a enti sovranazionali in condizione di eguaglianza con gli altri paesi membri. Questo fu pensato ed inserito al tempo per l’ingresso nella NATO, per quanto riguarda l’euro però il comma 2 non dovrebbe essere valido, in quanto le quote della BCE non sono paritarie tra i vari Stati membri e l’Italia ha addirittura una quota minore del Regno Unito che non ha adottato l’Euro. Secondo Lei si potrebbe arrivare a dire che l’Euro è incostituzionale?
Tutto quello che hanno ordito è incostituzionale! La maggior parte delle persone crede sia impossibile recedere dai trattati europei, mentre basterebbe che il governo scrivesse una lettera ai vertici europei e tempo due anni siamo fuori dall’europa , dall’euro, e da tutti gli stravolgimenti della nostra costituzione  compreso il pareggio di bilancio inserito in Costituzione, perché bisogna riprenderci tutti i pezzi di costituzione ceduti da dei politici servi dei banchieri, non maggiordomi, servi, perché i maggiordomi hanno una loro dignità.
Lei ha parlato di un disegno politico economico che mira a portare tutta la ricchezza europea verso l’1% a discapito del 99%. Ci può spiegare di che si tratta e chi lo avrebbe pianificato? Come si spiega che sia stata la sinistra, nel nostro paese, a spingere così tanto per l’euro? E perché la destra non ha mai fatto nulla per impedirlo?
I politici nulla possono, eseguono solo gli ordini del potere economico, che poi cannibalizza il potere politico. Parlando degli ultimi 20 anni,  partendo dal Britannia, dopo che una classe politica che ha osato mettersi di traverso è stata spazzata via con Tangentopoli  e chi è rimasto ha dato il via alla svendita del nostro Paese.
Secondo Lei ci sono politici italiani, ma anche europei che non siano influenzati/controllati dai gruppi che Lei stessa ha citato durante il suo intervanto? Parlo di Aspen, Trilaterale, Bilderberg ecc …
Da anni sostengo ormai che sia la destra che la sinistra sono state inquinate da questi gruppi, è un teatrino di persone che si mettono d’accordo sotto banco. Io non voglio fare discorsi populisti e ho io di persona conosciuto politici onesti, io sarei la prima a votare per quei parlamentari che si fossero dimessi a novembre del 2011 quando è stato imposto il governo Monti.
Molti insistono che l’idea di uscita dall’Euro è carburante per le peggiori destre nazionaliste e rischia di portare l’Europa al indietro di 70 anni. Non le sembra invece che il vero carburante delle destre nazionaliste sia proprio il perdurare dell’Euro a discapito delle popolazioni?
Si, io non riesco a capire come le persone non abbiano ancora capito la gravità della scelta di entrare dentro l’Euro, la Germania ci ha guadagnato mentre noi ci abbiamo solo perso, si sono arricchiti comprando anche nostro debito pubblico. Ma i paesi del nord Europa che per ora stanno godendo dell’euro a discapito dei paesi mediterranei tra poco si accorgeranno che questo sistema è stato messo in piedi per far vincere il banco, adesso anche da loro si inizia a sentire la crisi, finiremo tutti in braghe di tela e ad arricchirsi saranno sempre i soliti noti.
La situazione attuale d’impasse dell’Euro, è una moneta ma non è uno Stato, c’è un parlamento ma non ha potere legislativo, è in crisi ma chi solo pensa di uscirne è minacciato da speculazioni ed accusato di voler riportare la guerra in Europa, a suo parere è stata creata ad arte per spingerci a cedere  più sovranità nazionali, le poche restanti, alla Ue?
Scherzi? È a questo che vogliono arrivare, senza arrivare al complottismo. Monti lo ha anche confessato: “abbiamo bisogno di crisi per maggiori cessioni di sovranità …” , questo processo è arrivato talmente avanti che sono così convinti di aver ormai vinto che non lo nascondono nemmeno più.
Il motto della rivoluzione americana era “no taxation without representation”. Il   parlamento europeo ad oggi non ha alcun potere legislativo e il suo unico potere di abrogazione delle leggi formulate dalla commissione europea si applica solo con un voto unanime, cosa alquanto rara; si potrebbe applicare il motto della rivoluzione americana per tutte le sanzioni che siamo costretti a pagare all’UE?
Può essere, ci violentano in andata e in ritorno, ci violentano in andata perché dobbiamo usare l’euro con i tassi d’interesse e i malefici che ne derivano allo Stato italiano, e ci violentano anche al ritorno perché ci costringono a pagare queste tasse su quello che noi non applichiamo, perché loro devono decidere su cosa dobbiamo coltivare, come lo dobbiamo coltivare, cosa dobbiamo mangiare e cosa dobbiamo vedere passare sopra i nostri cieli, ma stiamo scherzando? Noi ci dobbiamo riprendere la nostra sovranità, ma non solo quella monetaria, la sovranità in senso lato.

 

Debito, la Germania viola le regole Ma perchè nessuno ne parla?

 

In questo periodo di crisi economica abbiamo letto molte volte sui giornali della superiorità tedesca dei conti pubblici, del rispetto delle regole, del rigore sia morale che di bilancio e così dicendo … Si, perché anche se l’Unione Europea dovrebbe essere un unione tra pari, oramai anche un non vedente noterebbe che la Germania si è appropriata delle leve di comando, dando lezioni a tutti, talvolta persino alla BCE, o con invasioni di campo di dubbio gusto, in Italia o in Francia, come quando la Cancelliera Merkel fece un pubblico endorsment in favore di Sarkozy durante l’ultima campagna elettorale. Negli ultimi mesi sotto il vigile occhio teutonico, ci sono state le presunte misure non convenzionali della BCE per “mettere in sicurezza” il debito pubblico dei Paesi deboli dell’eurozona. E sempre i tedeschi hanno assunto il ruolo di censore, ad esempio denunciando la presunta volontà di alcuni governi di utilizzare la BCE come strumento di politica di bilancio, rendendo un ruolo incompatibile con il suo mandato restrittivo.
Ma pochi giorni fa è andato in scena quello che si potrebbe definire l’esemplificazione perfetta della politica “fate come dico io e non come faccio io” di marca germanica. Dopo gli ennesimi risultati mediocri dell’asta a 10 anni dei Bund tedeschi, la Bundesbank è intervenuta comprando titoli di Stato tedeschi. E mica per importi ridotti. Su 5 miliardi di Bund messi all’asta, ne ha acquistati oltre un miliardo, pari al 22,60%. Ovvero è intervenuta per scongiurare un flop clamoroso insomma la Bundesbank, custode dell’ortodossia, si è trasformata in “protettrice” dell’immagine del debito tedesco.
Ma non è questo il comportamento che la stessa Bundesbank condanna a livello europeo, al punto che, in passato,  due suoi alti funzionari  si sono dimessi dalla BCE per protestare contro la violazione di disciplina? Infatti, tali acquisizioni del debito pubblico sul mercato primario sono severamente vietate alla BCE.
Un tabù, per tutti, ma non per la Bundesbank, come ammesso dall’ex Presidente e membro del consiglio di governo della BCE dal 2004 al 2011, Axel Weber; che all’ultima Global Internship Conference ha sottolineato nel suo discorso che: “… quando il debito tedesco è rilasciato sul mercato, la Bundesbank nel corso degli anni e ancora oggi, ha un ruolo nella gestione di tali problemi di debito. Quindi se c’è meno sottoscrizione, è necessario, al fine di preservare il prezzo, che la Bundesbank assuma questi titoli in portafoglio, per poi rivenderli in modo più opportunistico in seguito. È un ruolo di puro agente fiscale, ma non ha nulla a che fare con la politica monetaria. E qualcuno deve farlo, non dovrebbe essere la Banca centrale, ma se è la Banca centrale deve essere chiaro: si tratta di un ruolo di un agente fiscale sotto gli auspici della politica fiscale “.
Dunque la Bundesbank aiuta il governo tedesco a tenere sotto controllo i conti, perché, come avvenuto in Italia, minori vendite sui titoli di Stato comportano un aumento dei tassi di interesse e un aumento del deficit.
E quella di pochi giorni fa non è stata certo un’eccezione; la Bundesbank non solo interviene in tutte le aste del debito, indipendentemente dalla scadenza del debito emesso, ma il suo acquisto del 22,60% è ben lungi dall’essere un record, infatti nel giugno 2008 la Bundesbank ha dovuto acquistare 40,5% dell’importo di Schatz (titoli del tesoro) rilasciato quel giorno, il record per il Bund è 39,27% nel mese di novembre 2011 e per il Bobl è 41,51% nel 2003.
Eppure quasi nessuno ne parla. Secondo Marco della Luna, che da tempo denuncia storture e abusi dei mercati finanziari “ si tratta di una violazione dei trattati. La Bundesbank compera i Bund alle aste, sul mercato primario, per tenerne viva la domanda e finanziare la RFT e tener bassi i tassi, mentre l’Italia non lo può fare a seguito della riforma del 1981, che si conferma quindi fatta per sottomettere l’Italia e lasciarla depredare dall’estero.”
L’asimmetria tra Germania e Italia è evidente. Loro possono salvare il proprio debito pubblico, noi no. Loro impongono regole agli Stati dell’eurozona che loro stessi non rispettano, che hanno l’effetto ultimo di soffocare le economie nazionali ed esporre i debiti di Paesi come l’Italia alla speculazione internazionale.  La nostra classe politica non sembra nemmeno consapevole del problema. Ma le regole devono valere per tutti. Altrimenti, a perdere, sarà sempre e solo l’Italia.
 
Debito, la verità è che l’Italia è più solida di quello che dicono
Viene qui riportata la seconda parte dell’intervista al prof.Fortis, incentrata su: debito, conti pubblici e ricchezza delle famiglie.
Prof. Fortis, Lei da tempo sostiene che includendo anche il debito privato – e non solo quello pubblico – l’Italia risulta uno dei Paesi più virtuosi. L’ultimo anno di Monti ha cambiato il quadro? La sua affermazione è ancora valida?
Questa crisi mondiale nata nel 2008, Grecia a parte, non è nata dal debito pubblico ma dal debito privato, che è cresciuto in misura abnorme in molti Paesi (USA, Spagna, UK, Irlanda, Olanda, ecc.) sull’onda della “bolla” immobiliare e finanziaria sorretta proprio dal crescente indebitamento simultaneo sia delle imprese di costruzioni sia delle famiglie per i mutui per la casa. La crescita di molti Paesi era “drogata” dai debiti ed ora il mondo ne pagherà a lungo le conseguenze. Intanto i debiti pubblici sono a loro volta esplosi: per tamponare i debiti privati, per salvare le banche, per le minori entrate fiscali provocate dalla crisi e per sorreggere, ancora una volta in modo artificiale, le economie e la crescita del PIL con incentivi ai consumi. L’emblema di questa contraddizione sono il “fiscal cliff” americano e le acrobazie politiche con cui si cerca di aggirarne le conseguenze.  Siamo entrati nell’era del “deleveraging”, in cui non si potranno più fare per molto tempo né debiti pubblici né privati e la crescita del mondo avanzato resterà assai debole. L’Italia non ha partecipato alla grande “bolla” dei debiti (lo aveva fatto ai tempi della prima Repubblica, col debito dello Stato che correva e di cui paghiamo ancora oggi gli abusi). Il nostro è un Paese di cittadini risparmiatori e prudenti per natura ed ha perciò il debito delle famiglie più basso tra le economie avanzate ed un debito delle imprese a livelli fisiologici. Ne consegue che presenta il più basso debito privato complessivo (somma dei debiti di famiglie ed imprese) assieme alla Germania. Possiede inoltre un grande patrimonio immobiliare non gravato da debiti. Il basso debito privato e l’alta ricchezza degli italiani sono carte che l’Italia, con Tremonti ministro dell’Economia, ha ben giocato a Bruxelles, tant’è che la Commissione europea ha introdotto tra i suoi 11 indicatori di sorveglianza dello squilibrio macroeconomico tre variabili chiave.
Quali?
1) il debito privato (che non può superare il 160% del PIL; l’Italia è al 129%);
2) il flusso di credito al settore privato (che annualmente non può superare il 15% del PIL; l’Italia non lo ha mai fatto dal 2011 al 2011 diversamente da Spagna, Irlanda, Portogallo, UK che hanno sforato in molti anni);
3) la posizione finanziaria netta sull’estero, cioè lo stock di tutti i debiti netti verso l’estero, non solo quello pubblico ma anche quelli privati (stock che non può eccedere il 35% del PIL; l’Italia è al 20,6%).
Questi 3 indicatori, ancorché tuttora poco noti persino agli analisti, sono un importante passo in avanti per capire la reale sostenibilità finanziaria di un Paese. Ma non bastano. Bisognerebbe fare di più. Ad esempio, rapportare tali indici, come sarebbe opportuno anche nel caso del debito pubblico, non solo al PIL ma anche alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie, che è il vero polmone finanziario di ogni nazione. Si scoprirebbe così che anche il debito privato, e non solo quello pubblico, della Grecia è insostenibile. E si capirebbero le vere ragioni per cui Irlanda e Spagna sono entrate in crisi, cioè l’erosione della ricchezza privata e la fragilità del sistema bancario. Mentre emergerebbe meglio la capacità dell’Italia di sostenere il proprio debito pubblico, anche se, ovviamente, ciò non toglie che dobbiamo fare di tutto per ridurlo.
Perché i politici non parlano di  questi dati? Anche per ristabilire la famosa credibilità all’estero?
Tremonti ha usato utilmente il binomio basso debito privato/alta ricchezza privata degli italiani nelle negoziazioni con Bruxelles. Berlusconi ha invece abusato più volte di questo indicatore nella sua comunicazione, tutto intento a dimostrare che la crisi non c’era e che “i ristoranti erano pieni”. Forse per questa ragione il centro-sinistra non ha mai cavalcato più di tanto il tema della ricchezza degli italiani, per non portare acqua al mulino dei propri avversari.
Non ci sembra sia cambiato molto lo scenario…
La situazione, mi pare, si sta riproponendo tal quale anche in questa campagna elettorale. Il governo Monti, da parte sua, non ha prestato particolare attenzione al tema della ricchezza elevata delle famiglie italiane, impegnato com’era a salvare il Paese dal default statale a cui ci aveva avvicinato l’impennata dello spread del 2011 e a rispettare l’impegno del pareggio di bilancio preso con l’Europa. Forse, una volta rimessi in ordine i conti statali, Monti avrebbe potuto giocare la carta del basso debito privato e dell’alta ricchezza italiana per rinegoziare con l’Europa condizioni più realistiche dei tempi di riduzione dello stock del debito pubblico. Ma non ne ha avuto il tempo.
 L’Italia ha il più alto rapporto tra ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil in Europa, di gran lunga davanti a Francia e Germania. Crede che le attuali misure di austerity stiano minando questa ricchezza che lei stesso ha definito “l’indicatore più importante per capire la sostenibilità finanziaria di un’economia nazionale”?
Negli ultimi 3 anni la ricchezza delle famiglie italiane, pur restando elevatissima, è stata notevolmente erosa dalla crisi, specialmente quella finanziaria, a causa della caduta del valore dei titoli pubblici e di quelli delle banche in borsa, in gran parte dovuta ai timori sul futuro dell’euro piuttosto che non ai nostri fondamentali. Ma ora, fortunatamente, si assiste ad una ripresa di azioni ed obbligazioni. Lo stock di ricchezza, pur avendo componenti solide come i depositi, è composto anche di asset più volatili, che possono fluttuare sotto la spinta dei mercati. E’ ciò che è avvenuto nel 2011. Se però, passata la buriana sull’euro grazie a Draghi, l’Italia si rappresenta ora per quel che è, cioè un Paese ricco, non vi è nessun motivo per dubitare che le azioni delle nostre banche o le nostre obbligazioni statali non possano ritornare ad avere valori più aderenti alla realtà.
Quindi?
Il risparmio degli italiani resta un bene strategico. E’ il secondo pilastro su cui si regge la nostra società, assieme all’industria manifatturiera. Gran parte della ricchezza accumulata nel nostro Paese, sotto forma di abitazioni e attività finanziarie, è nata proprio dalla capillare distribuzione sul territorio di molteplici iniziative di piccola e media impresa, in particolare nel manifatturiero e nei servizi ad esso collegati, e dal risparmio che su tali iniziative è stato pazientemente costruito, anno dopo anno. A dicembre, quando la Banca d’Italia pubblica la sua consueta nota annuale sulla ricchezza delle famiglie italiane, i nostri media tendono sempre a titolare a caratteri cubitali, tanto per “fare notizia”, che il 10% degli italiani più abbienti detiene oltre il 40% del patrimonio complessivo del Paese. Con ciò alimentando tra i cittadini più poveri rigurgiti di insofferenza verso i “ricchi”, ignorando che negli Stati Uniti, in Svezia, in Germania e in Svizzera il 10 % dei cittadini più facoltosi detiene addirittura il 70-80% della ricchezza totale. Basterebbe leggere più attentamente il rapporto della nostra banca centrale per scoprire che “secondo le stime disponibili, nel confronto internazionale l’Italia registra un livello di disuguaglianza della ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto, anche rispetto ai soli paesi più sviluppati”.
Non è certo il quadro che ci viene descritto dai media nazionali…
Fonti:eleborazione fondazione Edison su dati Credit Suisse e Commissione Europea.
Secondo la più approfondita ricerca mondiale sulla ricchezza, elaborata dal Credit Suisse (clicca sul grafico per ingrandire l’immagine), l’Italia può addirittura vantare il quarto più alto livello a mondo di ricchezza mediana per adulto, dopo Australia, Lussemburgo e Giappone, nonché uno dei più bassi indici di Gini (che è un classico indice di concentrazione). Molti analisti pensano erroneamente che tale bassa concentrazione della ricchezza complessiva delle famiglie italiane sia dovuta al nostro patrimonio immobiliare, che è certamente elevato e diffuso, e del quale comunque non dovremmo “vergognarci” quasi che fosse un segno di arretratezza. Ma anche a prescindere dagli immobili, il Nord Italia presenta una ricchezza finanziaria netta pro capite assai più alta dell’Olanda e del Belgio, che sono le nazioni più ricche d’Europa; il Centro Italia è più ricco della Germania; mentre lo stesso Mezzogiorno ha una ricchezza pro capite in linea con quella della Svezia. Se l’Italia nel 2012 ha evitato il default non è certo perché il nostro rapporto debito pubblico/PIL è migliorato rispetto al 2011 (è, anzi, peggiorato). Ma perché il Governo italiano per avvicinarsi al pareggio di bilancio ha potuto tassare a piene mani (dimostrando all’Europa e ai mercati di poterlo fare facilmente) un Paese ricco a livello di risparmio. Altre economie in crisi non hanno potuto (e non potrebbero) imitare l’Italia quanto a rigore fiscale ed aumento della tassazione, per il semplice motivo che sono assai meno ricche di noi e la loro ricchezza è più concentrata in poche mani rispetto alla nostra.
 Il governo uscente ha puntato molto sull’abbattimento del debito con il rigore finanziario , tra il secondo trimestre 2011 e il secondo trimestre del 2012 è cresciuto meno di quello di Gran Bretagna, USA e addirittura della Germania,  il rapporto debito/Pil invece continua a  peggiorare per colpa della contrazione dell’economia dovuta al rigore, siamo diventati troppo virtuosi?  Troppo rigore?
Monti ha fatto fare agli italiani i “compiti a casa” per evitare il default a cui siamo andati vicini nel 2011 a causa della perdita di credibilità del Paese. Ha dovuto alzare le tasse (IMU, IVA, ecc.) ma non c’erano molte altre soluzioni. La stessa IMU, al centro del dibattito elettorale, può essere rimodulata, tolta o alleggerita sulle prime case dei cittadini meno abbienti, ma di sicuro non può essere eliminata. Purtroppo non ci si può allontanare dalla linea del rigore.
Quindi chiunque sarà nel prossimo governo non potrà fare cambiamenti dalla linea del governo Monti? 
Si può fare miglior rigore, tagliando le spese anziché aumentando le tasse. E si può rinegoziare la stessa austerità su basi più ragionevoli con Bruxelles, proprio valorizzando indicatori, come il basso debito privato e l’alta ricchezza delle famiglie, che dovrebbero essere utilizzati da tutti, anche da Monti o da Bersani, e che non devono fare “paura” solo perché Berlusconi ogni tanto li evoca grossolanamente per dimostrare che la crisi non c’è e che è tutta un’ “invenzione” dell’Europa o di chi congiura contro di noi a livello internazionale.
A cosa è dovuta secondo Lei l’ossessione del rapporto debito/Pil come unico metro di valutazione della sostenibilità finanziaria?  Non è dovuto anche questo alla leadership tedesca all’interno dell’UE?  Il prossimo governo come dovrebbe porsi rispetto  questo tema?
Lo ripeto. Se tutti, politicamente da destra fino alla sinistra, tirassimo fuori le unghie pretendendo che il nostro basso rapporto debito pubblico/ricchezza finanziaria netta delle famiglie ci venga adeguatamente riconosciuto a livello internazionale, avremmo certamente più voce in capitolo, sia con la Germania sia con Bruxelles. Si prenda, per un confronto, il caso della Spagna. Secondo i dati dell’Eurostat, l’Italia a fine 2011 poteva contare su uno stock di attività finanziarie delle famiglie pari a 3.590 miliardi di euro, contro i soli 1.699 miliardi delle famiglie spagnole. A fronte di ciò le famiglie italiane, pur essendo assai più numerose, avevano passività praticamente uguali a quelle delle famiglie spagnole, per circa 935 miliardi. Per cui, detratti i debiti, noi potevamo contare su una ricchezza finanziaria netta pari al 168% del nostro PIL contro il modesto 72% della Spagna o il risicato 47% della Grecia (e il 122% della Germania o il 135% della Francia). Le famiglie italiane a fine 2011 avevano 1.119 miliardi di euro investiti in valuta e depositi (contro gli 855 miliardi delle famiglie spagnole). Ma gli italiani avevano anche 717 miliardi investiti in obbligazioni, cioè in titoli pubblici e, soprattutto, obbligazioni bancarie (contro i soli 69 miliardi degli spagnoli). Inoltre, gli italiani avevano 953 miliardi investiti in azioni (contro i 453 miliardi delle famiglie spagnole) e 679 miliardi sotto forma di riserve tecniche delle assicurazioni (contro i 270 miliardi della Spagna). E’ del tutto evidente da queste cifre che se anche il debito pubblico spagnolo è circa 40 punti percentuali di PIL più basso di quello italiano, esso è assai più pericoloso del nostro perché non è supportato da uno stock di ricchezza delle famiglie neanche lontanamente paragonabile a quello dell’Italia.
Il debito pubblico italiano è esposto sui mercati esteri per circa il 40%, una posizione accettabile e migliore di altri Paesi europei. Come mai continuiamo comunque a trovarci nell’occhio del ciclone?
Innanzitutto sarebbe utile mettere in evidenza che i tempi sono molto cambiati. Non è più solo l’Italia a battere tutti i mesi con cifre sempre più alte il record del debito pubblico. Tutti lo fanno, dalla Germania alla Francia, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna. Venti anni fa, nel 1994, il nostro debito pubblico era effettivamente di 200 miliardi di euro più alto di quello tedesco, quasi il doppio di quello francese e due volte e mezza più grande di quello britannico. Invece nel 2013 secondo la Commissione Europea, la Germania avrà un debito pubblico di 2.184 miliardi di euro, l’Italia di 2.019, la Francia di 1.921 e la Gran Bretagna di 1.850 miliardi al cambio attuale euro/sterlina. Valori ormai tutti sostanzialmente allineati tra di loro, senza grandi differenze. Evidentemente gli altri grandi Paesi europei negli ultimi anni hanno fatto molti più debiti di noi e ci hanno quasi raggiunto se non superato. Mentre gli USA hanno solo “dribblato” ma non risolto i problemi del “fiscal cliff”.  Eppure il debito pubblico italiano continua ad essere considerato il più pericoloso di tutti e paga interessi più alti.
Perché allora?
Ciò a causa del convenzionale metro di paragone del debito/PIL, oltre che per i problemi di perdita di credibilità del nostro Governo a livello internazionale che nel 2011 avevano fatto schizzare alle stelle lo spread. Situazione, quest’ultima, che grazie a Mario Draghi e Mario Monti abbiamo sensibilmente recuperato. Tuttavia, è ormai chiaro che il debito/PIL è un indicatore utile in prima approssimazione ma assolutamente non più sufficiente per misurare la sostenibilità finanziaria di una economia. L’Irlanda e la Spagna, solo pochi anni fa avevano rapporti debito pubblico/PIL tra i più bassi al mondo, ma nel settore privato questi Paesi covavano già i profondi dissesti che in seguito avrebbero coinvolto anche il settore statale, su cui si è scaricato l’onere di sostenere l’eccesso di indebitamento delle famiglie e delle imprese nonché l’esplosione delle sofferenze bancarie. Sicché l’Italia, pur avendo un rapporto debito/PIL assai più alto di quello di Madrid, oggi paradossalmente sta contribuendo esattamente come i virtuosi Paesi del Nord Europa a salvare le banche spagnole, dopo aver già soccorso precedentemente anche Grecia, Irlanda e Portogallo. Negli ultimi dodici mesi (da ottobre 2011 a ottobre 2012) l’Italia ha prestato bilateralmente o attraverso l’EFSF quasi 20 miliardi di euro in più a Paesi UEM in crisi: è principalmente per questa ragione che il nostro debito pubblico ha sforato prima del previsto quota 2 trilioni.
Esistono altri parametri per misurare la stabilità finanziaria?
Io ho proposto recentemente su “Il Sole 24 Ore” che la sostenibilità finanziaria delle nazioni venga misurata in modo più corretto con un check up completo dei debiti, utilizzando almeno 4 indicatori, cioè i seguenti.
1) In primo luogo, andrebbe distinto il debito pubblico estero da quello interno di ciascun Paese. Se il debito pubblico esterno è troppo elevato in rapporto alle dimensioni di una data economia (dimensioni rappresentate dal PIL), uno Stato rischia effettivamente di perdere la fiducia dei mercati internazionali e di essere attaccato dalla speculazione. Diciamo allora che un debito pubblico finanziato da non residenti superiore al 60% del PIL (l’Italia è oggi al 44,5%, messa meglio di Germania e Francia) potrebbe costituire una prima ragionevole “soglia di emergenza” da non oltrepassare.
2) Il debito pubblico interno, in secondo luogo, per essere realmente sostenibile deve essere bilanciato soprattutto rispetto alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie residenti. Infatti, parte di tale ricchezza, come è noto, è in genere investita direttamente in titoli di Stato ma su di essa poggia anche la stabilità delle banche (che le famiglie finanziano con depositi ed obbligazioni), nonché la capacità delle banche stesse di acquistare a loro volta una quota importante delle obbligazioni pubbliche del proprio Paese. E’ quindi la ricchezza netta delle famiglie, alla base di tutto il sistema, il vero “polmone” finanziario di ogni economia (e l’indicatore chiave a cui rapportare il debito pubblico interno), non il PIL, da cui si «estraggono» solo le entrate statali necessarie per pareggiare o contenere il deficit corrente. In definitiva, la vera «garanzia» che lo stock di debito pubblico interno è sostenibile è data dalla ricchezza finanziaria netta privata, che, per intenderci, in Italia è oggi equivalente al 168% del PIL mentre in Spagna è solo il 72%. Diciamo allora che è un debito pubblico interno non dovrebbe rappresentare percentualmente una parte troppo elevata di tale ricchezza privata e che qualora esso superasse il 60% della medesima (l’Italia è oggi al 48,8% mentre la Spagna è all’84,5%!) dovrebbe cominciare ad essere giudicato piuttosto critico.
3)In terzo luogo, occorre avere una percezione chiara anche del grado di indebitamento delle famiglie (che a sua volta può influire drammaticamente sulla stabilità delle banche, come dimostrano i casi di Irlanda e Spagna) e, 4) in quarto luogo, va valutato attentamente anche il debito totale verso l’estero (pubblico e privato) di ciascun Paese. L’indebitamento delle famiglie preferenzialmente non dovrebbe superare il 60% del PIL (l’Italia è al 45,2%), mentre secondo la nuova procedura degli squilibri macroeconomici della Commissione Europea l’indebitamento finanziario netto totale di un Paese verso l’estero non deve ufficialmente oltrepassare il 35% del PIL (l’Italia, come o già detto prima, è al 20,6%).
Questi parametri nel loro insieme che cosa ci dicono?
Considerando le maggiori economie avanzate ed analizzando i dati del 2012, emerge che solo quattro importanti Paesi dell’Eurozona soddisfano contemporaneamente tutte le quattro condizioni di sostenibilità finanziaria precedentemente illustrate: Germania, Francia, Italia e Belgio. Se l’Italia, oltre a continuare a rendersi politicamente più presentabile all’estero e a stabilizzare con determinazione il proprio deficit statale corrente, spiegasse con chiarezza queste cifre ai mercati forse spingerebbe ancora più in basso il proprio spread. Non solo: in base ai 4 indicatori congiunti di sostenibilità, ne guadagnerebbe anche l’intera immagine dell’Eurozona, perché tutti i suoi tre Paesi “core” (Italia inclusa), e non solo la Germania, potrebbero rappresentare meglio la loro solidità finanziaria complessiva in un mondo sempre più indebitato dove nessun Paese, nemmeno al di là della Manica e dell’Atlantico, dovrebbe avere più il diritto di scagliare la prima pietra in materia di debiti.