Economia e politica. Come smentire in modo semplice un falso dogma egualitario

15 Marzo 2013

Enea Fanza

 

 Una distribuzione “ineguale” dei beni e dei servizi è una distribuzione iniqua ?

 

Tra i tanti temi allo studio degli economisti, la questione della distribuzione della ricchezza sta riprendendo, dopo gli anni dell’ubriacatura liberista, la ribalta.
 
Per la verità, il dibattito ha occupato tra gli economisti c.d. classici un ruolo centrale, ma anche successivamente non sono mai mancate le analisi ed i contributi teorici sul livello (che possa considerarsi) ottimale dell’allocazione delle risorse. Ma, come dicevamo, la crisi economica ha dato nuova vita a tale questione. Guardandoci alle spalle, tuttavia: tra recente passato e presente, i passi fatti in avanti non  sono tali da dare un’indicazione chiara su cosa fare ed anzi, il dubbio, che sempre di più si insinua,  è che forse la soluzione non possa venire dall’economia ma solo dalla politica. 
 
Eppure, proprio a questo erano giunti tanti economisti non più tardi di un quarantennio fa.  In effetti, il tema di quale sia il modo migliore per accrescere e distribuire la ricchezza  è stato un argomento che sembra essere stato già affrontato tanto che, chi abbia la nostra età e abbia letto un qualche testo di economia, può ben pensare di avere in tasca la soluzione (magari solo andando a spulciare sui vecchi libri dell’università).  
 
Vediamo se le cose stanno effettivamente in questo modo e facciamolo con un esperimento mentale. Limitiamoci, per semplicità, a due soli individui consumatori e due beni scambiati. Una volta conosciute le loro preferenze (le c.d. funzioni di utilità) è possibile costruire un insieme di panieri dei due beni, tale che realizzi la massima soddisfazione possibile[1]. Bene, ogni paniere di beni che non appartiene alla curva dei contratti è inefficiente, nel senso che è sempre possibile migliorare la situazione di almeno uno dei due che partecipano allo scambio, spostandosi su un punto qualsiasi della stessa curva.   Risolto il problema per due soggetti, vediamo estendere le stesse analisi a tutta la società.
 
Un modo razionale per affrontare la questione è quello di costruire una funzione delle preferenze della società, a partire dalle preferenze individuali e di aggregarle, ottenendo una curva di “preferenza della società”. Ogni punto della stessa – analogamente con quanto avviene per la curva dei contratti – è un punto ottimale. 
 
Quello che sembra l’uovo di colombo in realtà si scontra subito con una serie di azzeccate obiezioni. Il problema è che non è facile costruire una curva del genere. Infatti, l’unione delle preferenze individuali, con il fine di ottenere quelle sociali, porta ad un risultato univoco solo se tutti gli individui hanno esattamente le stesse preferenze. Solo in questo caso, infatti, le preferenze della società sono in grado di riflettere le proprietà di quelle di ciascun individuo. Se, invece, si ammette che le preferenze individuali sono eterogenee, non si avrà contrarietà a convenire che non può esistere una modalità di aggregazione universalmente riconosciuta come quella corretta[2].  Come si può superare tale difficoltà? Le società adottano delle procedure di aggregazione delle preferenze individuali e ciascuna di esse identifica un modo diverso di stabilire le modalità con cui la collettività debba prendere una decisione. Uno dei sistemi è quello del voto di maggioranza, ma anche questo non è privo di errori[3].
 
Quanto abbiamo detto penso possa bastare per comprendere che, in effetti, non esiste nessuna regola generale da applicare per ottenere dall’aggregazione delle preferenze individuali un ordinamento delle preferenze sociali che descriva compiutamente quelle di tutti gli individui che appartengono alla società.  Premesso, dunque, che il conflitto non è eliminabile il problema resta quello della scelta tra differenti  funzioni di benessere sociale[4], ovvero, tra varie e molteplici modalità di aggregazione delle funzioni di utilità di tutti gli individui che fanno parte della società. Tanto per fornire qualche esempio, l’aggregazione può essere basata sul benessere delle classi meno abbienti[5], oppure, in modo da attribuire la stessa importanza al benessere di tutti gli individui della società[6] o, addirittura, considerando più opportuno attribuire maggior peso al benessere di alcune categorie particolari di individui[7] rispetto ad altre.  
 
Dunque, ai partiti politici o alle élite dominanti, come si diceva una volta, o anche alla società civile  come si usa dire oggi, spetta il compito di scegliere la funzione del benessere sociale. Eccoci al tema di partenza: la politica ha il compito di comporre in una proposta le istanze molteplici ed in conflitto d’interesse dei vari componenti della società!
 
Bene.  Adesso, nell’avere individuato quale sia il foro decisionale e dirimente, si può pensare che i problemi sembrerebbero risolti. E’ davvero così? Ad esempio,  facciamo attenzione ad una cosa elementare e al tempo stesso fondamentale, presupposta in tutti i conflitti politici, e riflettiamoci su. La  funzione del benessere sociale garantisce l’equa distribuzione dei beni, equa nel senso che tutti gli individui della collettività hanno la stessa quantità di beni ? Bene, no nella maniera più assoluta. Essa è stata contraddetta perfino dalla realtà storica dei regimi comunisti.  Forse questa affermazione sembra un po’ strana in quanto connessa con la funzione di benessere sociale adottata dai politici, magari scelti a maggioranza (lasciamo per il momento perdere tutte le critiche mosse alla costruzione della curva del benessere sociale e facciamo conto che essa rappresenti veramente la preferenza  della società; benessere sociale che istintivamente porterebbe a far recepire in senso acritico e assolutamente egualitario il concetto “distributivo” di benessere sociale. Tuttavia le cose stanno effettivamente cosi.
 
Per dimostrarlo,  consideriamo un’ipotetica situazione in cui non tutti gli individui sono trattati allo stesso modo e, “malgrado” ciò, sono tutti ugualmente felici. Prendiamo una società composta da due individui e consideriamo il caso in cui i due abbiano preferenze diverse, quindi la famosa “curva dei contratti” non è la linea retta congiungente le due origini della scatola di Edgwoth[8] di cui abbiamo già discusso.   Supponiamo di iniziare da una situazione in cui i due individui sono trattati alla stessa maniera, quindi il punto di dotazioni iniziali si trova al centro della scatola. Il punto così individuato come corretto non è tuttavia in concreto un punto di equilibrio in quanto, pur avendo ripartito i beni disponibili in parti eguali, essi – per la loro differenza o disvalenza – non erano sulla curva dei contratti che tende a considerarli tali solo in termini di omogeneità.  
Ecco allora, conseguentemente, che le due parti si scambieranno i beni fino a raggiungere un punto di equilibrio, pur nella sussistenza  della differenza specifica dei beni contenuti nei rispettivi cesti. Il risultato della scambio, cioè, sarà  un punto i cui, ovviamente, i due individui stanno consumando quantità diverse dei due beni. Uno consumerà una quantità maggiore del bene 1 e l’altro una quantità maggiore del bene 2.
 
La ragione di tutto ciò è semplice: abbiamo assunto, correttamente, che gli individui abbiano preferenze diverse, senza cadere nella fallace applicazione di un principio genericissimo quale è quello dell’uguaglianza. Questa disuguaglianza è un male? Certamente no, infatti tutti e due preferiscono la nuova allocazione alla vecchia, (considerata aprioristicamente “giusta” perché entrambi avevano la stessa dotazione).
 
Quindi, la nuova distribuzione, solo in apparenza non egualitaria, è perfettamente “giusta”. La giustizia reale dell’uguaglianza dunque può essere raggiunta attraverso l’attuazione di “approssimazioni” vicendevoli concrete, ossia di progressive e reciproche compensazioni, di mutui e liberi scambi tra le parti.   Possiamo concludere che una distribuzione presuntivamente non egualitaria è perfettamente “giusta” perché realizza non in astratto il concetto di uguaglianza altrimenti inteso in maniera rozza e monolitica. Possiamo concludere che tale apparente  disuguaglianza non è perciò un male, se si rispetta e si attua l’assunto centrale, cioè che le persone nella loro uguaglianza implicano una loro “interna”, ineliminabile diversità fattuale ed esistenziale, ed economica. Ecco, auspico che queste poche “riflessioni di economia” aiutino un po’ tutti nel non cadere nella sempliciotta utopia comunista, che ha costituito la più grezza e rozza lotta al capitalismo.
 
 

[1] Tale insieme dei panieri prende nome di “curva dei contratti” o curva delle allocazioni “Pareto-efficienti”.
[2] Il teorema dell’impossibilità di Arrow, vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 1972, fornisce la dimostrazione di questo risultato. Vediamo come. Dati i seguenti assiomi: (1) Se esistono le preferenze individuali, esistono anche le preferenze della società;  (2) Se ogni individuo preferisce x a y, così dovrebbe essere anche per la società; (3) Le preferenze sociali tra x e y devono dipendere solo dalle preferenze individuali tra x e y.  L’ordinamento sociale delle preferenze rifletterà le preferenze di uno solo degli individui appartenenti alla società. L’aggregazione delle preferenze individuali, dunque, implica la dittatura.
[3] Vediamo perché. Assumiamo che la società sia composta da tre individui (A, B e C) e che debba essere scelta a maggioranza solo una delle tre possibili allocazioni x, y e z. Supponiamo, inoltre, che le preferenze dei tre individui siano le seguenti: A preferisce x a y e y a z, B preferisce y a z e z a x,  C preferisce z a x e x a y.  Quale allocazione sarà scelta? Notiamo che una maggioranza (A e C) preferisce x a y, un’altra (A e B) preferisce y a z, e un’altra ancora (B e C) preferisce z a x. Quale delle tre maggioranze prevarrà? Non è possibile stabilirlo se prima non si definisce un criterio in base al quale aggregare le preferenze dei tre individui.
[4] Per una società formata da N individui n = 1, 2, …, N, ognuno dei quali ha utilità un, il benessere sociale W è definito da: W = f(u1, u2, …, uN) dove f è una funzione crescente in tutti i suoi argomenti.
[5] Una funzione di benessere sociale “Rawlsiana” rispecchia questo principio ed assume la seguente forma: W = min(u1, u2, …, uN).
[6] Una forma funzionale alternativa è conosciuta con il nome di funzione di benessere sociale “utilitaristica”: W = u1 + u2 + …+ uN.
[7] invece, W = a1u1 + a2u2 + …+ aNuN,  dove an sono pesi di segno positivo che riflettono l’importanza attribuita al benessere di alcune particolari categorie sociali.
[8] La scatola degli scambi di Edgeworth, è una rappresentazione grafica dove vengono disegnate le curve di indifferenza di due consumatori nel consumo/scambio di due beni. In questo caso intersecando le curve troviamo una “lente” dove sono contenuti tutti i contratti accettabili per entrambe le parti, cioè le allocazioni che costituiscono dei “miglioramenti paretiani” rispetto all’allocazione di partenza. La scatola di Edgeworth premette inoltre di visualizzare in maniera intuitiva la cosiddetta “curva dei contratti”, ovvero l’insieme delle allocazioni Pareto-efficienti. Se tale curva è la retta che congiunge le origini allora i due individui consumano esattamente la stessa quantità di beni.