Politica, industria e difesa. F35 si, F 35 no. La guerra nascosta e gli interessi bruciati. Seconda parte

30 Giugno 2013
Domenico Cambareri

 

 

 

 

 

Le Forze Armate non servono a fare la guardia d’onore al Parlamento. Questi si che sono soldi buttati al vento. – Per una corretta informazione sull’affaire del caccia “supercostoso” e per le più importanti osservazioni, ecco una sintesi atta a far comprendere a chi non sa o per fare capire qualcosa di più a chi sa poco od ha le idee confuse.

Seconda parte

F35 si, F 35 no. La guerra nascosta e gli interessi bruciati

Il ruolo dell’alta tecnologia nel rilancio dei sistemi produttivi. – Investimento & ricerca & sviluppo & produzione nell’alta tecnologia in Italia. – Alta tecnologia e prodotti duali, fonti di guadagno indispensabile per l’economia di ogni Paese. – Nel centenario della nascita dell’aviazione navale. – Procedere in ordine sparso: quando la “sovranità nazionale” svolge il ruolo di utile idiota. – Interessi nazionali ed esigenze militari. – Produzioni europee e “appalti” di sub produzione USA. – La segretezza del “core” dell’F 35 e il monopolio americano, ciononostante la difesa USA è dissanguata dal programma F 35. – Come armonizzare dissonanti esigenze militari nazionali? – Non limiti alla riduzione dello strumento militare: quali rischi si corrono? – I costi dell’ F 35 e il caso iperbolico dell’ F 22 ” Raptor”. – Gli interessi industriali e finanziari italiani a pro dell’Efa 2000Thyphon non sono stati salvaguardati: ne è valsa e ne vale la pena? Se responsabilità ci sono, esse sono solo dei militari?

 

 

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EFA 2000 (cliccare sull’immagine per ingrandirla)

 

 

Utili idioti. L’affermazione non è troppo forte e non è offensiva. Essa consegue dalla diretta constatazione che cinque partner europei, e un altro partner e futuro membro dell’UE, in base all’esercizio di una miope, autolesionistica e vieta logica della sovranità nazionale almeno in questo caso, sono entrati in questo contratto capestro singolarmente e non previo accordo preliminare. Facciamo notare che Regno Unito, Italia e Olanda rappresentano insieme già circa il 20% degli investimenti nel progetto. Se aggiungiamo le quote minori degli altri partner, Danimarca, Norvegia e Turchia, più quelli di Canada e Australia. Siamo ben oltre il 20% .Al momento della ratifica iniziale, l’Italia aveva il 6%, quota poi scesa per l’accrescimento degli investimenti di r&s. Per contare tutti quanti, europei e non, pressoché niente. La catena di produzione già realizzata in Italia è un contentino, visto che il Regno Unito e la British Aerospace non hanno chiesto nulla di simile ma hanno avuto altre forme di compensazione industriale. Tuttavia, le forti proteste di Londra per avere accesso alla nicchia dei segreti saranno valse ad ottenere concessioni del tutto marginali. Tutto questo, per contribuire nei fatti irrazionalmente a finanziare e favorire la ricerca avanzata americana con risultati esclusivi e secretati e a rafforzare il ruolo preponderante degli USA, che così tornano ad esercitare una condizione di egemonia nel settore aeronautico. La cosa non ha proprio senso.
La cosa non ha ancora più senso per noi italiani e per gli inglesi in quanto siamo soci assieme a tedeschi e spagnoli del consorzio che ha progettato e produce l’Eurofighter, il gioiello dell’industria aeronautica europea. L’aereo, dalle prestazioni globali superiori al Rafale francese e agli aerei americani F 18 e F 16, viene prodotto in oltre 600 esemplari. Quando avvenne il crollo dell’Unione Sovietica, il nuovo velivolo subì una battuta d’arresto per volontà della Germania, infine si decise di sviluppare la cellula e avviarla alla produzione sottodimensionandola rispetto ai target originari. Ciò fu dettato dal non voler produrre una macchina al massimo delle prestazioni, di cui non si vedeva più la necessità e anche al fine di consentire notevoli risparmi, ma significava anche che essa nel corso della sua vita operativa e di sue future versioni avrebbe potuto essere soggetta a notevoli implementazioni delle prestazioni. Una macchina, dunque, estremamente versatile e affidabile, ancora giovane e con notevoli possibilità di crescita, come ha dimostrato di essere con i prototipi e con i primi gruppi di volo diventati operativi tra gli stormi delle quattro aeronautiche europee a sui si sono aggiunti Arabia Sauita, Austria e Oman .
Un ottimo caccia intercettore che rappresenta il top della IV generazione di aerei assieme a qualche modello russo da superiorità aerea. Un aereo che avrebbe potuto e ancora potrebbe svolgere ulteriori ruoli e conseguire perciò nuovi successi. Un aereo che ha subito un attacco a fondo da chi in Europa ha appoggiato la scelta unilaterale di standardizzare le linee volo di Italia, Regno Unito, Olanda e Paesi scandinavi quasi esclusivamente sull’ F35. Un aereo che ha ancora davanti a sé più di venti anni di vita operativa. Un aereo che ha consentito alle industrie europee di annullare buona parte del gap tecnologico che le separava dagli USA. Gli errori europei e in particolare inglesi non finiscono qui.
Il Regno Unito si era impegnato per l’acquisto di F35 STOVL da imbarcare sulla nuova portaerei media di 65.000t. in costruzione (poi diventate due), poi con il nuovo governo conservatore si era deciso modificare il progetto di portaerei, adottando quello francese con catapulte americane e F 35 normali. Infine, il governo inglese ha deciso ancora di rivedere le sue decisioni: vendere la seconda portaerei in costruzione e adottare per l’altra gli originari F 35 a decollo corto e ad atterraggio verticale. Un andirivieni di decisioni che ha contribuito a creare ulteriore caos e mettere in forse lo sviluppo della versione STOVL essenziale per la portaerei italiana. Nella eventualità di adottare velivoli “tradizionali”, dopo la firma dell’intesa franco-britannica si era ventilata perfino la possibilità di adottare i Rafale francesi così da standardizzare la linea di volo delle portaerei dei due Paesi. Sarebbe stato un altro scandalo, perché a quel punto si sarebbe dovuto chiedere con forza a Cameron, non solo da parte degli italiani e degli altri partner europei, perché non si dava il via alla realizzazione della versione navale dell’EFA 2000, un aereo inglese con ampi margini di superiorità sul Rafale, ad iniziare dal fatto che esso è un bimotore, che ha maggiori dimensioni, autonomia, carico trasportabile e qualità complessive.
I macroscopici errori europei e italiani hanno esposto gli interessi finanziari e industriali nazionali oltre misura. C’è stata una guerra con vinti e con vincitori. Purtroppo, è risultato perdente il caccia europeo la cui produzione è iniziata da pochi anni. Tra i vinti, c’è il defenestrato Guarguaglini, colui il quale ha fatto di Finmeccanica il quarto partner dell’industria aerospaziale europea e del Regno Unito il più importante mercato, quasi alla pari con quello rappresentato dalla Difesa italiana. Nell’EFA, l’Italia attraverso la Finmeccanica non rappresenta più soltanto il 18%: l’industria italiana in realtà, grazie al carico di lavoro rappresentato dalle commesse inglesi, ascende a più del 30% in alcune componenti del velivolo. Inoltre, gli ordinativi stranieri diventano ulteriore motivo di interessi in sottacibili: valuta pregiata e altro lavoro a pro di reinvestimenti nella ricerca & sviluppo, nella salvaguardia dell’autonomia industriale in settori strategici e dei posti di lavoro ad alta ricaduta industriale.
Assumere decisioni così delicate e onerose in questa materia richiede il massimo di lungimiranza e non di meno il massimo di apertura mentale, di disponibilità a riflettere senza preclusioni e a sapere mettere in discussione le valutazioni e decisioni eventualmente raggiunte. Negli ultimi cinquant’anni, è da riconoscere agli ammiragli italiani queste virtù in via quasi esclusiva, su cui hanno difettato alla grande i generali dell’aereonautica, purtroppo, per non parlare di quelli dell’esercito su altre scelte e problematiche. E’ da dire anche che le riforme che hanno via via attribuito più poteri al capo di s.m. della Difesa e al segretario generale degli armamenti hanno consentito di compiere passi da giganti nella programmazione e nell’ottimizzazione delle magre risorse. L’Italia ha in termini percentuali e nei raffronti comparativi il bilancio della Difesa più modesto, con risorse destinate agli investimenti e all’esercizio davvero contenute. I suoi mezzi in questo quindicennio di impiego massivo all’estero in missioni Onu, Nato, Ueo, Osce e dell’UE sono stati usurati e depauperati oltre misura. Lo scenario futuro, senza neppure considerare le dinamiche internazionali e limitandoci a parlare di mera sopravvivenza dello strumento militare nazionale, è quanto mai fosco. La pochezza delle risorse destinate alla ricerca e allo sviluppo della Difesa caratterizza anche la condizione generale nazionale, giacché il settore privato – ben sa Confindustria – investe in questo settore di punta risorse del tutto misere e ben al di sotto di quello che stanzia il governo: lo 0,6% a fronte del non meno irrilevante 0,9 pubblico. Quali e quante innovazioni possono diventare forte elemento di traino in questo desolante panorama?
E’ vero che nel settore aerospaziale siamo riusciti a far realizzare all’ESA il missile Vega con ben il 60% di componentistica e di risorse italiane, è vero che con i tedeschi siamo stati i primi fautori del sistema Galileo, è vero che nell’ambito della ricerca fisica al Cern abbiamo una forte componente italiana ma poche rondini non fanno primavera. L’unica vera eccezione italiana è costituita dalla Finmeccanica che, grazie alla lunga direzione di un abilissimo timoniere quale è stato Guaguaglini, ha destinato e destina annualmente non meno del 13 – 15 % delle risorse nell’investimento della ricerca. Ma la crisi in atto, oltre alle speculazioni scandalistiche, ha colpito anche questo assetto cruciale dell’industria strategica e delle esportazioni di grande valore.
L’affaire F 35 poi è venuto a costituire il fulcro di tutte queste vicende. Le grandi risorse dedicate al programma Eurofighter, le enormi acquisizioni tecnico-scientifiche e industriali da esso generate e il potenziamento complessivo dell’industria aerospaziale italiana ed europea sono adesso messi pesantemente in gioco dall’adozione dell’ F35 da parte inglese, italiana e olandese innanzitutto. Con tutte le conseguenze del caso. Dilapidare un patrimonio così importante e avviare future smobilitazioni nel settore della ricerca, della produzione e delle vendite significa volersi rendere assolutamente subalterni ad altri. Come i vertici militari e politici inglesi e italiani e olandesi non hanno considerato questi fondamentali risvolti, queste inevitabili conseguenze? Come non volgere neppure per un attimo lo sguardo su Parigi e considerare come la Francia continua con una coerenza inossidabile a produrre gli strumenti primari della sua difesa secondo canoni assolutamente autarchici? Come non considerare che dalle molteplici versioni dei Mirage agli Etendard ai Rafale la Francia ha progettato e prodotta da sola aerei da difesa aerea e da strike, e che ha sopperito sempre alle smisurate risorse investite?
Da parte dei sostenitori dell’F35 e degli esponenti delle aeronautiche europee coinvolte si dirà che l’aereo è stato specificamente progettato per lo strike, mentre l’EFA è stato progettato per compiti di difesa e di supremazia nell’aria. Essi sano bene che questa tesi è insostenibile, giacché tanti altri velivoli, se non quasi tutti, a partire dagli anni ’50 sia nelle versioni subsoniche che, poi, supersoniche, dedicati ad un ruolo sono venuti a svolgere a volte in modo positivo l’altro ruolo per mezzo di nuove versioni. Dagli F84 e F 86 ai famosissimi Phantom II, ai Mirage, ai Tornado, perfino al non meno famoso e inadeguato sigaro o tubo star fighter (cacciatore di stelle), adottato dall’aeronautica italiana. Pensiamo che l’aeronautica italiana pensò bene, assurdamente, di disarmare del cannone da 20 mm. Vulcan gli aviogetti per tenerli armati solo di missili per compiti di pura intercettazione in cui non era prevista alcuna possibilità per il combattimento aereo manovrato. Anche questo pare cosa incredibile. Le eccezioni ci sono state certo, ma si trattava di aerei particolarmente “dedicati”, come gli A 7 Corsair, gli Intruder, i piccoli Mig sino alla serie 21.
Di errori in errori? Basti qui richiamare un ulteriore, clamoroso errore degli strateghi e dei progettisti americani. Per farlo bisogna però tornare indietro sino ai tempi di Mc Namara. Dapprima, si pensò che il deterrente nucleare sarebbe stato affidato dagli USA soltanto ai missili balistici e che l’ora del tramonto dei bombardieri fosse definitivamente giunta. Poi, ritornando sui propri passi e avendo nel frattempo tenuto in linea centinaia di bombardieri pesanti B 52, si arrivò all’idea di pianificare la realizzazione di un nuovo tipo di bombardiere per lo strike nucleare, un bombardiere “leggero” che avrebbe dovuto unificare e risolvere i molteplici impieghi operativi del comando strategico. Si trattò dell’ F111, velivolo anch’esso rivoluzionario, dotato di ali a geometria variabile, di due posti affiancati per i piloti e di atri ritrovati. Ma l’esperienza acquisita con l’ F111 ( impiegato fra l’altro dalle basi del Regno Unito dagli USA per colpire Gheddafi) dimostrò in breve tempo che il mezzo non era affatto in grado di risolvere i diversificati compiti e si procedette con la produzione di un nuovo bombardiere pesante, il B1.
Dunque, pare acquisto che dell’EFA 2000 sia possibile realizzare una versione di cacciabombardiere e di ricognitore (e in realtà alcuni squadroni svolgeranno in futuro questi compiti) e di aereo imbarcato su portaerei con le stesse varianti d’impiego. Se si obietta che un aereo di queste dimensioni (ricordiamo tuttavia: molto meno pesante del Phantom II e meno pesante del Tornado) non è idoneo all’impiego di cacciabombardiere per campi di battaglia, se ne può prendere atto e rispondere tranquillamente:
a. perché non tener distinti ruoli e macchine a ciò destinate , cioè cacciabombardieri per impieghi e raggi d’azione contenuti (quali i precedenti Jaguar, AMX e perfino F 16), e aerei per lo strike con maggiori margini operativi (quali i Tornado, gli F18 e, da alcuni anni in qua gli F 15 dell’USAF, velivoli da superiorità aerea di cu sono state realizzate alfine le versioni strike adottate anche da Giappone, Israele e Arabia Saudita) ?; b. come mai all’ F 35 sono state invece assegnate le sommatorie di queste diverse missioni?; c. per il diretto supporto alle truppe sul campo di battaglia è contemplato l’impiego di un aereo così sofisticato e caro, il quale della “invisibilità” radar e non verrebbe concretamente a giovarsi e sarebbe reso molto vulnerabile dalla scarsa manovrabilità? ; d. quali margini operativi concreti ha questo velivolo per essere impiegato contro obiettivi distanti oltre 1500 Km.? bisognerebbe ricorrere sistematicamente ai rifornimenti in volo?
Salvo l’eccezione di Pierluigi Guarguaglini, uomo a cui dovrebbero essere riconosciuti dal mondo politico e da quella stampa codina, servile e ignorante i grandissimi meriti acquisiti, abbiamo evitato di fare alti nomi. La cosa sarebbe servita a poco o forse sarebbe potuta risultare ingenerosa per persone che hanno comunque dedicato tutta una vita al servizio del Paese; uomini i quali sono incorsi in un così clamoroso e prolungato errore di valutazione e di prospettiva politica e strategica. Non dimentichiamo che il settore degli armamenti, e quindi della tecnologia più avanzata, è al servizio degli interessi e della difesa delle Nazione sempre, a maggior ragione in tempi di “pace” e di concorrenza illimitata. Questo particolare settore delle attività produttive e della ricerca scientifica apre le strade per prospettive e conquiste di lavoro, di maggiore autonomia, di un più sereno orizzonte per le giovani generazioni, per quanto si parli nel contesto di dinamiche “mondializzata”. Se non ci si mantiene saldi e coerenti, quando invece siamo già pervenuti ai limiti estremi dello scivolamento e del collasso economico, le prospettive possono cambiare radicalmente e drammaticamente. Certo è che allora vincerebbero le posizioni rappresentate dai Sel e dalle conurbazioni della promiscuità dei centri sociali, e irrimediabilmente ci troveremmo tra le nazioni povere del quarto mondo. E’ questo l’obiettivo che si vuole conseguire? Consegnare il Paese e le future generazioni a questo misero futuro? Con quali prospettive di ulteriore riscatto?
Ci sono dei margini per “raddrizzare la barca” e rielaborare un’ottimizzazione della strategia d’impiego delle risorse finanziarie e delle ricchezze tecnologiche acquisite con gli EFA? Come fare per tenere aperti ancora per molti anni questi stabilimenti produttivi e come sfruttare queste conoscenze tecnologiche e reinvestire su ulteriori progetti in ambito europeo? Perché mai la Germania, anche se non ha adottato gli F 35, se ne sta zitta e non interviene a difesa di un prodotto che coinvolge anche il suo lavoro, le sue risorse, il suo know how? Perché anche la Spagna (che procedette nell’erronea via di dotarsi al contempo di EFA, come socia produttrice, e di F 18) sta zitta? Così tante risorse e così tanto potenziale di produzione e di lavoro deve andare disperso? Perché mai e a buon pro di chi? Non certo dei Paesi europei coinvolti e di tutta l’Europa.

F111 australiano 

 

 

 

F111 australiano

 

 f 22 raptor

 

 

 

 

F 22 Raptor

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L’Europa della Libertà
Selex – Thales Alenia Space: Meteosat terza generazione. Accordo firmato
16 febbraio 2013
16 Febbraio 2013
Fonti: Meteo A.M.I. , Selex (Finmeccanica)
 
Meteosat Third Generation (MTG) Lightning Imager Instrument – Signing Ceremony
 
Firmato il 07 febbraio 2013 in Palazzo Vecchio a Firenze il contratto tra SELEX-ES e THALES ALENIA SPACE per la realizzazione del Meteosat Third Generation (MTG) Lightning Imager Instrument, strumento studiato e promosso dal Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare Italiana
Meteosat Third Generation programme
 
 
 
 
 
L’Europa della Libertà
21 Dicembre 2012
Fonte: Fincantieri
Nota di Domenico Cambareri
 
 Industria. Fincantieri acquisice pacchetto STX OSV e si affianca ai colossi coreani della cantieristica navale
 
I governi Berlusconi e Monti hanno cinicamente e ottusamente tagliato le gambe alla cantieristica nazionale, cioé agli investimenti altamente produttivi e alla ricerca avanzata (capaci di attrarre commesse straniere e perciò valuta pregiata), alla salvaguardia del lavoro dei cantieri navali e delle industrie collegate e ad ogni minimo soddisfacimento delle esigenze militari e per la protezione civile nazionale. In particolare, cogliamo questa opportunità per ricordare la falcidia della classe di unità di fondamenteale importanza per la sopravvivenza stessa della M.M.I. e del suo adempimento delle missioni  affidatele dal potere politico, quella delle fregate FREMM. Inoltre, la Marina è da almeno dieci anni in attesa di nuove LPD – LHA , navi da trasporto e sbarco truppe con elicotteri e mezzi anfibi – adattissime a fornire grandi e insuperabili aiuti in caso di gravi calamità – il cui modello evolutosi nel tempo, alla pari delle più recenti unità francesi, acquistate anche dai russi, e ispano-olandesi, non potrà che collocarsi al di sopra delle 27000 tons., con una stazza pari o di poco superiore alla Cavour. Ciò al fine di consentire alle unità di fornire un autonomo supporto di copertura aerea con dei velivoli ad ala fissa e/o rotante alle forze da sbarco. 
Fincantieri, nel pieno della crisi di ordini ed occupazionale, dimostra di sapere lottare e di sapere guardare oltre nel contesto delle dinamiche dei mercati internazionali. Un plauso all’operazione compiuta e alla lungimiranza dimostrata. Le concorrenze negli scenari internazionali risultano sempre più accentuate e agguerrite, dalla Corea e dalla Cina all’amica e vicina Turchia; nondimeno, anche i cantieri spagnoli costituscono da un ventennio un punto di intraprendente e finora vincente confronto in talune classi di ordinativi. Siamo sicuri e speriamo che Fincantieri, al pari di Finmeccanica, sappia raggiungere altri importanti traguardi per la ricerca innovativa, le capacità progettuali e produttive, per il lavoro e per l’economia italiani. Esse hanno prodotto e producono indici particolarmente preziosi di “valore aggiunto”, ricchezza che però è stata quasi sempre inopinatamente bruciata, sperperata da quanti ci hanno governato, i quali hanno per di più in più occasioni remato contro gli interessi nazionali del settore e del “sistema Italia” e del  più grande “sistema Europa” in uno degli ambiti più delicati e importanti delle priorità strategiche a medio e a lungo termine. – Domenico Cambareri
 
 
L’Europa della Libertà
Industria difesa esteri e lavoro a Tremonti e La Russa: le Fremm non si toccano
5 ottobre 2010
05 Ottobre 2010 Fonte: Shippingonline.it Contro una Marina fantasma   Per la difesa di interessi delicati  ramificati irrinunciabili e già  ridotti  all’osso è bene che Tremonti e La Russa lascino? Se necessario anche…
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