E’ colpa del direttore de Il Borghese se ci troviamo a dover trattare di questa strana città dal momento, visto che la stessa – come vedremo – si presenta come la nuova frontiera dell’abitare, ovvero la città ideale del futuro. Proprio quella che il direttore voleva.
D’altra parte non è colpa di chi scrive se la lingua anglo-americana mette sullo stesso piano significante aggettivi che in italiano – e non solo – denotano attributi diversi. Non a caso Martin Heidegger diceva che l’inglese era una lingua non adatta a formulare concetti filosofici: figuriamoci – aggiungiamo noi – l’anglo-americano.
Smart, secondo il vocabolario, esprime ben sei aggettivi: elegante, furbo, abile, intelligente, acuto, doloroso. Nell’accezione specifica della città l’aggettivo appropriato sarebbe <<intelligente>>, ma visto l’intento proprio della globalizzazione finanziaria di controllare e pilotare verso esiti predefiniti la metastasi demografica che affligge il pianeta, l’aggettivo da noi impiegato sembra assai più calzante.
Fuor di celia, cos’è una smart city ? In senso lato, sarebbe un ambiente urbano in grado di agire attivamente e – vaddassé – intelligentemente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. Questo ci porta a dover considerare come la modernità, nei tempi anteriori alla invenzione della smart city, abbia gestito senza raziocinio l’insediamento di miliardi di persone con l’effetto di dequalificarne la vita. Su questo non sembra ci piova. La congestione, l’inquinamento, l’emergenza idrica, l’accumulo ineliminabile dei rifiuti, la tensione abitativa, l’abusivismo e la criminalità organizzata , per non parlare d’altro, sono la prova più eclatante di tale dequalificazione.
Ma niente paura ! Una nuova leva di apprendisti stregoni in possesso di una razionale e totalitaria visione ecologica ha già trovato, nella smart city la soluzione. Secondo la loro vulgata, “la città intelligente riesce a conciliare e soddisfare le esigenze dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni, grazie all’impiego diffuso e innovativo delle TIC (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione), in particolare nei campi della comunicazione, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica”. Questo, allo stesso tempo, spiega perché, fino ad oggi, la vita negli insediamenti umani fosse dequalificata: non c’era l’impiego diffuso e innovativo delle TIC!
E’ veramente arduo sottrarsi allo stimolo di ironizzare quando si leggono certe enunciazioni. Al contrario, si dovrebbe rimanere seri per non perdere ciò che di valido, questa concezione della città, ci suggerisce e che, tecnicamente, non è poco. Anzi!
Il concetto di smart city non riguarda solo città di nuova realizzazione, ma investe anche le città esistenti nel tentativo di renderle “intelligenti” ovvero gestibili con le TIC. Sin dagli anni settanta, la città di Cutiriba, capitale dello stato del Paranà, in Brasile, si occupò di sostenibilità, ma il suo caso non dette luogo a sviluppi rilevanti. Più significativo il caso di Dublino, dove la IBM, fiutato l’affare, sta creando uno Smarter Cities Technology Center per costituire un polo di riferimento mondiale con il quale far connettere i sistemi operativi delle città di tutto il mondo. Nella città di Amsterdam, sempre L’IBM, in collaborazione con la CISCO leader mondiale del networking – una rete di connessione informatica – dal 2009 sta realizzando un progetto di innovazione tecnica per mettere in vendita energia prodotta da mini turbine eoliche e da pannelli solari e per interconnettere energeticamente circa sessantamila abitazioni mediante un grande operatore informatico che monitorerà – ovvero, controllerà senza interruzione – in tempo reale il consumo energetico degli edifici privati attraverso una rete “intelligente” di contatori domestici. Inoltre impianterà una rete di oltre trecento punti di ricarica per auto elettriche nelle strade della capitale olandese. A Stoccolma, ancora l’IBM, ha realizzato un programma di rilevamento degli ingressi in città con addebito dei pedaggi attraverso i punti di controllo. E via elencando. Non sembra esservi un limite alle possibilità di gestione delle nostre esigenze materiali ed immateriali grazie all’impiego delle TIC.
E’, però, nelle città nuove che il concetto di smart city trova la sua massima realizzazione sia sotto forma di progetti, che sotto forma di realizzazioni. Ne elenchiamo le dieci più famose. Una già la conosciamo per averne trattato nel mese scorso: Masdar. Non è la sola che viene messa in essere ad Abu Dhabi. Ne sono previste altre due ben più grandi: la Abu Dhabi Capital Green City, una città iper-tecnologica ed ecosostenibile da 370.000 abitanti,il cui costo di realizzazione stimato è di 40 miliardi di dollari e l’insediamento di Ghanthoot Green City su 60 kmq di deserto con un investimento di 10 miliardi di dollari. Ne tratteremo in futuro nei limiti di una esposizione letteraria che, purtroppo, non potrà avvalersi di immagini esplicative. Alle tre nuove città promosse dalla più tipica forma di capitalismo finanziario dell’era attuale – Abu Dhabi è il fondo sovrano più ricco del pianeta – fanno da contrappunto quattro iniziative del neo-capitalismo di stampo cinese.
La prima è Caofedian, la futura città sostenibile progettata da un italiano: Pierpaolo Maggiora della società Archa. Sorgerà su un’area di 94 kmq ed a regime ospiterà una popolazione di 2.400.000 abitanti. Tra le caratteristiche di questa futura smart city, di cui tratteremo in futuro, vi è la spaventosa densità abitativa prevista : 25.532 abitanti per kmq.
Caofedian diventerebbe la terza città mondiale per densità abitativa dopo Mumbai (31.214ab/kmq) e Calcutta (27.774 ab/kmq) e, pur nella dimensione ridotta, si presenterebbe con tutti i caratteri della congestione per affollamento. Tanto per dare un termine di raffronto: New York con i suoi grattacieli si situa nella fascia di densità compresa tra i 10.000 e i 15.000 abitanti con i suoi 10.452 ab/kmq. In Europa, la congestionata Londra raggiunge appena i 4.863 ab/kmq. Lo stupefacente, dal punto di vista tecnico, è come Caofedian, in progetto, intenderebbe approvvigionarsi di energia: il 38% dalle maree sfruttando l’energia cinetica delle onde, il 18% dall’eolico, il 10% da pannelli solari integrati negli edifici, il restante 34% dalla gestione dei rifiuti che verranno trasformati in biogas.
La seconda è Tianjin, più nota a noi italiani come Tientsin per essere stata sede di una nostra concessione fino al 1943. Non sarà una vera e propria città, ma un quartiere caratterizzato per l’altissima efficienza energetica. Ospiterà 350.000 abitanti in 30 kmq con una densità piuttosto elevata di 11.667 ab/kmq che la collocherà nella fascia dov’è situata la già citata New York. Si prospetta, evidentemente, come una città di grattacieli o di intensivi molto alti.
La terza è Nanjing Green City, ridotta come dimensione, 20 Kmq e 200.000 abitanti , ma anch’essa densamente popolata con un piano impostato per essere il più grande sviluppo verde del mondo. Nanjing è quella che, in italiano, chiamiamo Nanchino.
La quarta smart city cinese, quella sulla quale il Dipartimento di Housing and Construction si gioca la faccia – per dire – è Hainan Future City con il progetto Glo-cal DNA degli architetti Hong Li e Bianca Nitsch della SBA progettazione. Come dice il nome, sta sorgendo nell’isola di Hainan, nota località turistica, dove, pare non si registrino le condizioni dell’ iperinquinato territorio cinese .
Le altre tre smart city delle dieci preannunciate sono in realtà quartieri “ intelligenti” più o meno vasti situati uno ad Hanoi – l’Hanoi Green City – un altro a Lavasa in India dove prende il nome di Lavasa Green City , infine l’ultimo a Singapore, considerata la eco-capitale dell’Asia, progettato dal solito Foster + Partners che ha progettato Masdar.
Non potendo, per ora, descrivere in dettaglio queste dieci città, potrà sfuggire, a chi ci legge, un loro carattere comune: tutte sono pensate per essere il modello della città del futuro, tutte sono o saranno realizzate per essere vivificate dal consenso e dalla partecipazione degli abitanti che verranno.
Eh già! Perché queste “città intelligenti” non stanno nascendo a seguito di un rapporto, di un confronto culturale fra abitanti e realizzatori (i cosiddetti developpers ); non sono il frutto di una nuova coscienza ecologica diffusa tra i futuri abitanti. Nascono nei computers dei progettisti e negli uffici dove prendono le decisioni gli speculatori così come, i loro abitanti, nascono nelle stanze della Finanza o della politica.
Queste città, in realtà, sono meccanicisticamente concepite come delle macchine per abitare dove ogni parte, ogni ingranaggio, ogni impulso energetico deve entrare in funzione secondo una precisa e predeterminata procedura. Se la procedura non verrà rispettata, la macchina si arresterà o funzionerà male e a rischio di danneggiamento.
Ad evitare questa eventualità si ricorrerà alle TIC che renderanno “intelligente” la macchina mettendola nella condizione di gestire correttamente il proprio il funzionamento. Saranno le networking e le varie IBM a governare la macchina.
Ma occorrerà la “partecipazione” del nuovo abitante senza la quale l’eco-compatibilità non si verificherà. Dovrà collaborare alla buona riuscita della smart city adeguandosi alla macchina per abitare beneficiando, in tal modo, di una elevata qualità della vita. Solo se il nuovo abitante diventerà finalmente un “uomo nuovo” , quello sognato dalle ideologie e mai nato perché non c’erano le TIC (conciliatrici delle esigenze dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni ), solo se diventerà indifferenziato e diligente potrà beneficiare di aria pulita, di acqua pura, di energia senza CO2, di smaltimento dei rifiuti , potrà fruire naturalmente di banda larga etc,etc.
E’ inevitabile la ricaduta nell’ironia quando si consideri che i propositori di modelli di città del futuro sono costituiti da gente che ha distrutto la propria civiltà facendo tabula rasa di ogni concezione della città organica o da gente il cui culo non vide mai mutande e pretende ora di indicarci quale modello delle stesse sia da indossare. Ma se si sorvola su questo aspetto e si riesce a superare il limite della visione meccanicistica della città e, quindi, dell’esistenza improntata dal consumismo, allora la concezione della smart city può rivelarsi utilissima sotto il profilo tecnico e per lo sviluppo di più ponderate e mature concezioni urbanistiche in cui gli abitanti e l’ambiente vengono posti davvero al centro delle riflessioni e delle elaborazioni progettuali. E i cui bisogni vengono recepiti in primis come limiti non valicabili dagli investitori e dalle loro “esigenze” finanziarie a pro di speculazioni edilizie distruttive o quantomeno fallimentari.