Per Madame Zingaropoli contano solo loro e non il crollo economico, i suicidati, i nuovi poveri, i disoccupati e i veri profughi?

06 Ottobre 2014

Mino Mini

Caduta della civiltà urbana. 2

CREDEVO PIOVESSE…

 

<<Credevo piovesse, non che grandinasse !>> dicevano in Toscana quando un evento o un fenomeno preoccupante si mostrava, nei fatti, più grave di quanto paventato. E’ quel che accade, appunto, all’autore di queste note che il mese scorso ebbe a scrivere del degrado della civiltà urbana quale si avvertiva dal manifestarsi di precisi segnali indicatori.
 
Credevo piovesse,ma poi uscì la notizia dell’assalto, da parte di un gruppo di una ventina di immigrati (quaranta secondo altri), agli autobus dell’ATAC che servono la periferia romana dei nuclei abusivi di Corcolle e dovetti rendermi conto che, in realtà, stava grandinando. E non tanto per l’assalto, rientrante nel prevedibile, quanto per l’evoluzione dello stesso.                                                                                                            
Come è noto a chi segue la cronaca della capitale, il primo autobus era condotto da una giovane e graziosa donna che, a fronte dell’improvviso attacco, chiese via cellulare alla centrale operativa, istruzioni per sottrarsi all’aggressione salvando anche il mezzo già danneggiato per lo sfondamento dei finestrini. Le fu indicato un percorso alternativo ed un diverso punto di arrivo, ma, come lo raggiuns,e trovò ad aspettarla lo stesso gruppo aggressore.
 
Ecco la metaforica “grandine” : come aveva fatto il gruppo aggressore a conoscere la nuova destinazione dell’autobus che era loro sfuggito e – sopratutto – a raggiungerlo? Ricorrendo al voodoo, forse, ma più prosaicamente ricorrendo all’intercettazione delle comunicazioni operative dell’ATAC.
 
La vicenda dell’aggressione mostra aspetti inquietanti: la sviluppata capacità tecnica di intercettare la telefonia mobile e la velocità di reazione nel predisporre lo spostamento dei componenti il gruppo assaltatore dalla fermata al nuovo e sconosciuto punto di arrivo.                                                                                   
Ci troviamo in presenza non già di una povera umanità spinta dal bisogno che abbandona il proprio spopolato territorio ( 33 abitanti per kmq in media ) per trovare rifugio nel nostro congestionato Paese ( 203 abitanti per kmq ), bensì di immigrati attrezzati con telefonini cellulari, spesso satellitari, in grado di pagarsi la traversata dall’Africa all’Italia sborsando tremila euro. Li vedi allo sbarco: sofferenti, malvestiti, ma con il cellulare in mano – dei cyberimmigrati – pronti ad inserirsi nella rete di contatti che sembra essersi stabilita tra gli appartenenti alle diverse etnie.
 
Qualcuno si è domandato, ricorrendo al buon senso, perché affrontare il rischio della traversata in mare pagando tremila euro, quando sborsandone poche centinaia avrebbero potuto raggiungere lo stesso obiettivo prendendo un aereo. La risposta è semplice: perché la via aerea implica il possesso di documenti e di una identità rintracciabile alla partenza ed una base di supporto all’arrivo, mentre lo sbarco via mare permette l’anonimato e l’inserimento facilitato nel non-luogo, la periferia aperta all’invasione delle “nuove culture” come avemmo a definirla su queste pagine.
 
Ritorniamo sul concetto.   Un tempo, quando lo studio delle humanae litterae o studia humanitatis forgiava la civiltà, il non-luogo era l’ Utopia dal greco ou (non) e topos (luogo). Oggi – al tempo dei cyborg – il sociologo Marc Augé ha chiamato con questo termine i luoghi adibiti genericamente al transito di tutti e privi di identità, tipici della surmodernità : gli aereoporti, le autogrill, i centri commerciali, le stazioni. Tutti luoghi che hanno, come caratteristica comune, una sorta di anonimato che richiedono, a chi ci si trova, una conseguente anonimia a condizione di farsi riconoscere unicamente come utenti solvibili ( e quindi accettabili ), attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire delle prestazioni e pagare. Nell’accezione allargata con cui viene usato su queste pagine il non-luogo è, appunto, l’ambiente privo di qualsiasi rapporto con il contesto sociale, con la tradizione urbana ( il genius loci ), con una storia: la periferia, in altre parole.
 
Ma ci sono periferie e periferie, come ognun sa, ed ogni grande città ha le proprie sia quelle realizzate dagli speculatori che quelle estreme dell’abusivismo. E come dimostra la vicenda romana dell’assalto agli autobus il non-luogo preferito dagli immigrati, specialmente dai rifugiati, è quello della periferia estrema abusiva come sono ( o erano ) Corcolle, Barbuta, Torpignattara e tutta la frangia dell’est romano – e non solo – adiacente ai comuni contermini. La spiegazione del perché è nella loro condizione di non-luoghi dove non valgono le identità certificate dalla burocrazia. Queste burocratiche identità, infatti, sono pericolose poiché espongono al rischio di espulsione o incarcerazione coloro che hanno tagliato i ponti con il luogo di provenienza come – in generale – gli immigrati ed i rifugiati. In alcuni casi lo hanno fatto per un periodo limitato, in altri hanno abbandonato la loro antica identità per sempre nell’illusione disperata di formarsene un’altra nuova in un contesto sociale diverso. Il nucleo abusivo diventa, in tal modo, la nuova terra dove, con un’identità fittizia, è possibile, persino – come da anni facevano alcune etnie nomadi – comprare un lotto “agricolo” con una casa sopra. Irregolare, la casa, perché abusiva e quindi non commerciabile per legge, ma non così il lotto su cui la stessa sorge come “annesso”.
 
Sono gli “annessi”, burocraticamente e fiscalmente inesistenti, a costituire, ancora oggi dopo i diversi condoni, l’edilizia delle frange urbane abusive, i non-luoghi, dove si raccoglie un’umanità senza identità o dall’identità fittizia. Sono sempre gli “annessi” il motore dell’economia sotterranea che supporta questo mondo. Ad esempio: è l’ “annesso”, che affittato a ” posti letto”, ospita fino a quattro immigrati a stanza generando un rilevante profitto esentasse per lo speculatore ed un problema in più per la città che deve difendersi da chi, per pagarsi l’affitto, dilaga negli spazi interconnettivi della città della speculazione alla ricerca di un profitto qualsiasi ricorrendo anche alla delinquenza. E’, altresì, negli “annessi” inesistenti per la legge, che i senza identità si correlano con i propri simili a formare il gruppo connotato dall’etnia comune o dalla medesima religione o, più frequentemente, dalla potenzialità di trasformarsi in branco per affrontare o aggredire il mondo ospitante. Il branco, la regressione dell’uomo al livello elementare , all’interno del quale anche l’identità reale, quella nascosta, viene rigettata annullando ogni residuo freno inibitorio allorché si muove nel proprio habitat: il non-luogo.
 
Ed il non-luogo privo, come abbiamo detto, di identità è lo spazio che le diverse etnie, in un modo o nell’altro, mirano a colonizzare secondo il proprio livello o grado di capacità colonizzatrice. Nel caso dei cinesi, ad esempio, ricorrendo al sistema più classico e consolidato: l’acquisto progressivo di interi quartieri nelle grandi città o a quello di intere cittadine. Nel caso di altre etnie perseguendo l’acquisto delle frange urbane abusive. E’ ancora una forma di colonizzazione l’occupazione degli spazi interconnettivi della città e quella dell’occupazione del suolo pubblico a scopo di commercio abusivo.
 
Il non-luogo è soprattutto il campo d’azione dell’etnia rom più evoluta, quella che ha abbandonato i campi nomadi ed ha “insegnato” agli immigrati come colonizzare le lottizzazioni abusive ed assediare le città. A questa etnia (i Sinti) si è affiancata, ancorché non gradita, quella di origine slava proveniente dai Balcani. Al momento quest’ultima sta attuando il salto di scala dal nomadismo, ancora largamente praticato, alla delinquenza stanziale organizzata. Mentre prima si era specializzata in particolari ” settori” come il furto di rame, la raccolta il trafugamento e la vendita dei metalli, la questua, il parcheggio abusivo, il facchinaggio improvvisato nelle stazioni, l’occupazione abusiva di palazzi, il furto negli appartamenti, oggi sta evolvendo verso lo sfruttamento della prostituzione in rotta di collisione con altre organizzazioni similari. Se, in virtù della efferatezza con la quale trattano la vita umana e fidando nell’apatia di un popolo senza più dignità civile e nell’impunità che gli viene assicurata da una magistratura tollerante e buonista, vincerà la guerra del mercato della prostituzione, si aprirà per questa etnia un futuro di potenza economica e criminale.
Assisteremo allora alla nascita, nel non-luogo ormai etnicizzato, di una struttura parallela al fatiscente organismo civile : lo Stato indipendente di Zingaropoli (copyright Pietro De Leo). I segni ci sono tutti. I rom hanno costituito una organizzazione umanitaria non governativa ( Associazione 21 Luglio) che ha come programma <<…superare i campi rom attraverso forme di emancipazioni abitative individuali>> [Il Tempo 2 ottobre ’14] . Associazione finanziata , tra gli altri, dalla Open Society Foundation di George Soros . Questi, noto “filantropo” sovvertitore di equilibri geopolitici e rapace speculatore immobiliare con mire sul patrimonio dismesso della Difesa a Roma, aveva già tentato nel 1992 di destabilizzare l’Italia. Ci riprova di nuovo, nemmeno troppo surrettiziamente, dichiarando al solito Guardian che <<bisogna creare una coscienza di classe fra i rom europei>>.
Che la nostra sia una società giunta al suo epilogo è opinione largamente condivisa. Dopo aver creato il non-luogo nelle diverse forme ed averlo eretto a paradigma della “surmodernità”, non siamo stati capaci di preservarlo dalla degenerazione. Già Aristotele lo aveva detto individuando nell’apatia e nella tolleranza le ultime virtù di una società morente. Ma società non è sinonimo di civiltà e ciò ci offre ancora una speranza di riscatto.  Se, invece, ci adageremo sul falso assunto boldriniano di società = civiltà, allora potremo deliziarci nel formulare ipotesi su chi sarà, tra le etnie che ci sostituiranno, quella che prevarrà sulle altre.