Dopo i tre tavoli, quale sarà la lungimiranza di Renzi? Si rivolgerà ad una cartomante?

31 Gennaio 2015

Domenico Cambareri

Il colpo da maestri si rivelerà un oneroso pedaggio?

Quirinale: Renzi e i tre tavoli che furono

Le prospettive di imprevedibilità delle reazioni dei diversi partner interni ed esterni sono aumentate a dismisura. Sarà in grado di riportarle sempre su di un terreno di proficui dialoghi e decisioni, e di poterle comunque controllare? O ci saranno attriti, agguati e guerriglie che logoreranno la scena politica?

Non possiamo che esprimere piena condivisione con le analisi espresse da alcuni acuti commentatori, come in particolare l’ambasciatore Sergio Romano, in merito al difficile contesto in cui si è obiettivamente trovato ad operare Matteo Renzi in merito all’indicazione del nome da proporre per l’elezione alla presidenza della Repubblica al primo colpo o quasi della soglia della maggioranza semplice.
Nulla di meglio che aggiungere ai due distinti tavoli, quello della maggioranza di governo e quello delle riforme, un terzo distinto tavolo, per di più di durata molto breve: quello dell’aggregazione dei voti atta ad eleggere il nuovo capo dello Stato in modo molto veloce e (sperabilmente) indolore.
Un’ottima vittoria tattica e di grande rilievo, dunque, conseguita nel il minor tempo possibile e nel minor dispendio di energie possibile. Anche perché in tal modo egli ha raggiunto simultaneamente ulteriori obiettivi: l’avere unificato la posizione e la reale votazione espresse dai grandi elettori del PD, con la realizzazione di un’unità (o tregua armata?) con la sinistra interna e congelato umori ed espressioni secessionistiche; l’avere allargato questa maggioranza temporanea (ed estemporanea) alla sinistra estrema in via di sfaldamento, consentendole delle boccate di ossigeno, la riconquista di una minima visibilità politica nel contesto parlamentare e la cessazione temporanea di toni escatologici; l’avere riconfermato l’esistenza di una coalizione di governo, sia pure con dei recuperi e dei puntelli quasi estremi.
Che il M5S abbia rifiutato di votare il nome proposto, e che così abbiano fatto Berlusconi con Forza Italia, ciò ha costituito al momento un fatto prevedibile ma non assolutamente acquisibile a priori da Renzi, e al tempo stesso ha post questi soggetti politici nelle condizioni di confermare la validità del nome proposto ed eletto e di denunciare il metodo da l capo del governo attuato. Chi ha avuto motivi di denunciare il tutto e di trarsi fuori dall’inghippo renziano sono stati la schiera sopravvissuta del Popolo della Libertà di origine AN e gli alieni dei sopravvissuti leghisti, ma con modi che in parte si commentano da soli.
Tuttavia, tuttavia … al di là dalla vittoria (momentanea o duratura, e quanto duratura?) conseguita dal capo del governo, che   ha avuto l’ardire di realizzare siffatto impavido decisionismo ( sicuro e prezioso complemento d’immagine   a livello internazionale per lui e per il Paese) e di trarsi a rimorchio delle maggioranze variabili in base ai contesti e agli obiettivi, ci sono diversi interrogativi che è obbligo porre. Perché il governo può vivere solo in base a prospettive a medio e a lungo temine e non di breve durata. Perché solo allo stesso modo potranno essere compiutamente realizzate le riforme istituzionali e costituzionali ampiamente condivise. Perché importanti vittorie tattiche di breve durata – in riferimento allo specifico contesto dei tre distinti tavoli – possono contenere effetti dirimenti non previsti e/o non prevedibile, anche per ampiezza e spessore. Esse allora, a posteriori, potrebbero far comprendere che il successo conseguito nell’elezione del nuovo presidente della Repubblica sia stato qualcosa di effimero, fatuo e perfino controproducente in riferimento agli sviluppi e alle prospettive ulteriori.
Innanzitutto, a livello interno al PD. Infatti, se e fino a che punto la sinistra del partito cesserà le ostilità e rientrerà entro una logica di presa d’atto delle forze messe in campo dalla maggioranza e quindi non si appresterà ad ulteriori operazioni di contrasto estremo con la segreteria? Dalle prime reazioni di giubilo incontenibile, in parte consone con quel carattere irriducibile sedimentatosi e radicatosi con il lungo retaggio di cinico e arrogante esercizio del potere, non pare proprio che queste opposizioni diventeranno più dialoganti. Specie in quelle materie già votata o in via di definitiva approvazione in parlamento in cui per mesi e mesi il contrasto è stato molto accentuato (legge elettorale, riforma del lavoro, riforma costituzionale). Ma anche in materie delicate quali la politica estera ed energetica e l’ammodernamento e il potenziamento infrastrutturale.
In un simile contesto e negli ulteriori presumibili sviluppi sino a che punto potrebbe diventare organica un’opposizione congiunta con il gruppo di Vendola e un’opposizione strumentale con gli apporti reiterati fra costoro e il movimento grillino?
In riferimento al nuovo centro destra, interlocutore e alleato più importante nella coalizione di governo, quanto peserà questa condotta assolutamente spregiudicata e al di fuori della prassi parlamentare che Alfano e i suoi hanno dovuto subire senza batter ciglio e quindi annullare l’appena ritrovata intesa con Berlusconi? Per loro si tratta solo di una presa d’atto del decisionismo di Renzi? O di qualcosa di molto di più? Del raggiro e del gioco d’un baro? Quale credibilità potrà d’ora in poi fornire a loro e agli altri alleati Renzi in materie e risoluzioni importanti? Dovrà fornire per prima cosa impegni “vincolanti” firmati e depositati (cose che in politica lasciano il tempo che trovano) ?
Insomma, con il presentare soltanto un nome per il Quirinale si è trattato di genuino decisionismo e saggia visione d’insieme o di un vero e proprio diktat? O di cosa altro?
Questi e quali altri elementi di valutazione negativa potrebbero risultare condivisi – per nella distinzione dei loro ruoli e delle loro posizioni –  anche da Forza Italia e dal M5S? Risulterà allora  una valutazione estremamente dirompente del metodo renziano per le quirinarie, metodo che non può trovare giustificazione sul riferimento al concreto rapporto di forza costituito dal numero dei grandi elettori;  o sarà una valutazione improntata a un forte senso di realismo politico a pro della legislatura e della prosecuzione delle riforme?
Il cilindro di Renzi – tutti lo sanno – ha tirato fuori un nome di un uomo d’apparato. Tutta la sua vita politica – prima nella DC poi nelle successive brevi fioriture delle formazioni pre PD e poi nel PD – è stata all’insegna del garantismo partitocratico. In tutto e per tutto. Cosa c’è di innovativo e di valido in questa scelta di Renzi e della sua giovanile squadra di governo, che aspirano e vogliono giustamente cambiare la realtà della vita istituzionale quanto del loro partito nei contenuti e nelle figure dei protagonisti?  
Potrà risultare consolatorio, tra qualche settimana o tra qualche mese, con simili possibili negative prospettive, a Renzi continuare a vedere Bersani in giuggiole? Un cadavere politico sprizzante gioia indefessa da tutti i pori per ri – morire alfine da democristiano nel generale sollazzo delle sinistre riformiste? Il Bersani che lui ha così duramente contrastato e portato al fallimento politico? Fallimento politico peraltro già sanzionato dal suo squallido e immarcescibile attacco contro Berlusconi? Un leader politico stracciato dal’imprenditore tv in più occasioni che si abbassò ad utilizzare lo strumento dello scandalismo sessuale e a far andare l’Italia alla deriva con la galvanizzazione politica, giudiziaria e giornalistica e con l’aggressione della speculazione finanziaria?