Infrastrutture, eredità di fallimenti e deliri. Del Rio, attento ai facili miraggi!

04 Maggio 2015

Mino Mini

L’eurosicofante Del Rio

L’INSIPIENZA AL POTERE !

 

Oddio, eccone un altro!
Prima lo ‘Gnazio de noantri” sindaco della capitale che riempie le cronache per la scorta di vigili in brache corte che lo seguono dappresso, poi una deputata targata PD che si sposta in cinquecento scortata da due auto blu in formazione a incastro in perfetto stile yankee, ed ora Graziano Del Rio che nel suo primo giorno da ministro della repubblica italiana, inforca la populistica bicicletta regalatagli dal sindaco di Roma e si reca pedalando contromano a Porta Pia dove ha sede il suo ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Non contento si lascia prendere la mano dal gioco del potere dichiarando alla stampa: ” Questo Paese deve vincere la scommessa di mostrarsi a tutta l’Europa credibile sui lavori pubblici, sulle ricostruzioni, sulla lotta alla corruzione, sulla trasparenza.”
Scommessa? La mancata ricostruzione dell’Aquila, lo scandalo del Mose, i viadotti che crollano pochi giorni dopo l’inaugurazione, le opere inutili iniziate e mai finite, i tempi di realizzazione delle opere dilatati all’infinito, i costi delle stesse gonfiati al di là di ogni decenza, sarebbero state solo un gioco sfortunato, delle scommesse perse? L’ineffabile ministro è mai stato sfiorato dall’idea che prima di essere credibile a tutta l’Europa dovrebbe dimostrarsi credibile all’Italia, al suo popolo al quale vengono sottratti, con metodi da “cravattari”, quasi i due terzi di ciò che guadagnano per pagare le scommesse dei suoi ministri?
Macché! L’ineffabile il 10 aprile nell’Allegato Infrastrutture al Def (Documento Economico e Finanziario) ha annunciato la fine di un’epoca, quella della Legge Obiettivo emanata dal secondo governo Berlusconi nel 2001, e l’inizio della nuova – la sua – che riduce le 400 opere pubbliche previste nel Def dello scorso anno – a firma Renzi, Padoan, Lupi – a sole 25 sbloccando, in tal modo, risorse inutilizzate per indirizzarle nella crescita. Cosa abbia indotto questa drastica riduzione viene rivelato dallo stato di realizzazione delle opere pubbliche: delle opere previste solo l’8% è giunto a realizzazione ed i costi sono lievitati, nel decennio 2004-2014, di circa il 40%.
Seguiamo il ragionamento: se di 400 opere del Def 2014 solo l’ 8% è giunto a realizzazione, ne rimarrebbero 368 da realizzare, ma se la nostra italica capacità di realizzazione non supera l’8% il Def 2015 dovrà prevedere di applicare alle rimanenti 368 opere la suddetta percentuale di riduzione. Sarebbero circa 29 opere, ma poiché non tutte sono uguali e occorre tener conto che i costi sono lievitati – sicuramente per colpa di Berlusconi – meglio andare sul sicuro computando per difetto: 25 opere. Inutile prevederne di più. Si evitano brutte figure e tutta l’Europa ci reputerà credibili sui lavori pubblici, sulle ricostruzioni. Per la lotta alla corruzione e per la trasparenza confidiamo nella magistratura.
Ci siamo divertiti dando spazio alla fantasia, ma il dubbio di averci azzeccato ci tormenta. Il perché è presto detto: il Def non è uno strumento di pianificazione né di indirizzo ma, come dice il nome, è uno strumento di programmazione economica e finanziaria ovvero: valuta quante risorse occorrono e quante sono disponibili per realizzare determinate opere. Ebbene nel giudizio di priorità delle 25 opere, manca il riferimento ad un piano territoriale che indichi la “forma” territoriale che si vuol dare alla nostra esistenza come nazione e come Stato sovrano, quale impegno ciò comporti nel tempo, quali le fasi di attuazione di tale forma, quali le opere da realizzare per il completamento delle diverse fasi. Solo conoscendo dove si vuole andare e perché il Def acquista un senso. Diversamente è solo uno strumento per navigare a vista o, nella peggiore delle ipotesi, per distribuire finanziamenti ad opere promosse da poteri amici. Quando Del Rio afferma che la riduzione del numero delle opere è stata effettuata per dirottare le risorse finanziarie sulla crescita, evidentemente ignora che le opere pubbliche hanno altra valenza da quella di essere mammelle da cui suggere tangenti su fondi che, pronuba la tecnoburocrazia, il potere politico colluso con imprenditori disonesti o con la criminalità organizzata, carpisce allo Stato. In una visione organica del territorio come rapporto simbiotico di uomo e natura esse sono le strutture necessarie al formarsi dell’organismo a scala superiore. In altre parole: al crescere delle esigenze dell’uomo (economiche, sociali, estetiche), le infrastrutture e le opere pubbliche in generale, sono l’accrescimento delle strutture del territorio necessarie ad un equilibrato rapporto tra uomo e il suo ambiente. Che avvenga, come troppo spesso avviene, che tali opere si rivelino un fattore di distruzione o alterazione negativa dell’ambiente è un’altra storia. Se le infrastrutture e le altre opere pubbliche fossero realizzate ” a regola d’arte”, ovvero in base ad un piano organico, esse diverrebbero patrimonio e quindi risulterebbero un fattore di crescita. Soprattutto economica. Vantarsi di aver ridotto la quantità delle opere pubbliche in favore della crescita senza una valutazione della qualità delle stesse (valutabile solo con la “forma” del territorio) significa solo insipienza. Proprio ciò di cui l’Italia aveva bisogno in tempo di crisi e che l’era Del Rio si premurerà di rendere istituzionale: l’insipienza al potere.
Il popolo italiano avrebbe preferito, di gran lunga, sapere da Del Rio perché delle 400 opere del Def 2014 solo l’8% è stato realizzato e per quale strana alchimia i costi delle opere siano lievitati in dieci anni del 40%. Lo scandalo Incalza che ha travolto il predecessore di Del Rio ed ha aperto la strada a quest’ultimo, è stato solo l’ultima eruzione del verminaio parassitario che brulica all’interno della struttura tecno-burocratica dello Stato. Ma non ha insegnato alcunché al neo ministro. Invece della dichiarazione “… la nostra sarà una rivoluzione delle normalità: procedure europee, regole semplici sugli appalti, programmazione, coinvolgimento dei territori”  ci si aspettava l’assunzione di un impegno in senso opposto. In Italia è proprio nella presunta normalità che si annida il sistema della corruzione e dell’immobilismo. Come evidenziammo su queste pagine nel luglio 2013 il sistema degli appalti è regolato dal D. Leg.vo 12 aprile 2006, n. 163 il cosiddetto Codice dei contratti pubblici o, comunemente, Codice degli Appalti. E’ questo codice, tramite i suoi Allegati I, IIA e IIB, che innesca la metastasi debilitante del processo di realizzazione delle opere pubbliche: la proliferazione degli enti appaltanti. Una stima approssimata che comprende i Ministeri, i Comuni, le Provincie e le Regioni, le Asl, i Consorzi di bonifica, le autorità di bacino, le autorità portuali e aeroportuali, le Ferrovie dello Stato, le Ater, l’ANAS, le varie municipalizzate e gli altri enti pubblici economici porta a ipotizzare oltre 8.300 enti appaltanti. Tra costoro ci sono enti virtuosi che non fanno notizia ed enti dissipatori e parassitari che alimentano la crescita del debito pubblico e la distruzione ambientale per incapacità, per ignoranza, per infiltrazione mafiosa. ……
Se vogliamo evitare che il fiume di denaro alimentato da più della metà di ciò che guadagniamo vada a finire nel “maelstrom” vorticoso degli appalti pubblici come oggi lo sopportiamo facendo di ogni contribuente il finanziatore involontario della corruzione, dell’incapacità tecnico- amministrativa, della dissipazione delle risorse comuni è necessario rivedere il sistema [normale]degli appalti.
L’insipienza al potere, dicevamo.
E’ facile criticare senza proporre soluzioni, ma non è il nostro caso. Sappiamo che le nostre proposte mai verrebbero accettate e tuttavia sempre su queste stesse pagine, sognando un “radicale cambiamento istituzionale e costituzionale” formulammo la proposta di istituire tre magistrature: Magister urbis (Febbraio 2011) per affrontare il problema delle periferie; Magister territorii (Dicembre 2012) per affrontare il problema della “forma” territoriale; Aediles Curules (Luglio 2013). Quest’ultima una magistratura per le opere pubbliche. A quelle proposte rinviamo chi ci legge nella speranza mai sopita di una rivoluzione rigeneratrice.