20 Maggio 2016
Domenico Cambareri
Riletture.
Ugo Van Doorne e l’amore del Cantico dei Cantici
Quanto veniamo qui a scrivere trova il suo specifico luogo nell’ambito di una disciplina di comprensione dell’uomo e delle sue produzioni spirituali offertaci dalla ricchezza del pensiero filosofico contemporaneo e dalla sua messa a fruttificare con particolare rigoglio nelle scienze umane. Essa è la fenomenologia. La linea di comprensione a cui ci riferiamo è quella esemplata nell’ambito delle discipline storico-religiose dalla lezione del pregevolissimo e insigne Mircea Eliade. Pertanto, non ignoriamo, non annulliamo quanto nell’ambito delle recenti scoperte archeologiche e più in generale della ricerca sulla cultura del Vicino Oriente antico quanto in via più specifica delle loro ricadute sulle indagini “stratigrafiche” sulla Bibbia è venuto alla luce, trasformando radicalmente l’immagine che la tradizione giudaico-israelitica (da sempre erroneamente generalizzata con il termine etnico “ebraica”, ad iniziare dagli stessi giudeo-israeliti al fine di imporre l’automatica identificazione fra elemento etnico e elemento religioso) e la susseguente tradizione cristiana avevano tramandato entro un quadro di fissismo fideistico sino all’età moderna, quadro quasi mai scalfito. Teniamo anche presente la prima recensione che su queste pagine è stata presentata da Paola Sollenni (Ugo Van Doorne: la freschezza di una prosa che accompagna il Cantico dei Cantici, 28 aprile 2013).
La vivissima intensità emotiva del Cantico dei Cantici e la sua struttura e tramatura e i suoi giochi e richiami di sensazioni immagini e sentimenti testimoniano, al di là degli eventuali parziali rimaneggiamenti subiti nell’ambito veterotestamentario, un’espressività poetica elevata al massimo grado. Il tono dell’umore, immediata cifra espressiva dell’animo, rende sempre perfettamente nitida ogni sua movenza, ogni suo tremore, ogni sua pulsione, ogni sua paura, ogni suo empito e connette con simpateticità l’animo del lettore a quello del poeta. La condizione temporale, l’oggettiva diacronia risulta sbriciolata, se non perfino come giammai esistita: le due anime vibrano tutt’uno. I versi del Cantico costituiscono una profonda e completa immersione nei recessi più profondi e inconosciuti dell’uomo, della natura, dell’amore e di quanto essi costituiscono fonte di ogni incontenibile irruzione creativa di cui l’amore costituisce uno dei paradigmi fondamentali degli esseri viventi. Secondo la lezione platonica, esso rappresenta il vertice del principio divino inconoscibile e trascendente. L’amore divino trabocca in ogni dove, per di più quasi mai visto da noi, e lega i patimenti amorosi all’ascesa dell’eros platonico verso il Bene sommo. Non dissimile l’ascesa dell’eros del Cantico dei Cantici verso ciò che con il linguaggio dei sensi chiamiamo pregustazione dello scioglimento nell’armonia universale, offerto da Francesco d’Assisi e da tutte le creature nel continuum biopsichico le cui estremità riconducono sempre al mistero della monade pura di leibniziana memoria.
Questa intensità emotiva incontenibile, straripante si manifesta entro un quadro storico in cui le allegorie e le metafore, le immagini e le ricchissime citazioni dell’ambiente naturale e culturale in cui visse l’autore ci rivelano idee, credenze religiose e influssi esterni, elementi storici e non storici e modelli di colture agricole, di allevamenti animali e testimonianze di ancora estesa presenza di fauna selvaggia, di sviluppo produttivo della realtà socio-economica e ci offrono vividi versi traboccanti di amore, di amore inteso in senso proprio nella dimensione erotica, sospintamente carnale, senza nessuna riserva se non quella di far intuire cosa possa significare sciogliere la propria esistenza, il proprio amore totalmente con l’altro e nell’altro. Diciamo, in senso visivo, uno scorrere davanti ai nostri occhi di interminabili lussureggianti formelle le cui immagini ci trascinano in vortici che disorientano, inebriano, fanno stramazzare per terra nel timore e tremore del repentino abbandono e nuovamente riportano a librarsi in slanci e balzi a mo’ di menadi che vogliono eguagliare e superare ninfe e sirene.
Un siffatto testo di poesia d’amore traboccante di sensualità è stato al tempo stesso avvertito sin dai primi tempi del giudaismo come un qualcosa che amplifica potentemente e ricrea l’eco dei culti delle dee madri e dei loro paredri, culto e modello d’amore profondamente estraneo alla neonata e esclusivista fede monoteistica. Esso non poteva non scatenare scandalo e avversione in molti fedeli, come in quelli che verranno, quali quelli appartenuti alle moltitudini delle correnti gnostiche e delle chiese cristiane. Tuttavia, non fu mai espunto, non fu mai soppresso.
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Nella lettura di questo inebriante Cantico si è cimentato un eremita benedettino dei nostri giorni, su cui abbiamo avuto già motivo di scrivere, Dom Ugo Van Doorne. Un ulteriore, infrequente e apparentemente atipico caso nell’ambito della storia delle religioni monoteistiche, specie al giorno d’oggi.
Come mai? Sin dall’antichità, come appunto testimonia in modo mirabile lo stesso vibrante erotismo del Cantico dei Cantici (qui volendo tralasciare riferimenti a contesti religiosi quali quelli egizi, anatolici poco sopra appena accennati, del Medio e Estremo Oriente), il linguaggio erotico è stato un linguaggio la cui incisiva espressività veniva utilizzata non di meno per tradurre simultaneamente con pari e pur maggiore incisiva espressività una comunicazione cifrata. Sue peculiarità: analogia comunicativa e perfino ampia corrispondenza dei processi fisiologici e cerebrali per come si possono manifestare nell’essere umano durante l’attività meramente erotica e in quelle erotico-amorosa, erotico-amorosa “sacrale”, mistica .
La comprensione di questo codice dell’anima rende (può rendere) esperienza vissuta, immette (può immettere) in una dimensione di esperienza, che il soggetto coinvolto effettivamente vive (può vivere) a livello di interiorità e di sua effettiva fruizione esistenziale e trans-esistenziale: animica e spirituale. Tutte le più profonde movenze dell’animo avvolto e inebriato e “accecato” dalla piena inclusività bio-psichica dell’ in-stasi edonistica dei sensi e dei sentimenti vengono letteralmente trasformati in paradossale e ultra-liminale esperienza mistica e nella sua irrisolvibile polarità, costituita dalla sublimazione estatica e dall’abbandono del “numinoso” o “notte di Dio”. Su questo piano, riteniamo possibilità feconda ma non automatica operare secondo il concetto neoplatonico di anagogia, ripreso dalla filosofia medievale e dall’esegesi biblica.
Tutto questo è ciò che costituisce uno dei più peculiari paradigmi del misticismo, che in secoli ancora non lontani da noi visse una pagina cristiana di particolare intensità religiosa con san Giovanni della Croce e santa Tesa d’Avila; ancora più forte, radicata e ramificata è stata ed è la sua manifestazione nell’ambito del misticismo del monachesimo ortodosso (su questa splendida pagina, ci siamo soffermato brevemente a suo tempo in: L’Esicasmo e la mistica del cuore, concesso all’antologia di studi tradizionali “Luz” di Mauro Cascio e Maurizio Camerata, senza però mai avere rilasciato loro alcun diritto editoriale; è pertanto infondata la rivendicazione vantata dal Camerata nella rete; vedi pure «Una delle forme più vive di spiritualità esoterica del cristianesimo ortodosso» su Parvapolis, intervista rilasciata a Elisabetta Rizzo ripresa da L’Europa della Libertà, “Cambareri: il misticismo ortodosso della Filacolia / Luz, le vie dell’immediatezza. Domenico Cambareri: «Una delle forme più vive di spiritualità esoterica del cristianesimo ortodosso»”, 22 ottobre 2008; cogliamo qui l’opportunità per autorizzare esplicitamente chi fosse interessato a poter liberamente attingere e riprodurre il nostro breve scritto a farlo, indicando autore e fonte e senza operare interpolazioni e manipolazioni del testo).
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Riteniamo adesso che risulti ben motivato e giustificato l’interesse di un monaco benedettino dei nostri giorni , vissuto sempre in eremitaggio, per il Cantico dei Cantici. Riteniamo che risulti ben comprensibile pure cosa di nutrimento abbiano trovato in questi versi di estatica delizia dei sensi i precedenti anacoreti, eremiti e credenti per di più di formazione religiosa fortemente antisomatica perfino estrema, ma non certo quelli che sconfinarono nella dimensione della più drastica e irricevibile misoginia sessuofobica e finanche in atti di criminale, folle patologia antimondana nel corso dei secoli (estremo opposto delle degenerazioni orgiastiche profane e religiose).
Un motivo in più per cogliere un orientamento spirituale nuovo e antico al tempo stesso. Nuovo perché in tutto e per tutto questo eremita ha vissuto la sua esperienza monastica e di ascesi in piena freschezza d’animo anche nei confronti della vita della dimensione profana, quindi di gran parte degli uomini, senza prevenzioni di sorta o ombrose espressioni del viso e dello spirito e disprezzo e odio verso essa. Vecchio perché esso ha saputo continuare e vivificare in modo esemplare una pagina particolarissima entro quella che fu già assolutamente originale, quella della vita religiosa secondo la regola benedettina.
L’opera di un siffatto benedettino che non ha trascorso la sua vita nella spelonca assoggettandosi a chissà quali e quante macerazioni e debilitazioni fisiche e a terrorizzate prostrazioni emotive e animiche, che non è caduto in alcun impazzimento distruttivo visionario profetico e di presunte culminazioni teurgiche nelle sue fitte 173 pagine ( a cui sono da aggiungere la prefazione del vescovo Giuseppe Costanzo, la postfazione di Sebastiano Burgaretta e il testo del Cantico dei Cantici) si articola nell’introduzione e in otto capitoli. Essi cadenzano l’avvicinamento e l’ascesa del miste nel mondo dell’eros divino. Avvicinamento e ascesa che sono frutto di un’ininterrotta azione di decifrazione e ricomposizione psicologica religiosa e metafisica della tramatura dell’immortale opera poetica.
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Un siffatto itinerario si esplica con un codice linguistico in cui la ricchezza della lezione platonica e delle ulteriori storiche ramificazioni non cristiane e cristiane è sempre sottesa in tutta la sua ineguagliabile ricchezza. Naturalmente, l’autore non si era prefisso di realizzare un’opera filosofica quanto una propedeutica e una protettica religiose rivolte innanzitutto ai credenti la cui sensibilità interiore è più portata ad avvicinarsi alla comprensione della dimensione mistica e della sua fenomenologia.
E’ bene riportare qui i titoli dei capitoli per dare contezza informativa su ciò che affermiamo: Il Cantico dei Cantici: ritorno al paradiso terreste? – Simbolo nuziale: al di là dell’Amore – “Mi baci con i baci della sua bocca” – Primavera dell’amore – L’amore della prova – Trionfo dell’Amore – Cantate a Dio, inneggiate al suo nome. Perché solo il suo nome è sublime.
La platea dei lettori è, dopo questa più che naturale specifica parte, quanto mai ampia e generale. Infatti l’autore ha redatto il suo lavoro con una scrittura, semplice e di immediata lettura e fruibilità, tale da consentire l’accesso anche a persone di poca cultura. La marcatura della latitudine culturale cristiana e cattolica e altresì della sua ascendenza giudeo-israelitica è data dalla ricchezza delle concordanze sul testo, concordanze che costituiscono un vero apparato (erudito) di cui non può nutrirsi, a suggello della propria appartenenza cultuale, tanto un uomo che ha pronunciato i voti monacali e sacerdotali entro uno specifico climax e ecumene fideistico-devozionale e teologale quanto un fedele mosso da sincero alito religioso. Un universo che ha plasmato e nutrito i recessi più nascosti della psiche di dom Ugo Van Doorne e dato impulso e forma alla sua tensione spirituale.
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Naturalmente oggi sappiamo, ad onta degli esclusivismi e dei fanatismi giudeo-israeliti, sionisti e cristiani che il libro “ebraico” è un testo in cui si scoprono sempre più stratificazioni di influssi cultuali e culturali giammai riconosciuti da allora sino a tempi recentissimi, e ancora denegati; incorporazioni di testi altrettanto mai palesate; esplicite chiare e incontrovertibili dichiarazioni della rivoluzione “mosaica” e dell’instaurazione di un clima di fanatismo terrifico che consentì in quegli specifici contesti storici l’affermazione della rivoluzione monotesita che pur tuttavia sfacciatamente conservava gli Elōhîm. Un testo sincretico. Come abbiamo avuto modo di indicare, lo stesso Cantico dei Cantici è un recepimento/incorporazione di un più antico testo mesopotamico.
Testo mesopotamico era quello del diluvio universale, fonte diretta del tardo testo della Bibbia giudeo-israelitica. Ciò indica di quanta erbaccia e di quanti baconiani idola si nutrono allo stesso tempo le rinsecchenti “avite tradizioni” religiose, laddove lo spirito critico della ricerca e la libertà della cultura e dell’adesione al culto vengano soppressi; di quale e quanta prolungata nefasta azione siano causa i diktat dei dogmi, i formulari clericali, la preminente supremazia sapienziale e divina delle caste sacerdotali colti nell’aura di perpetua sacralità dell’ipse dixit.
Ciò indica al contempo, pur tuttavia anche e soprattutto, come sia il comparativismo sia la fenomenologia possano oggi far comprendere la ricchezza di fermenti pensieri e realizzazioni dello spirito umano, che nella loro universalità possono ben travalicare confini e steccati e convenzioni cultuali e i bacini storico-dottrinali delle singole religioni. I molteplici apporti delle odierne scienze nell’ambito della ricerca storica oggi risulta formidabile quanto indispensabile in ogni disciplina e specializzazione. Ad iniziare da quelle di cui usufruiscono incessantemente gli archeologi e, fra di essi, epigrafisti.
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La schietta e scorrevole prosa di Dom Ugo Van Doorne immette più e più e più volte l’animo del lettore nella palpante condizione di rivivere la vivida trepidazione dell’amante del Cantico, trepidazione che si dispiega in tutte le sue ulteriori avvertite e inavvertite movenze. Essa metamorfizza immediatamente l’amore erotico nel processo di avvicinamento alla fonte delle fonti, all’incausato, a Dio, al divino, al Principio primo e ultimo secondo la simultanea condizione della sua originaria universalità e pure dello specifico schema psicologico e religioso, producendo condizioni passionali immaginifiche e ideative che a esso si accompagnano e che generano il mirabolante e rigenerante mondo simbolico quale sua innegabile e necessaria estrinsecazione mentale e artistica: quella che condensa pure il diapason dell’orizzonte della morte. Come nella notte di Dio. Orizzonte che si azzera nel coincidente orizzonte che trabocca dell’amore divino e irrora l’universo. Secondo le in perscrutabili vie, come testimoniato a Occidente dall’età moderna da Spinoza e a Oriente da secoli da Gautama.
L’ottuagenario autore dunque con insuperabile arditezza rivivifica l’eros del Cantico entro il solco della fede in Cristo, della letteratura delle concordanza dei luoghi veterotestamentari neotestamentari patristici esegetici apologetici e agiografici e dell’ulteriore letteratura storica cattolica, sino a quella più recente che include gli ultimi pontefici.
Questo libro è il risultato di un’operazione culturale sicuramente ineccepibile nell’ambito della raccolta delle formelle della fede di appartenenza storicamente data, ma non oltre? Se no, forse perché oltre, in termini correttamente storico-religiosi, vi è lo spartiacque? Capiamo noi stessi che non si poteva pretendere e chiedere all’eremita cristiano un’esplicitazione concettuale di tal fatta, esplicitazione concettuale che non può non involvere in quell’insuperato e insuperabile auto incapsulamento proprio soprattutto delle credenze monoteistiche di ascendenza giudaica. Anche se con la massima captatio benevolentiae accogliamo le istanze delle singole fedi, qui non possiamo negare di trovarci elettivamente nel luogo proprio del paradosso delle religioni. L’ambito di esclusività rivendicato da ciascuna di esse inficia il principio dell’ universalità della categoria religiosa e della sua insopprimibilità nella vita del genere umano, ma al tempo stesso da essa è inverato e superato secondo il coretto modulo della relatività della sua apparizione e durata e parzialità e del suo specifico patrimonio creativo, costituito non di meno da un proliferare e pullulare di credenze affatto non credibili e superstiziose, secondo stratificazioni socio-culturali da cui risulta non esclusa nessuna classe sociale e nessun gruppo culturale esteso. Men che mai al lume della ragione.
Tuttavia, in e dopo questo oltre, pur nell’affermata e riaffermata dichiarazione della specifica relazione personale nel rapporto d’amore miste-Dio, a noi pare che la peculiare e primaria condizione di “relazione impersonale” risulti essere stata del pari fermamente preservata dall’eremita benedettino sul piano della teognosi senza fine. Teognosi il cui razionale sbocco speculativo è quello della metanoia non apologetica : ciò che è rimane oltre la comprensione dell’intelletto umano. Dell’intelletto umano in quanto tale. Dell’uomo in quanto tale.
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Testo con finalità propedeutiche e di formazione, dicevamo all’inizio: testo che avvia all’incamminarsi e che aiuta e accompagna all’esercizio individuale della comprensione dell’eros e della privazione dell’eros. Ossi alla comprensione del lacerante brivido che irrompe nello spirito per l’esser esso sospeso nel vuoto e per l’accorgersi che questo stato è il vero significato dell’essere stato gettato nel mondo. Essere stato gettato nel mondo nella privazione della sua completezza originaria, nella privazione dell’amore e mistico e ascetico e noetico, l’amore che tutto congiunge. <<L’argomento del Poema è unico, universale, cosmico, eterno, prima del tempo e di tutti i tempi, è al di là del tempo che passa: l’Amore. >> (Dom Ugo Van Doorne, op. cit., pag. 97). Pensiero coinciso, con parole che ben si adattano al mese mariano e alla vastissima mariologia pre- e trans-cristiana, al profondo retaggio del sincretismo cattolico, talmente spesso e ramificato e intricato e pur anche valido da connetterlo, nel paradosso del religioso e delle manifestazioni del numinoso, all’universalità di questa categoria dello spirito e della ricerca fenomenologica e storico-religiosa.
*A Dom Ugo Van Doorne è stato attribuito il Premio Capo Circeo, XXXIII annualità, 2015, nella nuova edizione di Premio Europeo capo Circeo, Roma Campdiglio, Musei Capitolini.
Dom Ugo Van Doorne, Il Cantico dei Cantici. Oltre le parole. (Santocono Editore, 2012)
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