A sei mesi dall’addio di Stella. La nostra generazione è la vera vincitrice , ma ha fatto un clamoroso autogol

15 Dicembre 2016

               Domenico Cambareri

Per Stella. Il nostro ’68 fu tutto diverso.

Il nostro presente e il nostro futuro prossimo rimarranno grigi e anonimi?

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Stella Rao

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Lo scorso giugno moriva a Catania Stella Rao. Una lunga metabolizzazione prima di poterla ricordare. Una lunga metabolizzazione difficile e dall’esito non soddisfacente. Finalmente la ricordiamo pubblicamente.
Attraverso la morte di questa coetanea che fu cara amica di ideali e di lotte, abbiamo rivissuto per molti giorni la primavera della generazione di cui abbiamo fatto parte e facciamo parte. La generazione dei figli del tradimento e della sconfitta. La generazione dei figli e dei nipoti di tanti fascistissimi voltagabbana diventati in un battibaleno superbi esemplari di antifascismo di comodo, di camaleontismo e carrierismo, infami uomini privi di dignità in un’Italia sotto il tallone dei vincitori apportatori di “libertà”, pronti solo a gridare: "Dobbiamo dire grazie agli americani, ci hanno dato la libertà". La libertà dei mafiosi, la libertà dei delinquenti dei partiti, la libertà dei partitocrati, primi sicari della costituzione da loro redatta e criminali che hanno indebitato almeno sei generazioni. Hanno indebitato il popolo italiano per più di un secolo e distrutto la natalità. Canaglie d'infima risma.  
Primavera di una generazione che si trovò completamente immersa nella violenza politica scatenata dagli obiettivi perseguiti con la più implacabile determinazione dai vincitori che si erano posti già nel ’45 su fronti contrapposti. Violenza politica quale duplice espressione degli strumenti della strategia indiretta e della controinformazione/disinformazione, attuata d’un lato dai governi democristiani per la sempre più traballante egemonia politica per le usuranti lotte intestine e con gli alleati minori e per la crescita elettorale del PCI e le azioni dei primi gruppi armati dell’ultrasinistra. Dall’altro lato, come risultanti e frutti delle operazioni di destabilizzazione realizzate dalla infiltrazione sempre più ramificata e profonda azione dei servizi di spionaggio dei Paesi del Patto di Varsavia e, per contro, dallo sbarramento messo in opera da quelli occidentali, in primis la Cia.
In un siffatto contesto di cronici, accesi contrasti partitici, paralisi dell’azione di governo e affossamento totale della funzione e del ruolo del parlamento, l’alternativa comunista era diventata pericolosamente credibile. Ciò aveva radicalizzato la lotta politica nelle piazze e in ogni dove con lo scontro oratorio che istigava apertamente all’attacco e blandiva con il silenzio in riferimento al ricorso ad ogni altro mezzo nell’attuazione della violenza aperta. Classico topos dei sindacati e della sinistra estrema diventerà infatti il Cipputi, l’operai senza cervello armato di chiave inglese o sbarra di ferro.
Il successo elettorale della piccola forza della destra sociale neofascista, il MSI (forza antisistema sul piano di puro principio ma di nessuna fattibilità politica, a differenza di quella rappresentata dal PCI) avvenuto dapprima in Sicilia e poi a livello nazionale, frutto della reazione della piccola borghesia costituita dai dipendenti pubblici ancora non sindacalizzati e non massacrati, dai piccoli e medi proprietari terrieri e dai commercianti, scatenò una spiralizzazione estremamente accentuata, di cui ancora oggi ne possiamo cogliere la pericolosa portata nelle parole di un fanatico esponente della sinistra democristiana, antifascista e partigiano di rango (come era stato già giovane fascista filonazista di rango, come Giorgio Bocca), parole che in maniera martellante furono amplificate per anni dai media e poi attuati pienamente sul piano politico dal nuovo leader democristiano Ciriaco De Mita con l’artificio dell’arco costituzionale e dal primo governo frutto di questo mistificatorio artificio: il primo governo dell’ex garante pro USA, Giulio Andreotti (assieme a Emilio Colombo). Le parole sconsiderate e l’azione sconsiderata di P. E. Taviani.
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Di fronte alle fiumane interminabili dei cortei delle più diverse e violente organizzazioni dell’ultrasinistra e dei sindacati “confederali”, i giovani di destra erano quasi capocchie di spillo. Nonostante le migliaia di studenti e perfino di operai che sfilavano insieme durante le grandi manifestazioni di protesta dell’estrema destra parlamentare come a Catania, Napoli e perfino Roma. La loro presenza e la loro azione costituì un eccezionale, per quanto impari, contrappeso allo strapotere e alla straviolenza della piazza comunista filosovietica. Essi hanno scritto pagine di storia rese anonime da un vigliacco sistema di filtraggio della diffusione dell’informazione.

Stella Rao - 13 giugno

                                                                   la giovanissima Stella Rao sulla copertina del periodico etneo “13 giugno” lanciato da Salvatore Grillo
I sessantottini fallirono proprio su tutto, i sessantottini furono sconfitti proprio su tutto. I sessantottini vivono alla grande, diventati da decenni sporchi lacchè dei capitalisti. Ci sgovernano, ci derubano e ci portano alla rovina.
Oggi, gli eredi di quelle piazze di violenza e di incontenibile filosovietismo, sconfitti politicamente e culturalmente, sono nei modi più paradossali coloro che controllano il mondo dell’informazione, della cultura, dell’economia. Sono coloro che ci governano da parecchi anni, corrotti fino al midollo, inefficienti fino all’inverosimile, votati al disastro della società.
Maria Loreta Rao, conosciuta meglio come Stella, apprezzata avvocatessa penalista nel foro di Catania, ha lasciato lo scorso giugno i suoi familiari e parenti e i suoi amici con un preavviso molto breve. Era stata allieva di uno fra i maggiori penalisti italiani, Enzo Trantino, nonché personaggio politico siciliano di rilievo, il quale ha trascorso gran parte della sua vita anche fra i banchi di Montecitorio. Stella aveva ricoperto incarichi politici all’interno del MSI-DN etneo e di Alleanza Nazionale, guidando pure le strutture provinciali. Oltre (chissà perché) non le avevano consentito di andare.
Questo tuttavia fa parte di un qualcosa che, sia pure non più recente, è nella memoria delle persone che hanno svolto o seguito l’attività politica della Sicilia orientale in quegli anni. Un qualcosa che confermò le qualità politiche di Stella, la quale dovette cimentarsi in un momento in cui gli esponenti della destra sociale e nazionale, arrivati per la prima volta a gestire il potere centrale e locale all’interno di una coalizione politica che lasciava presagire grandi prospettive (andate in pochi anni letteralmente azzerate), furono travolti dalla concorrenza sfrenata e dalle incontenibili e fameliche brame (proprie e dei loro alleati) che avrebbero portato a pochi reali cambiamenti della vita politica e sociale nazionale e dato un ulteriore stimolo all’azione giammai contenuta della perversa e onnipervadente ramificazione del parassitismo concussivo-corruttivo mafioso della partitocrazia italiana. Partitocrazia che costituisce e ha costituito un vero e proprio regime politico, ben precisamente definibile in tutte le sue specifiche particolarità in sede politologica e storica.
Il regime assorbì velocemente entro la sua dissennata macchina divoratrice non poche persone fra quelle che guidavano la coalizione e non di meno e in particolare quelle che provenivano da questa destra nazionale e sociale. Persone che in generale si rivelarono presto sul piano caratteriale e ancor più su quello culturale e su quello della preparazione dell’operatività politica assolutamente scialbe e del tutto inadeguate a svolgere ruoli delicato e impari rispetto alle qualità richieste al fine di realizzare un passaggio politico e istituzionale di eccezionale importanza per la Nazione, davvero epocale. Trapasso così niente affatto attuato. Anzi, appena appena avviato e velocemente abortito. Sono gli anni in cui Gianfranco Fini e i suoi vennero a scompaginare, sconquassare tutto, davanti alla disillusione e alla costernazione quasi generale, sia dei militanti e dei simpatizzanti e degli elettori sia degli avversari politici delle più diverse latitudini.
Una vittoria storica, una vittoria che aveva visto la disfatta del comunismo sovietico e mondiale cadere in mille pezzi e che vedeva giorno dietro giorno le crisi ininterrotte provocate dall’azione tossica e depauperante svolta dal capitalismo finanziario internazionale (sistema raffinato di criminalità resa impune dagli organi normativi occidentali, tollerato e protetto sino alla grande crisi del 2008); una siffatta vittoria che riportava nel cuore delle problematiche politiche, politologiche, ideologiche la validità della terza via tracciata da Benito Mussolini e che imponeva agli stessi ex comunisti nostrani di sopravvivere smerciando merce contraffatta, ossia il modello della socializzazione fascista, siffatta vittoria veniva dunque orrendamente tarpata da questi tristi e vili figuri che si erano rivoltati contro Berlusconi solo per questioni di poltrone e NON di attuazione di svolte epocali in Italia e in Europa. E nel mondo.
Per realizzare dei rapporti sociali e lavorativi meno ingiusti, non classisti, più umani e “umanitari”, cioè solidali e non di inconcludente assistenzialismo, di promozione culturale sociale economica dei ceti più deboli e di accettazione delle diversità entro il principio di uguaglianza giuridica. Per dare il via a una grande trasformazione epocale, quella dell’Umanesimo del Lavoro. Umanesimo il quale intende preservare in modo rigoroso e intangibile il legittimo diritto del creatore, dell’artefice, del produttore, del grande e del piccolo organizzatore; e che non di meno intende che queste demiurgiche energie non vengano insaccate e disperse da un selvaggio, incontrollato, fatuo e disgregatore egotismo ma vengano proficuamente utilizzate entro un’impresa non meno nobile. Una più ampia, generale e universale visione che richiede addizionali, moltiplicate energie e spinte atte a compiere una globale azione di diffusione, ramificazione progettuale di tali creazioni e porre in essere il coinvolgimento e l’attivazione delle volontà e dei fecondi entusiasmi delle menti operose organizzative e ideative degli altri soggetti operanti. Al fine di promuoverne il miglioramento e il grado di collaborazione e integrazione nel più ampio processo osmotico delle imprese produttive e di tutte le figure lavorative che in esse sussistono in base agli specifici e non omologabili compiti e ruoli, dell’economia nel suo complesso e dei benefici che da ciò riceve l’intera struttura sociale, appianando così con la collaborazione la partecipazione e l’intesa i contrasti e fugando il pericolo di scontri.
Riteniamo che a Catania e in tutta la Sicilia, come a Roma, il quadro fosse analogo se non pure più drammatico, visto il disastro esistenziale e storico oltre che politico e generazionale che produsse. Le eccezioni, che pur vi furono, quale quella di Enzo Trantino, vanno sottolineate e ricordate ma non incisero e non potevano incidere in nessuna misura rilevante in un siffatto quadro degenerato. Ricordiamo, ad esempio, che il leader della coalizione, Silvio Berlusconi (da noi per alcuni aspetti difeso), agì in maniera distruttiva in parecchi ambiti e nodi cruciali della politica estera e della difesa, della politica sulle professioni e sulla giustizia sociale. Come fu ad esempio per l’annodare rapporti privilegiati e pericolosissimi con Israele anche nell’ambito della difesa e della tecnologia avanzata: sentiero non interrotto dai successivi governi. Come fu nel non bloccare ma incentivare la corriva, mafiosa legge sulla dirigenza pubblica, di dalemiana memoria.
Ricordiamo, scandalo degli scandali e ingiuria delle ingiurie, che un senatore proveniente dalle nostre file (divenuto presidente di commissione e che si sperticava in attivismi parlamentari e clericali reboanti quanto nel veicolare una concezione fondata in apparenza sui “valori” e sull’attività intellettuale ma in realtà a nostro convinto parere su quella familistica e ultraclientelare della politica) sul quale non vogliamospendere neppure una parola per appropriate contumelie, ottenne l’approvazione di un’abominevole legge con cui veniva attribuito in ambito lavorativo al parlamentare che cessava la rappresentanza elettiva un inquadramento funzionale al vertice della dirigenza. Più degenerazione partitocratica di questa, più mafia di questa, cosa poteva ancora esserci nell’ambito della “destra sociale e neazionale” e del parlamento eletto dal popolo?
Neppure tutta la prima fase storica della partitocrazia era giunta a perpetrare in modo così disinibito e sfacciato un tale misfatto! Ricorderemmo pure altre cose, a proposito di parlamentari e anche vecchi amici etnei. Ma è meglio lasciare stare. Lasciare stare, senza dimenticare e condannando. E condannando apertamente.

Stella Rao con il marito Prospero Cocimano

Stella Rao con il marito Prospero Cocimano
La generazione di Stella, dunque, la nostra generazione, è stata travolta e tradita in piena regola dal coetaneo Fini e da gente di simile natura. Gli ideali e le aspettative furono in pieno traditi da uomini che si asservirono alla partitocrazia italiana, che si asservirono al “costo della democrazia” pseudo-parlamentare. Si asservirono al sistema partitocratico senza mai avere a chiedere e pretendere che le norme costituzioni mai adempiute e messe in soffitta, norme cruciali per un corretto e proficuo funzionamento del sistema rappresentativo e della giustizia sociale, venissero attuate e con grande e alacre fervore rafforzate.
In primis, quelle sulla personalità giuridica dei sindacati, su una nuova, efficiente e forte legge attuativa del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, sugli statuti e sui regolamenti interni del partiti al fine di obbligare e verificare l’effettiva trasparenza della gestione democratica delle segreterie dei partiti, sul concreto ambito di applicazione della rappresentanza parlamentare quale elettorato passivo svincolato non in toto dall’elettorato attivo e altresì garantito dalle imposizioni extra programmatiche delle segreterie politiche. Sulla salvaguardia del ventaglio retributivo e del suo interno equlibrio al fine di evitare lo schiacciamento delle funzioni e delle prestazioni lavorative dei lavoratori a vantaggio di sottaciute alleanze mafiose fra dirigenze partitiche, sindacali e specifici settori della pubblica amministrazione. Sul  contenimento e sul respingimento dell’egemonia distruttiva del capitalismo speculativo più sfrenato, quasi sempre a livello internazionale legato agli interessi più abietti del sionismo.
In un siffatto contesto, qui risulta poco pertinente rilevare quanto una parte degli amici e delle persone di questa generazione e della più anziana direttamente impegnate e protagoniste a livello nazionale o locale cercò o riuscì a fare. Certo è che l’eredità ultima è insignificante, insussistente. La conclusiva frammentazione estrema ha messo a nudo definitivamente di che levatura morale, politica e culturale fossero costituite la schiera e il codazzo finiano, ad iniziare dagli attuali fratelli leghisti. Un mondo di piccole infamie.

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Ciò che desideriamo di più ricordare, dopo questo introduttivo atto di deferenza veritativa verso le vicende delle quasi ultima contemporaneità politica, è qualche scorcio relativo agli anni della nostra giovinezza e dei nostri studi universitari. Anni ricchi di fermenti ideali, di motivazioni e passioni in merito alle tragiche vicende storiche nazionali, alla sconfitta subita e alle ciniche carnevalate dei vinti-vincitori, al concreto rischio di essere sovietizzati o tramite un blitz del Patto di Varsavia fortemente favorito dagli pseudo pacifisti di meglio rossi che morti (better red than dead) o tramite un travolgente sorpasso elettorale del PCI (che sotto la guida di Berlinguer effettivamente accadde) e tramite la  sincrona e in apparenza antitetica strategia delle organizzazioni terroristiche comuniste.
Anni davvero bui per l’Italia e per le organizzazioni politiche della destra sociale e nazionale, le organizzazioni che con onore possiamo noi stessi definire neofasciste.

Anni davvero bui in quanto la falsa e storicamente infonda vulgata resistenzialista sponsorizzata e egemonizzata sin dai primi giorni del dopoguerra dal partito comunista e dai suoi accoliti dell’anpi dilagava ovunque e veniva utilizzata come attivo strumento di messa in custodia della costituzione e della repubblica e come fonte di legittimazione della violenza rivoluzionaria, “proletaria” e “di popolo”. Essa inoltre arrivò a essere spavaldamente e fanaticamente utilizzata pure dentro la DC e dentro i governi di allora da parte della sinistra democristiana. Esemplari furono gli anni in cui Taviani fu ministro dell’interno, anni in cui si impose con la violenza comunista e con la violenza di chi controllava parte degli apparati della sicurezza interna la farsa della violenza fascista.

Anni davvero terribili in quanto l’Italia, sottoposta a un iniquo trattato di pace dai vincitori, godeva di una sovranità del tutto formale. Grazie alla corruzione e alle lotte partitocratiche, all’inefficienza e alla degenerazione burocratica, alla violenza degli scioperi comunisti, il Paese era in pieno collasso e era diventato luogo di scontro delle aggressive strategie sovietiche e del partito comunista da un lato e delle reattività americane e della Nato dall’altro. Fu pertanto facile operare l’infiltrazione e la saldatura fra i servizi italiani e i sevizi stranieri occidentali qui operanti e uomini e giovani di destra, il reclutarli al fine di attuare attacchi terroristici atti a controbattere il terrorismo delle BR e delle altre organizzazioni terroristiche filosovietiche.
In questo clima, di cui gran parte della popolazione sembrava non accorgersi, si snodava la vita dei giovani e degli studenti di destra. Anche a Catania, città dove la risposta elettorale contro gli obiettivi di pseudo riforme sociali e di reale eversione sociale a cui miravano congiuntamente il PCI e le sinistre socialiste e democristiane era il realtà un’azione di eversione sociale che veniva a colpire la piccola e media borghesia, i professionisti e i piccoli proprietari. Non certo i benestanti, i notabili e  il già sterminato sottobosco politico-mafioso. La cara nomenklatura che così pregevole e insostituibile ruolo svolge nella fisiologia del sistema comunista borghese.
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