Dopo l’obbrobrio del 25 aprile, il 2 giugno con il 4 novembre resta l’unica data della coesione nazionale

2 Giugno 2017

riproponiamo l’articolo del

2 Giugno 2010

Domenico Cambareri

 

 

 

 

 

Per una nuova Costituzione, per una rivoluzione pacifica

 

Bonificare parlamento governo e partiti, avviare scelte di equità e di definitiva lotta alle giungle retributive, fermare i malsani localismi e la xenofobia, realizzare doverosi controlli alle frontiere e ridurre dall’estero il fenomeno dell’immigrazione clandestina, dare impulso al potere del presidente del consiglio e incisività al ruolo del capo dello Stato: questi gli elementi per portare a rifondare l’Italia e la sua Costituzione

 

Il 2 giugno rappresenta l’unica, esclusiva data che ha visto, che può vedere e vede raccolti sotto la stessa bandiera e con una sola Costituzione gli italiani dell’Italia rinata dopo gli sconvolgimenti del secondo conflitto mondiale. Soprattutto dopo gli sconvolgimenti e le tragedie ancora in parte sottaciute che accaddero sul suolo patrio diventato luogo di scontro tra armate straniere e tra italiani divisi. E salvo le date della storia patria ante 1943, in particolare quelle del Risorgimento e del suo parziale compimento, avvenuto con la prima guerra mondiale con l’unità alla Madrepatria di Trieste, Trento, Bolzano. Anche se delle altre terre della lingua italica rimasero e rimangono escluse, come Corsica e isole maltesi. E, nuovamente, dopo la disfatta del 1943-1945, lembi non meno cari del territorio del Nord Est – Alto Adriatico.
Il lento e difficile cammino degli ultimi anni ‘40 e dei primi anni ’50 seguito poi da una grande fase di espansione e da ulteriori fasi di crescita segnate da rallentamenti e stalli anche repentini in cui più volte gli aspetti endogeni si sono incrociati in maniera anche anomala con i fenomeni esterni che ne costituivano spesso la causa principale, oggi è qualcosa di lontano nella memoria dei più adulti e qualcosa di appena sentito dire da parte dei più giovani. Eppure questo cammino costituisce la storia interna del nostro popolo, con tutti i suoi accentuati chiaroscuri, con tutte le sue forti contraddizioni, con tutte le sue conquiste culturali, tecnologiche, economiche e sociali. Con tutte le sue profonde ed estese trasformazioni.
E’ doveroso ricordare che spesso dei dettati costituzionali sono stati postergati immotivatamente nella loro attuazione dai governi e dai parlamenti in carica nel corso degli anni e che quando, poi, è stato dato l’avvio alla loro realizzazione, lo si è fatto senza equilibrio. E’ il caso del regionalismo. Altre parti importanti della Costituzione sono state sino ad oggi non attuate, come il dare la personalità giuridica ai sindacati (che per lunghissimi anni ha comportato condizioni di vantaggio esclusivo, perduranti collusioni nelle strategie comuni di partiti e sindacati, di totale irresponsabilità da parte dei sindacati con le azioni intraprese davanti agli interessi generali della collettività e dello Stato), od altre realizzate in maniera incompiuta o monca. Come per il diritto allo studio, per la mancata salvaguardia della retribuzione legata ai ruoli professionali svolti, dell’esercizio delle attribuzioni date dalla Costituzione al Capo dello Stato – fortemente coartate da una prassi partitocratica particolarmente pervasiva, aggressiva, corrosiva che ebbe a relegarlo al ruolo di mero notaio delle lotte e degli accordi tra i capi dei partiti con l’esautorazione delle camere parlamentari.
Non bisogna soffermarsi solo sugli aspetti positivi della Costituzione e dimenticare che essa risentì sin dalla sua nascita di un impianto particolarmente fragile, di cui chi più chi meno tutti parlano, dovuto, ad esempio : – alla asserzione fondamentale e purtroppo non democratica secondo cui gli “articoli fondamentali” erano e sarebbero stati per sempre immodificabili, in ciò aprioristicamente escludendo ogni possibilità di miglioramento, di adattamento in fieri del suo stesso intrinseco spirito e ponendo così esplicito divieto alle generazioni future di potere decidere del loro destino secondo forme e contenuti che esse potranno ritenere più consone alla individuazione dei principi fondamentali dell’assetto istituzionale democratico e … liberale; – all’inserimento nel dettato costituzionale di un trattato internazionale tra Stati, il trattato del Laterano del 1929: mostruosità che vulnera in maniera mortale il perché stesso della carta costituzionale, i principi di libertà, indipendenza e sovranità dello Stato e del popolo. Ciò in quanto ogni tipo di trattato internazionale fra Stati non può surrogare, delimitare, avallare, con-sustanziare principi fondativi assolutamente auto de-condizionati e de-condizionanti e per ciò stesso sovra ordinarsi in via surrettizia alla Carta medesima. Qualsiasi tipo di trattato, a priori, costituisce in materia afferenza affatto estrinseca e non può giammai essere recepito e utilizzato come succedaneo di alcunché. Men che mai, è da dire, anche se mossi dalla migliore disponibilità d’animo, in materia religiosa in cui non può minimamente essere bloccata la terzietà dello Stato; – la scelta del sistema rappresentativo del bicameralismo perfetto, dovuta a memorie allora sature di recenti negatività – peraltro, nella genesi storica, nate a loro volta come reazione e risposta estrema alle paralisi determinate dalla prassi partitocratica già imperante nella camera dei deputati dell’Italia del primo ‘900. Scelta del bicameralismo perfetto che ha arrecato sin dall’inizio danni inauditi e che saranno per sempre incalcolabili al funzionamento parlamentare, alla proficuità degli iter legislativi, all’azione dei governi, alla vita e agli interessi maggiori e minori del Paese e dei cittadini in ogni settore; – l’impossibilità da parte del presidente del Consiglio dei ministri di potere indirizzare e dirigere l’azione del governo e di singoli ministri in relazione agli obiettivi di programma proposti e fissati e di potere proporre al Presidente della Repubblica la firma di un decreto di esautorazione di un ministro; – l’impossibilità del Capo dello Stato di richiamare in maniera incisiva e ferma il governo sull’adeguamento di indirizzi, obiettivi, programmi, modalità in merito all’attuazione della politica estera e di difesa, della politica scolastica universitaria e della ricerca; – l’avere mantenuto l’ordine giudiziario articolato in due rami aperti e mischiati fra loro.
Questi anni, con le gravi e anomale irresponsabilità politiche che stanno operando a tutto vapore per la trasformazione della Nazione in macro entità locali, non sembrano adatti per potere chiamare a raccolta le migliori intelligenze e per attuare la rifondazione della Costituzione. Eppure, non è così. Proprio gli improvvidi pericoli che già fanno parte dell’odierno orizzonte e che porteranno a una smisurata crescita del “pubblico” nelle sue dimensioni non più statali ma regionali con torme di nuove strutture di “dirigenza” e “alta dirigenza”, impongono di lottare contro sprechi ulteriori di risorse e di ricchezze di un Paese che la politica ha indebitato per tutto il XXI secolo.
Approdare alla rifondazione della Carta è dunque qualcosa di necessario e dovrà essere il frutto di maturo e lungimirante senso civico, in tutti i sensi. Realizzare una rivoluzione costituzionale pacifica è qualcosa che dovrà produrre grandi aspettative, in uno con la nascita di energie di lotta oggi inesistenti. Al fine di continuare sulle orme dell’attuale patto costituzionale migliorandolo e adeguandolo in tutto e, al tempo stesso, riuscendo a sconfiggere la dilagante marea di un malnato federalismo, espressione soprattutto di malafede civile e di incontenibili miasmi di localismo tribale e di marginalità culturale e civile che ha avuto la meglio per le profonde, ricorrenti e sempre più accentuate crisi economiche e sociali e per lo svuotamento di significato dei vecchi apparati ideologici e dei partiti, corrotti, che li rappresentavano. E per la disaffezione e le molteplici forme di proteste elettorali.