Ambiente e clima. Il nodo critico vedrà il ritorno degli USA nelle convention mondiali dell’ONU?

05 Gennaio 2021 Autore: Enea Franza

Risultati delle presidenziali americane e ambiente. Sugli sviluppi dell’ Incontro sul clima di fine anno, incombe la presenza di Biden con il ritorno degli USA nell’assise ONU.


Lo scorso sabato 12 dicembre, organizzato dall’ONU, dal Regno Unito e
dalla Francia, si è tenuto l’incontro sul clima che ha riunito i paesi più
ambiziosi in tema di riduzione dell’inquinamento ambientale.

Nella riunione, 75 paesi del mondo (con la significativa assenza degli USA,
per il rifiuto di Trump a partecipare) si sono dichiarati pronti ad una
azione climatica più decisa, anticipando alcune delle decisioni da
prendere in sede COP26, ovvero il round di Glasgow, che è stato rinviato ad ottobre 2021 a causa del trascinarsi delle vicende mondiali collegate
all’epidemia Covid19. In tale frangente, come c’era d’aspettarsi, sebbene l’Unione Europea e la Cina abbiano in qualche modo riproposto le loro credenziali climatiche, il summit non è riuscito a coinvolgere un numero di Paesi tale da permettere di limitare la crescita della temperatura media globale a 1,5 gradi.

A deludere è stata in particolare l’India che non ha, al di là di dichiarazioni
di principio, assunto alcun impegno formale. A brillare, invece, è stata la
dichiarazione, lanciata dal nuovo presidente americano, di un incontro
globale sul clima entro i primi 100 giorni di presidenza. Il neo Presidente
eletto ha sostenuto che sul clima, diversamente dal suo predecessore, ha
intenzione di essere presente, pesare ed influenzare le decisioni globali.


Già in campagna elettorale, Biden aveva promesso, oltre a rientrare
immediatamente nell’accordo di Parigi, di impegnare gli Stati
Uniti a raggiungere la neutralità climatica entro la metà del secolo: lo
stesso obiettivo dell’Unione Europea,
Il suo “Piano su clima ed energia” impegna quasi 4mila miliardi di dollari
di investimenti su energie pulite, nuove tecnologie e transizione
energetica. In estrema sintesi si prevede: la riqualificazione energetica
degli edifici (con la priorità assegnata a scuole, ospedali ed immobili pubblici); l’installazione di almeno 500.000 punti di ricarica per veicoli elettrici; il potenziamento dei trasporti pubblici e delle ferrovie; la creazione di un milione di nuovi posti di lavoro nell’industria Usa dell’auto, con particolare attenzione alla filiera dell’elettrico.

Va però osservato come il citato piano preveda che per la produzione energetica si faccia ricorso all’esteso uso di reattori nucleari avanzati e di combustibili fossili, gas e carbone, qualora gli impianti siano del tipo Carbon Capture and Storage (in breve CCS).
Considerati però i tanti dubbi che i sistemi per catturare le emissioni
di CO2 ancora lasciano sul tappeto, c’è da riflettere su e da ipotizzare che negli USA la lotta finalizzata alla riduzione del CO2 avverrà molto probabilmente per mezzo del potenziamento delle centrali nucleari, facendo ricorso alle più avanzate tecnologie costruttive che la ricerca ha messo a disposizione in questi anni dell’industria del nucleare in vista del traguardo della fusione fredda.