Negri migranti e neronegro di Cristo. Cosa scrive l’eremita Van Doorne

28 Maggio 2021 Autore: Domenico Cambareri

Dom Ugo Van Doorne rievoca la figura di Antonio Di Noto, detto “l’Etiope”

Nero... ma bello. Antonio di Noto detto l'Etiope - Van Doorne Ugo

Dell’eremita benedettino fiammingo dom Ugo Van Doorne abbiamo seguito nel corso degli anni quasi tutti i suoi spesso brevi ma illuminanti scritti. In quest’ultimo libriccino, NERO … MA BELLO, egli affronta sul piano allusivo e metaforico, ma pure con coincise e incisive espressioni, un tema che già con enfasi esplose al tempo della scoperta delle Americhe, con la schiavizzazione operata su larga scala e con gli etnocidi compiuti da popoli latini, l’ ispanico e il lusitano, le cui propaggini arrivano sino all’oggi delle sopravviventi tribù indie delle foreste. E che si trascinò e diffuse in altri continenti e negli arcipelaghi e isole sparsi nei grandi oceani.

Tema della schiavitù che poi, anche a pratiche normative e legali della schiavitù progressivamente abolite, si arricchì nell’età moderna e contemporanea di un particolare aspetto nato nell’ambito delle interpretazioni delle differenze razziali, delle diversissime caratteristiche dei popoli basate sulle tipologie fisiche e fisiognomiche e dell’habitat, sulle organizzazioni tribali e sessuali e alimentari e produttive, spesso ponendo una gerarchizzazione basata sulle semplicissime e semplicistiche affermazioni di superiorità e di inferiorità, poi definitivamente reinterpretate in chiave biologica e psicologica. Certo è che anche quest’aspetto, non esplicitamente biologico, ma socio-culturale e religioso, venne affermato con forza in ambito teologico cattolico, tanto da essere stata proposta l’idea che gli indios fossero una specie vivente da collocare fra gli uomini e gli animali, e altrettanto con forza in esso osteggiato.

In realtà, gli incontri / scontri fra componenti di etnie estremamente divaricate nella loro organizzazione socio-economica e dei ‘valori’ affettivi e amorosi e religiosi di base e di ciò che esaustivamente possiamo indicare come l’ ‘assonanza’ concretamente realizzata fra habitat e articolazione organizzativa e ideativa umana, intesa come immaginario collettivo (e, nelle espressioni elaborative del pensiero – quasi delle eccezioni, oltre le formulazioni mitico-poietiche – più profonde e elevate, come ‘imaginale‘), non poteva che scatenare fra gli esploratori occidentali pure senso di totale incomprensione e di ripugnante ripulsa e sgomento. Ancor peggio, fra una parte dei missionari. Panorami specifici e complessivi dunque che avrebbero ancor più rafforzato le classificazioni di tipo razzista nel corso del tempo.

Invece, nell’antichità, questi aspetti moderni e contemporanei erano stati molto sfumati e, laddove si erano manifestati, spesso erano stati superati entro tempi non lunghi. Un esempio di universale e obbligato riferimento è dato dalla storia dell’impero romano, dove il razzismo moderno risultò un qualcosa di completamente inesistente, o, sarebbe meglio dire, sarebbe risultato un qualcosa di completamente incomprensibile, nonostante la struttura economica si basasse largamente sullo sfruttamento della schiavitù (non razzista), non solo dei guerrieri e dei popoli vinti ma anche di responsabili di gravi colpe o di fallimento economico . Infatti, in tutti i vertici della struttura militare e della burocrazia, più o meno lentamente o velocemente, vi entrarono a far parte uomini dei popoli federati, gli ‘alleati’, e poi di quelli sottomessi e di quelli stanziati non solo lungo i limes dell’impero, senza distinzione di lingua o di razza. Tanto che vi furono anche reggitori di province e imperatori di diverse origini, sia celti (basti pensare il ‘brit’ parricida, fratricida e gran criminale Costantino) che iberici, del Vicino Oriente e del Nord Africa.

In verità, in queste comparazioni diacroniche, non dobbiamo di considerare il fatto che le popolazioni di ciò che chiamiamo antichità nel contesto geografico euroasiatico e dell’Africa mediterranea potevano trovarsi in condizioni di sviluppo materiale e sociale molto diversificato, ma giammai così estremo come con ciò che avvenne con le esplorazioni e scoperte geografiche a partire dal ‘400. La scoperta di popolazioni ‘etnologiche’ che vivevano allo stadio di una quasi primordialità, da quelle della pratica dell’antropofogia a quelle oceanine in cui il rapporto sessuale intrafamiliare era quasi una necessaria regola di vita a quello della Patagonia che viveva in un collasso terminale esistenziale e religioso alle parossistiche pratiche dell’orgiasmo sessuale sacro indiano alle pratiche degli eschimesi, c’era da vedere proprio un concentrato da fiera degli orrori e delle perversioni per una visione etnocentrica, cristiana e spesso sofferente di gravi complessi fobici, culturalmente non dissezionati e superati. Non diverso sarebbe stato l’esito del contrasto e dello scandalo, se il culto religioso prevalente fosse stato quello israelita o musulmano delle comunità urbane progredite e culturalmente sviluppate.

Nei nostri giorni, epoca che stiamo vivendo in cui, qui in Italia e in altre contrade europee fortemente colpite dalle ripetute crisi economiche, il problema lavorativo e dell’autosufficienza economica ha assunto proporzioni sociali e esistenziali drammatiche, la polarizzazione del diverso, dello straniero, dell’uomo di altro colore della pelle, del nero in particolare, rispetto alla popolazione indigena e delle componenti comunitarie e più prossime, è cresciuta a dismisura e ha assunto toni e tinte sicuramente riprovevoli sotto diversi aspetti.

In sintesi: un’acritica e semplicistica e rozza e spesso anche pericolosa posizione xenofila ha inteso e intende oggigiorno imporre un’accoglienza senza limiti e senza freni, per nulla preoccupandosi dell’aumento esponenziale dei nuovi poveri, della riduzione delle coperture previdenziali e assistenziali pubbliche, del cronico e periglioso crollo della natalità, e senza poter effettivamente garantire alle varie tipologie di sempre nuovi arrivati in condizioni di legalità o alle masse di clandestini minimali condizioni di controllo di polizia e sanitari e di vita lavorativa e di minima possibilità d’integrazione.

Condizioni di inserimento, queste ultime, da immagini da copertina a fini pubblicitari, fatte fruire a percentuali irrisorie per di più con pesanti esborsi pubblici, a causa dell’onerosità delle strutture burocraticamente e finanziariamente messe in piedi, e spesso poco efficienti, poco trasparenti, molto parassitarie. Condizioni che offrono ripetute scene D’altronde, in una condizione di così degenerato scollamento politico, istituzionale e socio-economico, in cui ogni posto dato a un arrivato extracomunitario – in particolare se clandestino – è visto e emotivamente vissuto dalle moltitudini di indigenti e dei loro figli come un vero furto e come una classificazione alla rovescia, ossia che chi è qui di casa, chi qui è nato, chi vive nella sua terra, il povero della porta accanto debba essere posposto, emarginato a pro dell’ideologia del più bieco e strumentale umanitarismo che impone di far saltare la fila a dei ‘privilegiati’ clandestini, a tutti costoro cosa mai si potrà rispondere in termini concreti e seri?

Questo quadro di dinamiche degenerative ha determinato una reazione xenofoba che si è diffusa parecchio, anche se in in modo difforme fra i diversi strati sociali. Essa è naturale che sia più presente fra i ceti meno abbienti e più bisognosi e fragili, in cui ancora più drammatica è la condizione di vita delle giovani generazioni e degli infanti. Anche in questi casi, in cui le esplosioni di esacerbato senso di sfruttamento e di emarginazione e della rabbia che le accompagna aumentano di frequenza, però, parlare in modo coretto di razzismo spesso ce ne corre. Questi atteggiamenti xenofobi costituiscono la risposta emotiva, angosciata all’azione degli xenofili e di chi li sostiene non poche volte per sporchi interessi che ovviamente non palesa e nasconde con ogni mezzo possibile.

La quasi inevitabile strumentalizzazione della xenofobia nasce obiettivamente come risposta imposta o altrimenti offerta nell’agone politico a chi si oppone alla sfrenata e scellerata xenofilia senza regole, che ne costituisce la reale causa prima. Peraltro, e in controtendenza con quanto qui rilevato, fra le masse, sul piano sociologico, già da decenni, si è assistito a una profonda ricezione, penetrazione, profonda permeabilizzazione della psiche collettiva da parte di cliché, modi di agire esteriori e quant’altro sia espressione di produzione di una rilevante uniformità di comportamenti acquisita tramite la sempre più variegata e raffinata azione dei media a livello europeo e mondiale. Molta di questa ‘roba’, imitata e acquisita, proveniva e proviene a ‘giro d’orizzonte’, quindi anche dai popoli da cui ci arriva pure l’immigrazione clandestina costituita anche da falsi profughi e da criminali comuni.

Questa constatazione e questo rilievo ci fanno capire quanto sia poco affidabile, gretto, pericoloso, istigatore di risposte, di reattività sempre e altrettanto più accentuate, l’eterogeneo movimento di chi vuole accogliere tutti, accogliere subito.

Fra i protagonisti dell’accogliere tutti e subito, figurano sin dal primo momento singoli missionari cristiani, cattolici non ultimi, se non proprio anche congregazioni missionarie. In particolare, la chiesa cattolica ha declinato sempre più verso questo pericoloso e non poco demagogico versante, conscia da un lato che la sua sopravvivenza è legata soprattutto al potere fare adepti nel terzo e nel quarto mondo. Conscia da un altro lato di doversi tradizionalmente attenere a sue fatue e erronee ma ‘di comodo’ interpretazioni del messaggio evangelico, metodo che ha costituito un potente corroborante plurisecolare per la sua diffusone non solo fra i ceti più umili. Da un altro lato ancora, obiettivamente, essa non avrebbe potuto e non potrebbe sottrarsi a un ufficiale impegno pastorale in favore degli immigrati regolari e perfino di quelli illegali, visto come ultimi fra gli ultimi, anche se poi, sceverando e passando al vaglio le cose non stanno proprio così.

Certo è che per i prelati cattolici, in tutta la loro lunga e articolata strutturazione gerarchica, papa in testa o per ultimo, è cosa difficile potere conciliare e armonizzare i loro interventi in favore dell’immigrazione clandestina non solo per le tantissime ombre che essa racchiude quanto anche per ciò che abbiamo sopra delineato in merito al precario contesto politico e socioeconomico e all’ininterrotta serie di esplosioni delle disuguaglianze interne in tutta Europa e in Italia in modo molto particolare.

Per di più, con tanto diffuso malessere, anche a molte persone credenti risulta letteralmente indigesta la spropositata campagna degli attivisti cattolici con tonsura, giacché, come la storia fino ai nostri giorni insegna, la chiesa docente si sente sovraordinata ai comuni mortali. Per cui, i fedeli hanno, avrebbero da adeguarsi alla morale delle prediche, alla lectio della “buona novella” evangelica dispensata, mentre le strutture temporali, e perciò vaticane, episcopali, organizzative e economiche ne sono completamente esentate di sentimento e di ‘diritto’.

***

A differenza del quadro ultimo testé delineato, riteniamo che un intervento di un componente del clero che, per sua libera scelta e vocazione, abbia condotto tutta una vita di solitudine in completa morigeratezza materiale, senza però mai smettere dal seguire, con grande distacco passionale e di coinvolgimento ideologico, gli avvenimenti del ‘mondo profano’, abbia titolo e motivo di potere esprimere il proprio pensiero, raccogliendo particolari attenzione e rispetto, al di là della condivisione delle sue parole.


Dom Ugo Van Doorne nel romitaggio di Testa dell’Acqua, Noto (SR). Anno 1988

Dopo questa lunga e speriamo non inutile premessa, veniamo all’ultimo scritto di dom Ugo Van Doorne, che in parte si colloca dritto dritto entro questo contesto, volando però al di sopra delle spesso vane e chiassose polemiche, di cui focalizza il rischio di una polarizzazione estrema della xenofobia non ideologica, non culturale, nata nel fertile terreno della frustrazione per la mancanza d lavoro e per l’incapienza economica. Questo, per le vessazioni patite e le disuguaglianze tuttora subite pure davanti agli ultimi, diventando molte volte davvero essi, vecchi e nuovi indigenti del nostro popolo e dei nostri popoli europei, gli ultimi fra ultimi ai quali, nelle loro Patrie, si negano ogni possibilità e ogni prospettiva.

Il ‘pretesto’ rappresentato dalla cronaca politica e dalla cronaca nera, oltre che da quella sociale e da quella sanitaria, soprattutto in tempo di epidemia di Covid 19 di questi anni, per l’eremita Van Doorne è utilizzato in maniera ben positiva, in funzione di una finalità diversa. Ossia, scrivere una lodevole e breve rievocazione di un personaggio della fede, della devozione e del romitaggio di alcuni secoli addietro, il quale, catturato da giovane nella natia Barce, in Libia e condotto a vivere a Noto in qualità di schiavo e alfine affrancato, si vocò totalmente a Dio. Questo personaggio storico, un mediterraneo della sponda libica, è stato riscoperto attraverso una missiva giunta dal Brasile, dove s’attesta il culto ancora attivo presso una chiesa rivolto a lui; e attraverso le ricerche condotte da mons. Guastella, grazie ai suoi due libri pubblicati sul beato che ne raccolgono i risultati, propriamente non fu un negro né un etiope (popolazione di pelle scura ma europoide) ma in tal fatta è stato emblematicamente presentato e tramandato nel culto popolare.

L’opportunità fornita a dom Ugo Van Doorne da questo beato in odor di piena santità è così, a livello, simbolico, immediata per utilizzarla come spunto di partenza legato alla più amara attualità.

L’autore chiude la sua stringata nota introduttiva, riferendosi al beato Antonino di Noto detto l’Etiope, con queste parole: << “Nero … ma bello”. “Dalle stalle alle stelle” … è davvero il caso di dire. Gli intralci – ostacoli diventano inviti, appelli, stimoli. “Dunc in altum”. Le tenebre diventano luce, il lutto si cambia in gioia. Nero non è sempre “nero”. Bello non è sempre “bello”. Chi vuol capire capisca. >>

Dom Ugo Van Doorne nel romitaggio di Testa dell’Acqua, Noto (SR). Anno 1988

Dal libriccino, stralciamo questo brano: <<Si racconta che un giorno , mentre era al lavoro con altri compagni, Antonio vide una mula imbizzarrita e gente furibonda che la rincorreva bestemmiando. Lui li ammobì subito: “Non maledite la mula e non offendete il Signore!” Poi eivoltosi alla mula gridò: “Animaluccio fermati,nel nome del Signore!”. Al che la mula si fermò e s mise in ginocchio. allora accarezzandola con dolcezza le disse “Creatura di io, perchénon vuoi servire i tuoi padroni?” e, preso il capestro, consegnò l’animale aiproprietari. Una scena meravigliosa, piena di tenerezza e di pace. Una visione di armonia tra Dio, l’uomo, l’animale, la natura. Una scena da Paradiso Terrestre, di pace messianica. Una teologia sul’uomo e sulla creazione in atto. L’uomo moderno, quanto distrugge e rovina nella sua prepotenza prima di poter piegare la natura al suo volere, ai suoi piani e capricci!”>>. La successiva ermeneutica offerta da dom Ugo è prettamente cristiana e presenta un’esplicitazione direttamente legata all’impostazione testamentaria, in cui è comunque Dio e non l’uomo al centro del mondo creato.

Il passo relativo al beato Antonio e alla mula, rievocato da dom Ugo Van Doorne, catapulta fuori dall’oblio della prassi devozionale e della memoria dei fedeli e degli storici locali della fede un modello paradigmatico valido oltre le barriere delle culture e dei popoli e, accaduto o meno che sia, si confà allo stereotipo agiografico sulle virtù di beati, eroi e santi, anche se più precisamente questo nucleo tematico proprio alle più diverse tradizioni religiose sparse nel mondo non è attribuito a gran parte o a tutti gli uomni e donne in odor di santità, ma proprio e soltanto a coloro i quali hanno manifestato sia improvvise sia soprattutto estese, organiche e codificate forme di attenzione e comprensone e di amore verso la vita degli esseri viventi di altre specie e verso le molteplici espessioni della natura naturata coglibili dal cuore e dalla ragione degli uomini che cercano di liberarsi dalle tenebre.

Esso è degno e denso di significato, non solo simbolico e religioso, quanto pure e soprattutto antroposofico e al tempo stesso mistico e metafisico, perché condensa il manifestarsi di diversi livelli ontologici che appartengono simultaneamente e ugualmente al processo sempre in atto di ciò che chiamiamo creazione e di ciò che ne costituisce la nascosta scaturagine, che generalmente è chiamato Dio. Pertanto, la codificata tradizione mesopotamica dell’Eden originario, ripresa dagli scritti giudaici, e propria alla tradizione indoiranica del Paradesha, adombra molti ma molti più significati rispetto a quelli letterali tramandati e diffusi per comunicarli come messaggio massimamente esemplificato e semplicistico alle masse dei fedeli viventi entro un ridottissimo o quasi inesistente panorama conoscitivo e pressocché chiusi alla comprensione delle vie dalla ricerca razonale e del perfezionamento spirituale.

Val di Noto e le riarse e brulle colline iblee sono stati nel corso dei secoli terra di presenza eremitica, anche se non numerosa. Presenza eremitica che ha lasciato tracce significative (pp. 47 – 51), a partire da sant’Ilarione (IV secolo d.C.), di cui l’ultima e significativa presenza è proprio quella del benedettino fiammingo Ugo Van Doorne, giunto dal Sinai dopo la guerra arabo-sionista del 1967. L’eremita più famoso, originato da un radicale pentimento, fu il beato Corrado Confalonieri, diventato poi il santo protettore della città netina.

Oramai, da circa un ventennio, per stringenti motivi di salute, dom Ugo Van Doorne, dopo avere lasciato pure la sua seconda grotta degli Iblei sopra Avola antica, dopo la prima e originaria di Testa dell’Acqua, è ospitato e assistito dalle monache benedettine del monastero dell’antichissima città sicula di Modica.

Nel libriccino, oltre a un brano di mons. Guastella, è riprodotta un’omelia del vescovo di Noto, Nicolosi.

Editore: Libreria Editrice Urso- Avola (SR)

Titolo: Nero … ma bello. Anonio Di Noto, detto “l’Etiope”

Autore: Fra Ugo Van Doorne

ISBN 9788869543036 – s.i.p.

L’Europa della Libertà

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