Ambiente e trasporti: per una svolta. Domenico Cambareri: «Si può partire da subito a promuovere l’incentivazione ecoambientale»

Mercoledì 4 Settembre 2002       Sei qui: Parvapolis >> Economia  

 

 

 

 

Rio e da Montego Bay (in relazione al nuovo diritto internazionale dei mari e degli oceani e allo sfruttamento delle risorse sottomarine) a Johannesburg. L’ultimo vertice mondiale, pur nelle mille controversie e nelle difficoltà enormi di procedere in avanti, ha conseguito degli obiettivi minimali su cui si può essere realisticamente soddisfatti. Certo è che l’idea dello “sviluppo sostenibile” ha ancora molta strada davanti, prima che possa portare a radicali svolte a livello planetario. Non si tratta di considerare solo i punti di vista e le opposizioni statunitensi, che andrebbero convinti e vinte definitivamente, quanto anche di potere arrivare ad un approccio diverso rispetto alle industrie dei paesi del terzo e del quarto mondo, per le quali non può essere applicata una franchigia totale, anche in presenza di impianti e macchine vetusti e ad alto tasso di inquinamento. Più da vicino, gli interessi di salute e di difesa ambientale che ci coinvolgono direttamente nel quadro dell’Unione Europea e del Mediterraneo devono mirare, oltre a preservare e ristabilire condizioni di maggiore equilibrio nel Mediterraneo, soprattutto nel quadro degli accordi esistenti in materia fra le nazioni rivierasche, alla modifica profonda dell’utilizzazione dei mezzi di trasporto a livello nazionale e internazionale per le aree geograficamente contigue al territorio e ai mari italiani. In effetti, fra le enunciazioni programmatiche più rilevanti a livello strutturale della coalizione al governo, figura l’attivazione di un programma pluriennale e di vaste proporzioni atto a sfruttare in maggiore misura le vie di comunicazione, e quindi di trasporto, marittime, quanto anche, in via complementare e geograficamente ridotta, sfruttare una moderna rete di canalizzazione nelle aree padane. A mio parere, il rispetto e la difesa dell’ambiente devono costituire ormai un requisito generale “pre-programmatico” nella metodologia politico-legislativa e operativa per le organizzazioni internazionali e per i governi e i parlamenti dei Paesi dell’Unione Europea. Ciò significa, di conseguenza, che è necessario riuscire ad investire su nuove direttrici di sviluppo e con una gamma di “risposte attive”, cioè realizzando input preordinati e finalizzati a sostenere e accompagnare le riforme strutturali dell’economia dello sviluppo sostenibile. In questo senso, la riduzione dell’impatto ambientale prodotto dai trasporti su strada può essere attuata con la realizzazione di strumenti legislativi a livello comunitario e nazionale che promuovono incentivi ecoambientali per l’ utilizzazione del trasporto via mare o su rotaia, uniti a incentivi di ammortamento dei differenziali concorrenziali per i trasporti pesanti su strada a raggio inter-regionale e internazionale che scelgono l’imbarco su navi e su treni. Qui è bene soffermarsi un attimo per fare un’amara constatazione, lasciando le riflessioni e i giudizi storici a ciascuno di noi. La nostra Nazione importa più dei tre quarti delle materie prime via mare, ma gran parte del commercio con l’Europa settentrionale avviene via autostrada. Un infelice destino dettato da scelte strategiche parzialmente condivisibili per gli anni sessanta, rimaste purtroppo a base dell’ulteriore sviluppo infrastrutturale dei successivi decenni. Una siffatta scelta di promozione di incentivi ecoambientali e di correlativi ammortamenti dei differenziali concorrenziali rispetto all’utilizzo delle autostrade, per quanto renderebbe più costoso globalmente l’onere del trasporto per parecchi anni, renderebbe allo stesso modo “ecocompatibile” la scelta. Peraltro, essa innescherebbe tutta una serie di ricadute produttive e di accrescimento dei posti di lavoro che ben potrebbero giustificare il parziale sovrapprezzo, se a ciò non bastasse l’idea stessa dello sviluppo sostenibile. È anche da dire che soltanto uno studio specialistico potrebbe indicare i limiti di crescita del costo del trasporto, che, ironia della sorte, potrebbe anche diminuire in una proiezione a lungo termine, ribaltando così le dinamiche economiche correlative. Non dimentichiamo infatti che una grande nave può trasportare decine di autotreni. Un siffatto modello di base sarebbe in grado di arrecare benefici oggi difficilmente stimabili per l’Italia e per le singole regioni. Si può con tranquillità dire comunque che le regioni centrali, e quindi anche il Lazio, e così le regioni meridionali e insulari verrebbero a smaltire percentuali di traffico su strada non indifferenti, traffico su strada convertito al nuovo trasporto marittimo “alternativo” per e da i porti del nord Italia, della Francia e della Spagna. Le vie marittime dell’asse jonico-adriatico, costa balcanica compresa, e quello su rotaie attraverso i valichi alpini contribuirebbero in maniera complessiva a riequilibrare l’utilizzazione della rete autostradale e di quella stradale, quanto di abbassare i costi manutentivi e gli indici di inquinamento addizionale (combustibile, asfalto, pneumatici). Si conseguirebbe così al contempo l’elevazione del grado di sicurezza e di fluidità del traffico su strada, si aumenterebbero le attività lavorative, si darebbe rinnovato impulso alle attività cantieristiche nazionali ed euromediterranee. Infatti, una scelta di questa natura, dilatata secondo indici di crescita enormemente superiori rispetto alle odierne condizioni dei noli e delle disponibilità delle flotte degli armatori e dei treni merci, incrementerebbe le costruzioni di navi, quindi la cantieristica e tutto quel grande indotto che si costituisce attorno alla vita delle attività portuali e dei grandi scali ferroviari. Se si considera tuttavia che si può palesare una crescita del rischio del disastro marino, ciò è un male non tanto minore quanto dilatato nell’immaginario collettivo, in quanto queste navi non trasportano grandi quantità greggio, ma mezzi. Inoltre perché, in un prossimo futuro, un’auspicabile rivoluzione normativa e al tempo stesso cantieristica potrebbe imporre l’obbligo di imbarcare permanentemente in tutte le navi in apposite cisterne, con quantità calcolate su comparazioni percentuali rispetto ai prodotti trasportati (fosse anche solo il greggio, come per le petroliere) una certa quantità di solventi anti-inquinanti. Un’idea simile non può che andare incontro al progetto di sviluppo sostenibile, imponendo il sacrificio di una contenuta percentuale del profitto in favore di più idonee e immediate contromisure davanti al rischio dei disastri marini. Le scelte e le decisioni politiche nel merito di quanto qui illustrato saranno nel prossimo futuro prova della lungimiranza dell’esecutivo e della pubblica amministrazione, nonchè del parlamento e delle associazione e dei centri promotori dell’ambientalismo. Sì italiani, ma anche europei. Anche se mi preme sottolineare che una volta tanto potremmo eserere i primi o fra i primi a realizzare delle innovazioni “preprogrammatiche” e strutturali entro cui condurre la trasformazione delle nostre realtà socio-economiche verso livelli di impatto contro l’ambiente sempre più contenuti.

Domenico Cambareri

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