Da Bruxelles al Futuro: Bush, l’America, la Nato, l’Europa.

Domenico Cambareri

24 Febbraio 2005

(fonte: Parvapolis)

Come ha scritto Franco Venturini sul Corriere della Sera, a Bruxelles abbiamo avuto solo i “successi dell’ambiguità”: essi hanno garantito la riuscita mediatica del summit NATO e del “riavvicinamento” di Bush con Chirac e Schroeder. In effetti, mentre nei vicini palazzi dell’Unione Europea continua a consumarsi la proditoria azione di emarginazione della lingua italiana, il grande incontro dei capi di Stato e di governo della NATO ha consentito più che un riavvicinamento – salvo il circoscritto e preciso caso delle elezioni irachene – tra la politica di Bush e quella dei maggiori Paesi dell’Unione Europea, una maggiore coscienza delle diversità di approcci e delle distanze che le dividono. In realtà, per quanto gli Stati dell’Unione Europea abbiano cercato di parlare il più possibile un medesimo linguaggio con gli statunitensi sui temi generalissimi della politica delle alleanze interatlantiche e dell’assoluta priorità di queste alleanze su tutto il resto, e per quanto gli USA abbiano fatto buon viso all’azione moderatrice della troika europea (Regno Unito, Francia, Germania) su Teheran a proposito delle mire nucleari iraniane, e Chirac abbia speso della parole atte a dimostrare una certa disponibilità a rinviare per non lunga durata la caduta dell’embargo europeo dei prodotti militari verso la Cina per compiacere le esigenze della Casa Bianca, il quadro è tutt’altro che roseo.
Vi è da tenere ben presente una premessa a tutto questo e prima di ogni possibile ulteriore interpretazione degli avvenimenti internazionali. L’Europa, l’Unione Europea rimarrà ancora per tempo un nano politico, anche qualora entro un decennio venisse a darsi una prima struttura di politica estera, di difesa e di ricerca comune. Essa rimarrà ancor di più un nano politico in termini di capacità, di proiezione, di sviluppo e di determinazione strategica di fronte al già enorme e sempre più accentuato gap tecnologico e militare. Di questo sono ben coscienti gli agguerriti esponenti della potente ala neoconservatrice americana, che ha fatto completamente sua quella che era sempre stata la politica di diretto interventismo del partito democratico. Mal per i nostri liberali e democratici, e soprattutto per i nostri libertini-libertari. Questa potente fazione politica, economica e culturale americana si perita poco o nulla di considerare il ruolo europeo a livello planetario, poiché questa potenza europea meramente economica e di mercato è una sommatoria di Stati di ben contenuto ruolo nella capacità di intervento strategico in scacchieri di rilevanza mondiale e di neutralizzazione di minacce sofisticate. Inoltre, male maggiore a questi impenitenti esaltatori delle “virtù” della democrazia a stelle e strisce sempre e comunque, e a noi tutti, proviene dal fatto che la politica del presidente rieletto e dei club che gli sono vicino è sempre più apertamente condizionata da posizioni di fondamentalismo e di esclusivismo protestante, cioè confessionale, e di teologia politica provvidenzialistica e messianica (o, se si vuole invertire il rapporto ma non annullare la realtà del fenomeno, di teoria e prassi politiche teologizzanti e messianizzanti). Su tutto questo, è da cominciare a porsi la domanda su quale ruolo di moderazione e di preservazione dell’identità etico-religiosa sovraconfessionale della società, della politica e delle istituzioni degli USA sapranno svolgere il mondo della cultura (plurirazziale e “multiculturale” quanto non indenne da visioni etnocentriche) e la Massoneria. La guerra ai regimi ingiusti e antidemocratici, si colloca entro un’ottica ideologico-messianica totalmente fuorviante, e non sappiamo se e quando il presidente americano, acceso “predicatore” politico-religioso, sarà in grado di praticare una real politik bilanciata che sa usare le arti della diplomazia per convincere e per scoraggiare.
La “pax americana”, per quanto alla luce di un obiettivo successo conseguito con la partecipazione di milioni di iracheni alle prime libere elezioni, e però entro una politica di pura proiezione di potenza e non di individuazione, inseguimento e distruzione degli obiettivi preposti (quelli costituiti dai terroristi islamici, nemici dichiarati degli americani, dal momento dell’attacco e della distruzione delle Torri gemelle), si muove tra non poche difficoltà.
1. Essa non è riuscita a risolvere il problema della Corea del Nord, che ha conseguito definitivamente una capacità atomica oltre che missilistica.
2. Dopo aver perorato l’ingresso nel WTO della Cina (mentre la Russia ne rimane ancora esclusa), oggi gli americani vogliono che però il “libero commercio” non sia aperto a Pechino anche per la tecnologia militare, perché altererebbe i rapporti di già precario equilibrio con Taiwan (duplice contraddizione politica e storica americana, dai tempi di Kissinger e della “tripolarizzazione” nucleare e politica. USA, URSS e Cina; non minore odierna contraddizione ideologica e industriale europea, giacché Francia, Regno Unito e Italia mettono su di vassoio Taiwan come regalo per Pechino, e poiché: a. se è da venir meno l’embargo, gli USA possono fare la parte del leone in pochi anni; b. l’apparato industriale cinese sarà in grado in qualche lustro di “metabolizzare” e di sapere riprodurre in via autonoma quanto prodotto su licenza e progettare ex novo e concorrere nei mercati internazionali per l’esportazione di tecnologie avanzate acquisite dagli europei).
3. Il problema iraniano fa da contrappeso, come in precedenza quello iracheno e ancora in precedenza e in piccolo, quelli egiziano e libico, al problema di fondo, su cui gli USA, forti della loro rafforzata egemonia strategica esclusiva, continano a tenere fuori tutti, europei compresi, ossia quello del disarmo nucleare di uno Stato “illegalmente” nucleare da decenni: Israele. Non ci saranno mai condizioni di pace definitiva nel Vicino e Medio Oriente sino a che non si raggiungeranno due obiettivi: la nascita dello Stato palestinese e la “denuclearizzazione” israeliana sotto egida e verifica congiunta ONU e NATO. Ciò non è un sogno e sarà forse concretizzabile in un futuro non lontano proprio per il fatto di avere un unico interlocutore effettivamente decisivo per tutti: gli Stati Uniti. Ma per fare questo, Washington e quindi oggi Bush, deve essere in grado di confermare l’ ombrello nucleare a protezione dello Stato israeliano, di denunciare le clausole segrete dei trattati di alleanza militare con Tel Aviv, di rassicurare tutti gli Stati della regione di essere per loro partner, amico ed eventuale alleato da cui nulla hanno da temere. E dai quali anche gli USA nulla hanno da temere, nel ridisegnare la strategia planetari e nel moderare eventuali nuove spropositate mire economiche da parte dei potenti del liberismo e del libero commercio USA, che spesso, come insegna la storia a partire dalla libertà dei commerci inglesi, è “libertà” e “commercio” imposti.
Già da almeno due decenni Fernand Braudel aveva antevisto come gli interessi statunitensi sarebbero tornati ad essere attratti in maniera preponderante nell’immensa area del Pacifico (e dell’Oceano Indiano). Oggi siamo a poter dire che questa realtà si delinea al nostro orizzonte. I colossi giapponese, cinese, indiano sono quelli che prima della metà del secolo decideranno con gli USA le sorti del mondo. La Russia farà ancora parte di questo club, ma dovrà uscire con grandi sacrifici dalle mille negative eredità del post-sovietismo (e egemonismo etnico e territoriale). L’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea potrebbe portare a insperati sviluppi, ogni poco credibili, quali quelli di una reciproca attrazione tra Russia e Unione Europea, cosa su cui io spero. È quindi già da adesso interesse diretto dell’Europa accelerare il processo di rafforzamento identitario e di promuovere grossi sforzi per elevare e non abbassare il livello della preparazione qualitativa degli alunni (facendo proprio l’abbandonato modello italiano, per molti aspetti il migliore, anche se datato) e di ridare ruolo e importanza ai ceti intellettuali. Segni che sarebbero tangibile dimostrazione dell’affrancamento definitivo dall’ideologismo marxista e che consentirebbero di parlare di diffusa coscienza europea nelle giovani generazioni. Con ciò, va rilanciata anche una politica in favore delle nascite, della famiglia, del notevole potenziamento degli strumenti militari e dei grandi investimenti nella tecnologia avanzata. In tutto questo, l’Italia quale rango occupa e quale rango vuole occupare? Quali decisioni vuole e vorrà prendere? Berlusconi e Prodi dovrebbero rispondere conPercorso: h2.titologiuntamente.

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