Sciopero generale e fallimento del fronte antiriformista

Sciopero generale e fallimento del fronte antiriformista: il significato politico dell’arrembaggio contro l’articolo 18. Il naufragio dell’Ulivo

18 Aprile 2002

Domenico Cambareri

(fonte: Parvapolis)

 

Non vi è dubbio a mio giudizio che lo sciopero generale del 16 aprile abbia segnato un indesiderato quanto ben paventato arretramento delle condizioni di “agibilità dialettica” e di progettualità politica della sinistra. Questo arretramento presenta tutte le caratteristiche di una deriva demagogica che purtroppo anche le forze centriste dello schieramento e Rutelli non disdegnano di cavalcare, visto che in senso strettamente politico continuano ad essere subalterni da un lato ai DS e dall’altro alla incisiva politica riformista del governo e del Polo. Privi di ossigeno, si disperano in inconsulte gesticolazioni epilettoidi. Esso si aggiunge a quelli non meno gravi e non meno vistosi dell’alleanza per una “mutua intesa” con quanti costituiscono il “partito dei giudici” e con quanti asservono a logiche antinazionali e di bassa lotta politica gli interessi economici e industriali, come è stato nel recente caso della tentata imposizione del progetto dell’aereo da trasporto militare A-400, con cui avremmo regalato alcune migliaia di miliardi per 16 aerei di cui non avremo alcun bisogno fra venti anni.
Eppure, la neonata formazione della Margherita avrebbe dovuto portare a determinare scelte di metodo e di decisioni politiche definitivamente più maturi e di “non ritorno”, sul tipo delle maggiori organizzazioni politiche dei Paesi dell’Unione Europea, presso le quali la tentazione di appoggiare o di utilizzare il giuoco delle rivendicazioni sindacali, o pretese tali, non si è radicato, ad eccezione delle organizzazioni di estrema sinistra di tradizione filosovietica. L’arretramento complessivo del quadro politico dell’Ulivo è dovuto anche al fatto che tutti i suoi esponenti, vecchi e nuovi, non hanno mai fatto tesoro degli errori di lunghi decenni, errori che sono costati, costano e continueranno a costare ad almeno quattro generazioni di italiani – per quelle loro componenti non facenti parte delle “giungle selvagge” e delle coorti delle corporazioni rosse metalmeccaniche e affini – costi enormi. Decenni, con le parole di un illustre storico antifascista e di estrazione socialista ma non marxista, Armando Saitta, oggi comodamente dimenticate, caratterizzate da “una programmazione massimalistica di riforme non aderente alle possibilità finanziarie e alle condizioni del paese”. Per quanto le manovre di “rientro” siano state avviate, con sacrifici terribili già dieci anni addietro, con costi economici e sociali enormi, non è da dimenticare e anzi da ripetere sempre, senza tema di stancare, che i duemilioni e cinquecentomila miliardi di debito in lire saranno sanati in un arco di tempo superiore al cinquantennio e prossimo ai settantacinque anni e con un presupposto unico: corso finanziario virtuoso “perpetuo”, con proibizione di ricorrere a qualsiasi forma, anche contenuta e discreta, di indebitamento ulteriore.
Purtroppo, le condizioni per la tanto auspicata nascita della Seconda Repubblica ancora non ci sono, giacché prevale in molte manifestazioni e in molte idee che vediamo in circolazione, per non parlare degli uomini, anche all’interno del Polo delle Libertà, trasformismo e continuismo. Il fatto più grave è constatare oggi che gran parte di questo ceto politico non solo non ha capito gli errori, i lunghi disastrosi errori di decenni, ma non ne ha minimamente interiorizzato sul piano eticopolitico il senso di responsabilità e di colpa. O, per essere, più schietti, di non avere capito la dissannetezza delle operazioni parapolitiche che hanno portato l’Italia ad essere ancora oggi l’unico Paese anomalo dell’Unione Europea.
Solo da pochi anni, in maniera impacciata, timida, timorosa, anche da parte degli esponenti del centrodestra oggi al governo, si è tentato di porre limite e freno alle invasioni della soverchiante sopraffazione di campo dei sindacati, contro cui, con pochi altri in maniera concreta, mi sono sempre pronunciato. Ricordo che in questo, come monito, sono solo pochissimi anni che la concertazione dei Soviet ha perso la presidenza dell’IMPS. Ma per quanto ancora, questo aggregato, che di cointeressenze ne ha tante e che purtroppo ha superato indenne la crisi dei partiti dei primi anni 90, dovrà presiedere, dirigere, condizionare, determinare le scelte politiche dei governo e il futuro della Nazione?

Domenico Cambareri

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