INFRASTRUTTURE: comunicazioni e mobilità, quali strategie

 

 

 

CARLO SGANDURRA 

(Fonte: PROGETTI SPECIALI – “Mobilità” – 1-2005)

« Agenzia per la Mobilità » 

 

 

1.   Nelle società contemporanee la mobilità è un bisogno prioritario, che oltretutto cresce in modo esponenziale. Nemmeno la “rivoluzione” insita nell’uso generalizzato delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione può contenere questa esigenza. Per esempio: l’eventuale riduzione dei trasferimenti di persone casa-lavoro determinata dal telelevoro è, e sarà, più che compensata dallo straordinario aumento degli spostamenti di merci conseguente ad una globalizzazione economica che ha, come elementi caratterizzanti, le delocalizzazioni produttive e l’implementazione di capillari reti distributive.
Il termine “mobilità” viene impiegato nella sua accezione essenziale: vale a dire, nel senso di “possibilità di efficiente spostamento delle persone o delle cose sul territorio”. Così sintetizzato, il concetto è suscettibile di ricomprendere in sé altre nozioni oggi assai diffuse nei dibattiti politico-economici, per esempio:
· la cosiddetta “intermodalità”, giacché tutti i « modi » e « sistemi » di trasporto esistenti, combinati reciprocamente, contribuiscono a realizzare l’obiettivo finale della mobilità;
· la “safety” e la “security”, giacché il primo connotato della mobilità sta nell’essere un sistema complesso di spostamenti efficaci e indefinitamente riproducibili per il futuro (il che significa incolumità delle persone o cose in movimento, nonché salvaguardia del contesto ambientale nel quale avviene il movimento).
 
2.   I soggetti economici – famiglie e imprese – esprimono quindi una domanda di mobilità che è fortissima, ed anzi in continuo aumento. Per fare fronte al problema, è necessario che a livello istituzionale si adotti davvero una “prospettiva di sistema”. Occorre un nuovo modello di governance che ponga al centro dell’azione proprio la mobilità.
Si vuole qui ulteriormente richiamare l’attenzione sul nesso che è stato asserito tra la “mobilità” e i concetti di efficacia ed efficienza. “Mobilità” non è soltanto il fatto fisico dello spostamento: è lo spostamento ottimale.
Tempi di percorrenza dilatati a causa del traffico stradale; lunghi stazionamenti dei convogli merci negli scali ferroviari a causa della congestione delle linee; ma anche i furti del carico, eccessivamente frequenti in talune aree: sono tutte criticità che compromettono – o addirittura impediscono – l’effettuazione dello spostamento, e dunque pregiudicano la mobilità.
In definitiva si pensa alla mobilità come a un sistema complesso, risultante da una sequenza, e da una razionalizzazione, di più spostamenti accettabilmente sicuri e prevedibili nel loro svolgimento. Appare quindi evidente la strettissima connessione con l’idea di “qualità”.
 
3.   La mobilità si ottiene grazie alle infrastrutture (stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali). Ma questo non basta: l’infrastruttura di trasporto non è, di per sé, sufficiente ad assicurare la funzionalità degli spostamenti.
Perché ciò avvenga, è decisivo che criteri adeguati orientino tutti i momenti della vita delle infrastrutture, ossia:
a)  la loro pianificazione;
b)  la loro progettazione-esecuzione;
c)  la loro gestione.
In questa sede tali termini non saranno sempre usati nel loro rigoroso significato tecnico.
 
3a.  Per « pianificazione » si intende la scelta “strategica” della costruzione di assi di collegamento (stradali, ferroviari ecc.) tra più località, scelta che deve basarsi su una complessiva analisi del contesto economico-sociale di riferimento.
Solo studi approfonditi possono indicare dove si concentrano i maggiori bisogni di mobilità e, pertanto, quali sono le priorità infrastrutturali. Inoltre, nella pianificazione è assolutamente fondamentale l’approccio globale e ragionato ai problemi di mobilità: occorre insistere su una logica di sistema, che tenga conto di sinergie e complementarietà tra tutti i possibili modi di trasporto.
L’enorme difficoltà dell’operazione dipende dalla necessità di valutare un quadro economico potenziale, oltre che attuale. L’infrastruttura è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della mobilità, dal momento che servono anche, e in primo luogo, i mezzi di trasporto. Così, la decisione di costruire porti non può (non dovrebbe) essere separata da considerazioni e stime sulla consistenza delle flotte commerciali: quante navi il sistema trasportistico ha a disposizione, e quante ne potrà armare per i prossimi anni? Per il pianificatore non esiste certezza, giacché dipende dal livello di investimenti effettuati in quell’ambito. L’imprenditore privato ha, al riguardo, due fondamentali libertà: quella di scegliere il modo in cui investire (cioè il tipo di investimento da effettuare) e quella di decidere il momento in cui farlo (cioè il tempo dell’investimento). Sono libertà assolutamente imprescindibili, se l’espressione “economia di mercato” deve ancora conservare un senso. Ma è altresì chiaro che tali libertà potrebbero “far saltare” qualunque piano, anche il più accurato e attento.
Un’altra rilevante difficoltà sta nel fatto che il sistema da pianificare è dinamico e instabile. La stessa realizzazione infrastrutturale non sarà mai “neutra”, ma avrà ripercussioni che alterano, magari profondamente, le caratteristiche di mobilità di tutto il sistema: una corretta pianificazione deve tenerne conto. Ancora una volta un esempio può  meglio illustrare il concetto. Preesistendo un asse (in ipotesi, stradale) che collega A e D passando attraverso B e C, viene costruita una nuova linea ferroviaria tra B e C. L’effetto positivo indotto sull’economia delle due aree “B” e “C”, in termini di intensificazione degli scambi commerciali, aumento delle opportunità di business e attrazione di insediamenti produttivi dalla regione circostante, è sicuro anche se di problematica quantificazione. È altrettanto sicura, quale diretta conseguenza di questo sviluppo economico, una maggiore domanda di mobilità (ossia una crescita dei flussi) tra “A” e “B”, come pure tra “C” e “D”. Se già la strada era in condizioni di traffico prossime alla saturazione, si può verificare (e, di fatto, si verifica) un totale collasso, con pesanti rallentamenti e forte scadimento della qualità degli spostamenti tra “A” e “D”. Paradossalmente, dunque, un miglioramento (parziale) delle infrastrutture ha prodotto un peggioramento (complessivo) della mobilità.
Le considerazioni che precedono non intendono esprimere sfiducia nei confronti della pianificazione in sé, che anzi appare indispensabile per il governo delle società complesse. Tanto più che le possibilità di indagini statistiche e i modelli econometrici oggi disponibili possono, senz’altro, aumentare l’attendibilità degli assunti che stanno alla base della pianificazione, o almeno connotare quest’ultima con un sufficiente livello di ragionevolezza. Si vuole, invece, affermare l’esigenza di adottare una prospettiva che non soltanto consideri la complessità delle tematiche in gioco e le interrelazioni tra i diversi fattori, ma che, proprio grazie all’adozione di una logica di sistema come criterio-guida, non perda mai di vista il vero obiettivo: una maggiore/migliore mobilità per il sistema stesso.
 
3b.  La « progettazione-esecuzione » attiene alle caratteristiche materiali della singola infrastruttura. Un catalogo generale è naturalmente impossibile, date le intrinseche differenze tra un’infrastruttura e l’altra (strade, porti, aeroporti ecc.). Tuttavia è indubbio che proprio da queste “caratteristiche materiali” dipende, in buona parte, la fruibilità dell’infrastruttura da parte della collettività, ossia la possibilità di spostarsi in maniera soddisfacente. Detto altrimenti, anche le caratteristiche infrastrutturali contribuiscono a definire la mobilità.
Per esempio, in riferimento alla strada, sono immaginabili miriadi di scelte “progettuali-esecutive” che finiscono per influenzare la consistenza e la tipologia dei flussi di traffico: quante corsie costruire, realizzare o meno delle aree di sosta per mezzi pesanti, privilegiare le intersezioni a raso ovvero quelle con sovrappassi e sottopassi, e così via.
 
3c.  Infine, anche la « gestione » dell’infrastruttura è fondamentale per la mobilità.
Mentre i precedenti momenti (pianificazione e progettazione-esecuzione) concernono prevalentemente profili tecnici, economici ed ingegneristici, la gestione delle infrastrutture, una volta costruite, è soprattutto un problema di risorse umane, procedure, organizzazione. Nella “gestione” rientrano, infatti:
· la manutenzione/esercizio dell’infrastruttura;
· la sorveglianza/controllo sugli utenti dell’infrastruttura;
· l’intervento nelle emergenze.
Tali attività contribuiscono alla sicurezza in senso lato, che, come già mostrato, è una componente primaria del concetto stesso di “mobilità”.
Tuttavia la questione è la seguente: esistono margini per ottimizzare attività tanto eterogenee (e magari far emergere reciproche sinergie) proprio guardando all’obiettivo della massima efficienza negli spostamenti?
Come assicurare che i “prodotti” delle tre attività (emblematicamente: il cantiere, il posto di blocco della polizia, il soccorso alle vittime di incidente) utilizzino quelle modalità, quelle tecniche, quegli accorgimenti tali da comportare – a parità di ogni altra condizione – il minore impedimento possibile alla piena utilizzabilità dell’infrastruttura?
Si considerino, a titolo d’esempio, gli interventi di manutenzione delle strutture autostradali che comportano la chiusura della carreggiata (o parte di essa). È necessario che i gestori abbiano elaborato delle “previsioni di traffico”, riferite ad analisi del traffico su base annuale, mensile, stagionale, giornaliera, oraria, per tratte, per carreggiata, per composizione veicolare. È necessario, quindi, che si tenga conto delle difficoltà che si verrebbero a creare occupando la carreggiata nei giorni cosiddetti “neri”, dove cioè il livello di traffico si prevede intenso o critico. L’attività di cantiere deve essere studiata in modo da minimizzare l’occupazione delle corsie, sia in senso spaziale che temporale, riducendo l’occupazione con il ricorso a tecniche di esecuzione che rendano più rapido e sicuro il lavoro, adottando più turni di lavoro nell’arco della giornata, utilizzando dove possibile anche la notte e facendo uso di attrezzature che, pur garantendo una sicura agibilità delle aree di lavoro, non interessino la carreggiata o parte di essa ed infine, come extrema ratio, decidendo lo slittamento delle lavorazioni in periodi in cui non sia previsto traffico intenso o critico. Ciò per garantire uno scorrimento libero o quantomeno regolare, assicurando quei “livelli di servizio” definiti nel Highway Capacity Manual (HCM) come « misura qualitativa delle condizioni di circolazione e della loro percezione da parte degli utenti ».
Orbene, tutti i gestori autostradali si attengono a tali criteri?
Del resto, se anche la risposta fosse affermativa, non sarebbe ancora sufficiente. La domanda “giusta”, in effetti, è un’altra: esiste, se non proprio un livello di coordinamento, una sorta di “istanza di conciliazione” in ordine alle scelte al riguardo effettuate dai diversi soggetti gestori? Giacché ove tutte le autostrade di una certa regione, proprio in applicazione degli anzidetti criteri, chiudessero il 50% delle corsie nello stesso giorno e nella stessa ora, si avrebbe la paralisi. Ancora una volta, insomma, è decisiva l’ottica di sistema per ottenere un’effettiva mobilità.
Quello appena proposto, ovviamente, non è che un esempio. Come esplicitato, nella “gestione dell’infrastruttura” rientrano innumerevoli attività che, positivamente o negativamente, incidono sulla mobilità.
Sempre esemplificando, considerazioni significative possono essere fatte per la sorveglianza/controllo. Secondo quanto emerso nel recente convegno NITEL, la semplice visibilità (ovvero il suo contrario: la non visibilità) degli agenti di Polizia Ferroviaria sui convogli e nelle stazioni cambia radicalmente la “percezione della sicurezza” da parte dell’utente e può spostare, in misura rilevante, la stessa domanda di trasporto su rotaia. Detto altrimenti: anche le modalità del presidio della Polizia Ferroviaria incidono direttamente sulla scelta del “mezzo di trasporto treno” e, di conseguenza, sulla maggiore o minore congestione stradale e autostradale.
 
4. Una riflessione sull’attuale “stato della mobilità” in Italia porta a delineare un quadro fortemente critico se non, addirittura, compromesso.
Carenze infrastrutturali, inefficienze nei servizi, risorse insufficienti ovvero male allocate sono fattori che connotano assai negativamente le condizioni di mobilità sul territorio nazionale.
Tale situazione insoddisfacente viene percepita non solo dagli “utenti” (cittadini e imprese che, per i più vari motivi, devono effettuare gli spostamenti) ma anche, a conferma della veridicità dell’assunto, dagli stessi soggetti chiamati a garantire agli utenti la possibilità di spostarsi: ovvero “i creatori e gestori” di infrastrutture di trasporto (a prescindere dalla loro veste giuridica).
Tali soggetti, consapevoli delle oggettive ed innegabili criticità che oggi ostacolano il pieno sviluppo della mobilità, non esitano a rappresentarle presso l’opinione pubblica, spesso fornendo anche, ai decisori politici, un elenco di soluzioni – o meglio, un elenco delle loro soluzioni – ai problemi.
Sempre continuando a procedere “per esempi”, si possono citare:
§  per il trasporto aereo, il documento di Assaeroporti (Associazione Italiana Gestori Aeroporti) « Tavolo di confronto sul sistema del Trasporto Aereo » in data 4 febbraio 2004, che invita i referenti istituzionali (Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) a riflettere sui fattori negativi che pesano nella filiera aeroportuale, quali:
–        la mancata definizione di validi criteri economici e logistici atti a predisporre un piano nazionale del trasporto aereo volto al potenziamento del traffico;
–        la mancata valorizzazione degli aeroporti minori come infrastrutture per la promozione territoriale e lo sviluppo industriale, commerciale e sociale delle comunità interessate;
–        l’incertezza a livello politico-istituzionale sulle linee guida di riforma dei poteri e dei compiti di spettanza del Ministero, di ENAC, ENAV e del gestore;
–        l’attribuzione ai gestori, anche al di fuori del quadro normativo di riferimento, di nuove attività, funzioni e mansioni di competenza proprie di soggetti pubblici e privati terzi, senza il conferimento dei necessari strumenti e/o poteri onde consentire agli stessi il controllo del sistema che dovrebbero coordinare ed implementare;
§  per il trasporto autostradale, il recentissimo comunicato stampa del gruppo “Autostrade per l’Italia S.p.A.” in data 18 gennaio 2005, che denuncia un pesante gap infrastrutturale penalizzante per il Paese e lo motiva con la lunghezza e la farraginosità delle procedure autorizzative necessarie al fine di avviare i lavori.
Naturalmente la rassegna potrebbe continuare. È però ampiamente chiaro come la mobilità – delle persone e delle merci, sulle lunghe, medie e corte distanze – costituisca un rilevante problema (per non dire un’emergenza) di tutto il Paese. Basterà pensare, infatti:
Ø  agli spaventosi costi umani ed ambientali di una mobilità carente e non governata, e quindi inefficiente e/o insicura (incidenti, inquinamento, ecc.);
Ø  alla perdita netta di competitività del sistema economico italiano nella misura in cui esso, non potendo contare su una “catena di collegamenti/spostamenti” sufficientemente affidabile, viene a scontare, per ciò solo, un deficit dal punto di vista della logistica (oltretutto in una situazione internazionale che vede il prepotente ingresso di “colossi” come Cina e India, con i quali la sfida costituita dal processo produttivo è perdente in partenza, vista la loro elevatissima propensione ai consumi e i loro costi del lavoro oltremodo ridotti: la vera sfida sta, ormai, nell’organizzazione e nella qualità dei canali di vendita, fornitura e distribuzione).
 
5. Un tentativo di risposta rispetto a tali gravi problematiche non può che partire da un approccio “trasversale” alla materia, in grado cioè di collocarsi al di sopra dei singoli modi e dei singoli sistemi di trasporto per affrontare i fattori in gioco con una logica effettivamente “d’insieme”.
Come si è visto, gli operatori e i protagonisti coinvolti propongono al decisore politico soluzioni anche dettagliate. Si tratta però – ed è assolutamente logico che sia così – di impostazioni “autoreferenziali”: le ferrovie propongono la soluzione migliore dal punto di vista delle ferrovie, le autostrade dal punto di vista delle autostrade ecc. Sui problemi di mobilità manca ancora una visione globale, come pure pesa l’assenza di un referente istituzionale ad hoc.
Non possono esserci dubbi sulla rilevanza collettiva degli interessi e dei valori sottesi alla mobilità. Tuttavia, per quanto attiene all’organizzazione degli apparati pubblici chiamati ad assicurare il perseguimento e la tutela della mobilità, si riscontra una notevole (e problematica) frammentazione di competenze, dovuta proprio alla “poliedricità” del concetto di mobilità.
Se il grado di mobilità di un territorio è influenzato e anzi determinato dai modi di pianificazione, progettazione, esecuzione e gestione delle infrastrutture di trasporto, allora risultano coinvolte le competenze di almeno quattro dicasteri:
Ø  Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per le funzioni direttamente svolte;
Ø  Ministero delle Attività Produttive, perché i bisogni di mobilità, tanto delle merci quanto delle persone, discendono dalla localizzazione – attuale e potenziale – degli insediamenti produttivi, nonché dei flussi commerciali e turistici nazionali ed internazionali;
Ø  Ministero dell’Ambiente, per gli indispensabili requisiti di “sostenibilità” dei sistemi di trasporto, mirati all’ottenimento di una mobilità che non pregiudichi il contesto ambientale;
Ø  Ministero dell’Interno, per tutti gli aspetti di vigilanza, controllo, sicurezza ricadenti nella sua competenza e presidiati settorialmente con le specialità di Polizia di frontiera, aerea e terrestre, nonché di Polizia ferroviaria, stradale e postale.
Ciò per rimanere soltanto al livello centrale, senza considerare il livello locale.
 
6. Un percorribile itinerario per il superamento di tali difficoltà potrebbe consistere nell’adozione di modelli organizzativi, ormai, largamente invalsi presso la Pubblica Amministrazione del nostro Paese.
Si pensa all’istituzione – con legge ovvero con atto avente forza di legge – di una « Agenzia per la Mobilità », dotata di personalità giuridica e autonomia amministrativa, regolamentare, patrimoniale, contabile e finanziaria, e sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La collocazione dell’Agenzia a livello di Presidenza del Consiglio appare adeguata proprio in considerazione del carattere “interministeriale” delle aree dalla stessa Agenzia presidiate. Del resto, non sembra inopportuno che l’attenzione alla mobilità si manifesti quale primario e strategico elemento riferito tout court al Governo del Paese.
Diretta da soggetti di chiara indipendenza e di provata capacità tecnica, scientifica, gestionale e giuridico-amministrativa, l’Agenzia dovrebbe compiere attività di studio e indagine, come pure formulare raccomandazioni e proposte dirette a incrementare e migliorare i livelli di mobilità in Italia, assegnandole per declinazione ai soggetti preposti alle varie modalità di trasporto.
In ragione dell’approccio innovativo qui prospettato, graverebbe sull’Agenzia, come prima attività, il gigantesco compito di costruire “indicatori di efficienza degli spostamenti”, ovvero “indici di mobilità”, fornenti un quadro di riferimento quanto più possibile univoco e coerente, anche per eventuali comparazioni con Paesi esteri. Operazione estremamente complessa, perché richiedente l’individuazione ed il continuo monitoraggio (intelligente e “selettivo”, vista l’immensità del campo di indagine) di tutti i fattori critici che interagiscono con i flussi di trasporto.
Sulla base di un simile “pannello di controllo”, ottenibile evidentemente solo mediante la collaborazione di enti, istituzioni e imprese, l’Agenzia potrà, autorevolmente, proporre alle autorità competenti l’emanazione dei provvedimenti diretti a incrementare e migliorare i livelli di mobilità. Ciò è ben comprensibile per la fase realizzativa e per la fase di gestione delle infrastrutture ma lo è, forse ancora di più, per la pianificazione di queste. In un periodo di scarsità di risorse finanziarie e in un territorio, come quello italiano, pressoché saturo di insediamenti umani, l’imperativo è quello dell’ottimizzazione e della razionalizzazione. Quante volte si sente lamentare che, per esempio, un sistema portuale ed un asse ferroviario non possono esplicare il loro potenziale di sviluppo economico perché mancano i pochi chilometri di collegamento stradale tra l’uno e l’altro? L’Agenzia della Mobilità, in quanto “voce” delle esigenze di mobilità e non delle singole modalità trasportistiche, potrebbe suggerire, già a livello di CIPE, scelte d’investimento in opere pubbliche mirate al soddisfacimento di precisi bisogni, dotate di immediate ricadute positive e, probabilmente, implicanti un risparmio netto di risorse.          

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