Mino Mini: Geofilosofia

GEOFILOSOFIA – Dal brodo primordiale alla

Koine-dialekton del dopo crisi

 

di

Mino MINI

 

 

 

 

            In una breve recensione su Kultur n. 5/6-1999, fu portata all’attenzione dei lettori la geofilosofia.[1] Nel gennaio 2000, a chiusura del 2° millennio, è uscito un altro libretto a cura di Luisa Bonesio: “Orizzonti di geofilosofia. Terra e luoghi nell’epoca della mondializzazione”. In esso sono raccolti gli interventi, presentati come relazioni al Convegno “Prospettive di Geofilosofia” svoltosi nel 1998, della stessa Bonesio insieme a Caterina Resta docente di filosofia teoretica a Messina, Francesco Fedele archeologo, Marcella Schmidt di Friedberg docente di geografia all’università di Pavia, Eleonora Fiorani epistemologa e Quirino Principe, filosofo e germanista di chiara fama alla cura del quale dobbiamo la pubblicazione di alcune opere di E. Jünger.

            L’occasione è ghiotta per tentare uno sguardo più attento su questo fenomeno culturale che, lo si ricorderà dal n. 5/6 citato, nasce come unità intenzionale di diverse discipline per formulare “una integrazione epocalmente adeguata al senso dell’abitare e a misurarsi finalmente con i testi e gli autori che non hanno condiviso il prevalente filone illuministico e hanno guardato alla modenrità diagnosticandone impietosamente le aporie…”.[2] In sostanza un invito al confronto transdisciplinare che non nasconde, come si vedrà, l’ambizione di dare forma ad una nuova Koiné dialektos.

            Sulla base di quel poco -troppo poco- che ne sa chi scrive queste note, azzardiamo un profilo cronologico ed al tempo stesso intellettuale.

            Il termine “Géophilosophie” nasce in Francia dal lavoro di Gilles Deleuze e dello psichiatra Felix Guattari in “Qu’est-ce que la philosophie”, Minuit, Paris 1991 (tr. it. Geofilosofia. Il progetto nomade e la geografia dei saperi. Millepiani 1993). Il pensiero di Deleuze, come è noto, è una forma di vitalismo d’impronta bergsoniana, scaturente dall’aperta affermazione del reale e della vita in contrapposizione alla negazione della stessa che caratterizza la visione del cristianesimo e la concezione hegeliana del principio di contraddizione o negazione. La realtà, come la concepisce Deleuze, è una molteplicità di piani (v. Millepiani 1982 scritta con F. Guattari) rispetto ai quali la distinzione hegeliana fra materia e spirito perde di valore. La filosofia assurge in lui a nietzcheana creazione di valori nuovi su base intuitiva e non razionale percui ne consegue una affinità di procedure tra arte e filosofia.

            A diffondere il pensiero di Deleuze in Italia si è dedicata la Mimesis che edita una rivista che prende il nome di Millepiani dall’omonima opera citata.

            L’incubatrice dell’uovo geofilosofico veicolato dalla Mimesis è, invece, la rivista “Tellus” che dal 1994 si dichiara esplicitamente come “Rivista di Geofilosofia”. Ne sono collaboratrici la Bonesio, la Caterina Resta e la Marcella Schmidt di Friedberg che si attivano anche nella veste di promotrici culturali.

            E’ indubbio, senza far torto al valore di alcuno degli altri geofilosofi, che i contributi più caratterizzanti la geofilosofia italiana -a parte l’opera parallela (per via del trattino?) di Massimo Cacciari con “Geo-filosofia dell’Europa” Adelphi Milano 1994- sono offerti dalle opere delle tre collaboratrici di “Tellus”.

            La prima, anche in senso cronologico, è quella che Luisa Bonesio aveva fatto uscire nel 1993 per i tipi della Marcos y Marcos di Milano “La terra invisibile”.

            Con una prosa affascinante e fascinosa, l’autrice, ponendosi l’interrogativo circa le forme nelle quali la terra è stata pensata nella filosofia del nostro secolo,[3] compie il “salto” del pensiero per collocarsi “la dove tutto è diverso, tanto diverso che ci sorprende”[4], ovvero in una dimensione che definisce archeologica nella quale il paesaggio contemporaneo viene esplorato criticamente “senza identificarsi nel disgregato sistema di valori del moderno”[5] per comprendere verso quale destino è avviato il mondo. Si avvertono, qui, oltre al riferimento a W. Benjamin, Parigi capitale, del XIX secolo, gli echi della lunga introduzione di Jacques Derrida alla “Origine della geometria” 1962 di Husserl e la traduzione operante del concetto di archeologia come senso originario di qualcosa che si può cogliere soltanto come senso finale, ovvero come telos. E’ dalla “La terra invisibile” che, per successivi passaggi, nasce la “Geofilosofia del paesaggio” che i lettori di Kultur già conoscono.

            Nel giro di poco tempo il riferimento alla geofilosofia diventa la connotazione di opere delle più svariate provenienze. Ciò ne conferma la valenza polare e induce Caterina Resta a redigerne il “manifesto” in dieci tesi.

            L’anno ed il luogo della Wittemberg geofilosofica sono il 1996 e palazzo Venini a Milano dove tali tesi vengono esposte durante il ciclo “Incontri di Geofilosofia. Appartenenza e località: l’uomo e il territorio” e pubblicate nella raccolta degli atti curata dalla Bonesio per i tipi della SEB-Società Editrice Barbarossa. E’ con l’introduzione a queste tesi che viene espresso lo speranzoso interrogativo circa la nuova Koiné, la geofilosofia appunto, la cui caratterizzazione viene formulata in questi dieci assunti (la G maiuscola è nel testo):

            1 – L’assunzione del nichilismo come orizzonte epocale;

            2 – La Geofilosofia è una geopolitica;

            3 – La Geofilosofia deve contribuire al processo di unificazione europea;

            4 – La Geofilosofia è una  filosofia  radicale  (N.d.R.  Nel  senso  di  radicamento

comune di ogni esperienza umana: l’abitare sulla Terra);

            5 – La Geofilosofia è una topologia;

            6 – La Geofilosofia è un’ideologia e un’idiomatica;

            7 – La Geofilosofia impone una  diversa  concezione  della  frontiera,  dell’appar-

tenenza e della comunità;

            8 – La Geofilosofia è una geosofia e una geografia dell’immagine;

            9 – La Geofilosofia è un pensiero del cuore;

            10-La Geofilosofia prepara l’incontro tra Oriente e Occidente; Nord e Sud del Mondo.

            Dal 1996 ad oggi, queste tesi costituiscono le linee guida dell’operare culturale dei collaboratori di Tellus.

            Nel 1998 la Bonesio, in chiave geofilosofica cura, per i tipi della Mimesis, la pubblicazione del “L’uomo e la terra” di Ludwig Klages tradotto, dopo ottantacinque anni dalla sua uscita, da Mario Clerici.

            Nello stesso anno si svolge il convegno “Prospettive di Geofilosofia” da cui nascerà quel “Orizzonti di geofilosofia” che ha aperto questo scritto.

            Nel 1999, ancora una volta per i tipi della Mimesis, la Bonesio e la Schmidt di Friedberg curano, in chiave geofilosofica, “L’anima del paesaggio tra estetica e geografia“. L’opera raccoglie saggi di Herbert Lehmann, Martin Schwind, Carl Troll geografi ed Heinrich Lützeler storico dell’arte, che nel periodo a cavallo dell’ultima guerra mondiale diagnosticarono impietosamente le aporie della modernità.[6] 

            Il profilo cronologico, sicuramente carente, della geofilosofia termina con l’ultimo atto di presenza attiva rappresentato dalla partecipazione della Luisa Bonesio al convegno “Fine della nazione?” che l’organizzazione Terra insubre ha promosso a Varese il 4-5- dicembre 1999 con al collaborazione della Direzione Generale Cultura della Regione Lombardia, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Varese, della sempre attiva sul piano della promozione culturale, Arianna editrice e del GT sette di Lugano.

           

            Vediamo ora se è possibile tracciare un profilo intellettuale della geofilosofia che la Resta dichiara essere ancora un brodo primordiale il cui magma si sta agglutinando intorno all’esigenza di un “radicale ripensamento dell’abitare dell’uomo sulla terra”; felice frase con la quale viene espressa la voglia di concretezza che sta animando positivamente il mondo del pensiero. Per comprenderne la portata è utile por mente alle figure di due delle protagoniste di cui si è parlato sin qui.

            Luisa Bonesio è docente di estetica, Caterina Resta di filosofia teoretica, ramo che si occupa di principi dottrinali delle scienze. La prima opera in quell’ambito dottrinario che appartiene al quadrante estetico del processo della civiltà e della crisi (gli altri sono: quello logico, quello economico e quello etico). E’ l’ambito più inflazionato dai fenomeni della crisi per l’ampiezza priva di limiti dello spettro d’indagine che spazia dal mondo intenzionale del soggetto (l’estetico) a quello della psicologia e della forma che, nel suo aspetto più maturo investe il mondo dell’espressione concreta dell’arte e, soprattutto per il caso in oggetto, dell’ambiente. Fu proprio l’estetica, nella sua espressione ideologica -la fenomenologia- a farsi carico della responsabilità di una riorganizzazione totale del mondo della cultura e di una lettura integrale della vita e della realtà. Il pensiero dell’ultimo Husserl, quello dell’incompiuta “Crisi delle scienze” appare significativo in proposito. Sarà ancora l’estetica, uscita fuori dal ristretto ambito disciplinare in cui è stata rinchiusa, a riprendere questo fardello.[7]

            Appare quindi naturale l’appassionata adesione di una studiosa di estetica come la Bonesio ad una formulazione ideologica come quella geofilosofica che, nella transdisciplinarità orientata verso il reale, tende a superare la catartica evasione nell’arte in cui era caduto l’esistenzialismo per riprendere, con uno spirito più maturo e intellettualmente agguerrito, la battaglia per la “Lebenswelt”, la vita terrena. E non è un caso che al centro della sua attenzione abbia collocato il paesaggio. Secondo Saverio Muratori

 

“Il paesaggio dell’uomo è il suo specchio

“morale, riflette e sostiene l’esigenza mo-

rale dell’uomo di unificare nella sua co-

scienza tutto ciò che lo circonda. Un pae-

saggio è idoneo o ingrato per l’uomo nel

grado con cui esso riesce a riflettere uni-

tariamente il suo mondo interiore. Tutti

i valori ambientali e paesistici e tutti i pro-

blemi architettonici di ambientamento, pri-

ma di riguardare i particolari quesiti di

continuità di valori storici e stilistici, ri-

flettono anzitutto la rispondenza a questo

criterio selettore fondamentale”.[8]

 

            Ponendo mente al citato ultimo Husserl della “Crisi” ed agli studi di Derrida di cui è attenta esegeta, appare altrettanto naturale l’adesione alla geofilosofia di una studiosa del pensiero come Caterina Resta e non poteva che essere  sua la formulazione delle dieci tesi. Con la proposizione delle stesse siamo, infine, al tentativo di superamento dell’ultimo limite cui era pervenuta la scuola fenomenologico-esistenzialista; non solo quello del nichilismo, ma -secondo chi scrive- anche quello dell’estetismo vitale, teleologico e precategoriale di Maurice Merleau-Ponty. Limite, nel suo specifico caso, dovuto all’ambiguità della sua apertura iperdialettica che precludeva la sintesi della esperienza e quindi l’agire, nonostante ogni buona intenzione, all’interno di un mondo finito.

            Per ora, come lascia intendere il “brodo primordiale“, icasticamente descrittivo della condizione attuale del pensiero geofilosofico, siamo ancora al livello intenzionale percui è forse opportuno riformulare in termini di possibilità la domanda che la Resta ha posto in termini di condizione futura:

– Può la geofilosofia diventare la nuova Koiné filosofica dopo il definitivo crollo dei fondamenti e la successiva crisi della ragione?

            Date le premesse ed il processo di crisi ancora permanente, la risposta è condizionata.

            Se si va oltre Merleau-Ponty e la sua corporeità-intersoggettività per acquisire coscienza che “…il punto di contatto naturale tra mondo fisico e reale e la nostra coscienza spontanea è il nostro stesso corpo che è insieme natura e coscienza e ci consente suo tramite di partecipare alla struttura organica della natura, ma anche di leggerla e interpretarla in senso umano, di umanizzare il mondo”[9],

allora possiamo assumere una nuova dimensione categoriale: il territorio inteso come rapporto simbiotico -quindi organico- di uomo e natura ovvero di natura umana ospitata e natura ambientale ospitante reciprocamente condizionantesi. Poiché la vita dell’uomo è limitata nel tempo mentre quella della natura ospitante ha tempi che sfuggono alla percezione umana tale che può considerarsi senza tempo, per mettere in rapporto i due simbionti occorre considerare l’uomo ospitato come un’entità variabile costituita da tanti singoli che si presentano nel rapporto in tempi diversi, mentre la natura è costante. Un rapporto che si ripeta nel tempo fra una variabile ed una costante e ciò che si definisce processo ciclico che, in quanto processo, è storico. Non storia dell’uomo, ma del territorio.

 

            Ne consegue, assunto il territorio come processo, che la forma ovvero il modo secondo il quale i due simbionti entrano in rapporto fra loro, costituisce la civiltà. Esistono modi diversi di reciproco condizionamento tra i due simbionti e tale diversità si riflette nella specificità del territorio e quindi nelle diverse civiltà a tutte le possibili scale. Dalla locale alla planetaria. Esiste il territorio episodico dei primitivi come quello seriale dei cinesi; quello organico episodico degli indiani e quello organico totale dei romani, ciascuno caratterizzato da una propria logica di formazione, da una propria economia, da proprie istituzioni civili, da propria “imago mundi” sublimata in un paesaggio individuato.

            Geograficamente tutto ciò lo si può leggere e sperimentare con il metodo messo a punto da Saverio Muratori trentatrè anni fa nella facoltà di architettura di Roma.

            “In tal modo affermiamo che il processo storico (del territorio) plana in un processo naturale, ossia geografico. L’organismo geografico della realtà assorbe gradatamente, sia pure con una giustificazione logica, il mondo della coscienza”.[10]

            La risposta, infine, è già data chiaramente:

            se si assume il territorio come simbiosi di uomo e natura la scienza che ne studia l’essenza come processo storico territoriale della totalità di natura umana ospitata e natura ambientale ospitante trova nella geofilosofia la sua naturale Koiné dialektos del dopo crisi.

 

 

NOTE


[1] Mino Mini                       Alla ricerca del mondo hûrquâlico. Kultur n. 5/6-1999 pag. 129.

[2] Luisa Bonesio                 Geofilosofia del Paesaggio pag. 116.

[3] Luisa Bonesio                 La terra invisibile pag. 7.

[4] Luisa Bonesio                 ivi pag. 144.

[5] Luisa Bonesio                 ivi pag. 94.

[6] Luisa Bonesio                 cit. in (2).

[7] Saverio Muratori            Civiltà e territorio pag. 61. Centro Studi di Storia Urbanistica. C.S.S.U. Roma

1967.

[8] Saverio Muratori            Architettura e civiltà in crisi pag. 116. C.S.S.U. Roma 1963.

[9] Saverio Muratori            Civiltà… op. cit. pag. 484.

[10] Saverio Muratori          Autocoscienza e Realtà nella storia delle ecumeni civili. Postumo a cura di G.

Marinucci pag. 402 C.S.S.U. Roma 1976.

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