Il 25 aprile? Meglio il 2 giugno

25 Aprile 2009

Domenico Cambareri

L’editoriale odierno nella veste data da Parvapolis


Oggi è il giorno della vendetta, del sangue, della sconfitta e … della “vittoria” delle fazioni

25 aprile e partigiani. Il nome non mente, è un marchio. Parla da sé. 25 aprile, data della parte, festa delle fazioni, da sempre rissose fra di loro. Da questo sciagurato dì, regolamenti di conti, giustizie di tribunali volanti, eliminazioni fisiche anche di innocenti, mattanze. Per mesi. Sino agli aperti tradimenti sul fronte orientale in favore di Tito. Fatti di uomini senza divisa, che ancora festeggiano. Nella angusta e tenebrosa logica degli agguati e delle rappresaglie. Chi ha vinto e chi ha perso. Polvere sotto i cingoli dei carri armati americani, inglesi, francesi, polacchi e … tedeschi. Il misfatto della resa, del tradimento, della sconfitta. Tutto con ignominia. Anche gli agguati. Non sappiamo chi sono i “liberatori”, tra i tanti, e se ci sono mai stati tra coloro che ci riportarono i mafiosi. Sappiamo che gli italiani furono degli sconfitti. Sconfitti, oltre ogni carnevale ideologico. Dietro ogni festeggiamento di tal fatta c’è ancora l’odio di parte. E rimangono soltanto la disfatta, i morti dal 25 aprile, i voltagabbana del 1943, del 1944, del 1945. Questi, non sono anni e giorni radiosi. Sono anni e giorni tristissimi, sono gli anni dei fascisti antifascisti e di piccoli gruppi assetati di insaziabile rivincita di parte. Odio anche fanatico, spesso incontrollato e incontenibile. Nella disfatta della Nazione. Quel generale che si oppose ai tedeschi a Porta San Paolo, dopo la fuga precipitosa del re e del suo governo da Roma, andò poi a combattere a Salò. Per chi o per cosa? Anche in guerra, anche negli agguati, negli atti di terrorismo e di guerriglia, nelle rappresaglie vi sono gli innocenti. Il 25 aprile noi ricordiamo anzitutto queste vittime costrette ancora nell’oblìo. Ricordiamo poi i combattenti sconfitti, i soldati di Salò, i soldati – anche antifascisti -che preferirono la via dell’onore, i militi fascistissimi che non cambiarono casacca, i ragazzi della bella morte. Romanticismo meraviglioso, insuperabile, immortale. Ma anche limpida razionalità, in tanti estremamente soppesata, di portare il fardello più pesante per anni e anni, se non per tutta la vita. Non solo o non più per il partito. Non solo o non più per il regime e per il duce, ma per l’Italia. Il 25 aprile non potrà mai essere festa per tutti. Il 25 aprile non è festa per tutti. E’ festa delle fazioni che dicono ancora di avere vinto la guerra.E di avere liberato l’Italia. Tra questo e gli ulteriori sviluppi della storia recente della nostra Nazione, noi abbiamo messo e mettiamo un distinguo fondamentale, sicuro, certo, senza compromessi morali e politici. La festa degli italiani, di tutti gli italiani, anche nostra, è il 2 giugno, la festa dell’Italia rinata nelle nuove istituzioni repubblicane. Con una costituzione vistosamente imperfetta. Siamo coscienti che allora più di questo non si poteva ottenere dalle menti dei costituenti, così ottenebrati nelle visioni di parte pur “sublimizzate” dal loro antifascismo (!). Né in essa imperfettissima costituzione fu mai scritto che era una costituzione “partigiana”. Purtroppo, fu figlia e vittima dell’ideologia partitocratica scambiata ancora una volta per democrazia. E della sconclusionata, alienata, assurda inclusione dei Patti Lateranensi che ancora oggi pesano come macigno che schiaccia Atlante. Pur con tutti questi limiti, anche vistosi, noi ci riconosciamo in essa e riteniamo che essa possa essere nella sua seconda parte fortemente migliorata. Riteniamo in particolare, e non da oggi, che i poteri del presidente del consiglio debbano essere molto rafforzati, trasformando questa figura in “primo ministro”, e che debba essere diversamente configurato il ruolo già modificato del Senato della Repubblica. Riteniamo anche e non di meno che il ruolo del Capo dello Stato vada altrettanto rafforzato per ri-bilanciare i massimi poteri costituzionali e per esercitare un più incisivo ruolo di controllo e di indirizzo in precisi ambiti (esteri e difesa, cultura nazionale e ricerca, giustizia). Tutto ciò riguarda il presente e il futuro, non il 25 aprile e i messaggi fuori luogo che da decenni ci piovono dal Quirinale per conclamare una “unità” posticcia se non assurda ed offensiva per chi se la sente sempre addosso, appiccicaticcia come la sabbia bagnata dallo scirocco. Festeggi pure chi vuole il 25 aprile, anche nella melensa e bolsa dietrologia dei vinti vincitori. Noi torniamo a dire a costoro, a tutti costoro, sordi alle ragioni degli altri e innamorati delle loro fanfaluche non innocenti, che questa data divide e dividerà sempre.Questa imposizione non passerà mai nella storia e nei cuori. Essa è l’ombra sinistra della guerra civile. Noi li possiamo abbracciare solo con il tricolore del 2 giugno. Ma no, no nel dì del sangue. A dir poco, il 25 aprile porta ai più atroci torcicolli. Il 2 giugno prepara ai progetti più impegnativi del nostro futuro. Per l’Italia

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