Analisi difesa: perché non dire ciò che si vuole e ciò che si fa senza eufemismi e giri di parole che sono poi… solo prese in giro?

 25 Luglio 2009

 Fonte: Analisi Difesa anno 10 numero 100

Gianandrea Gaiani

 GLI ITALIANI IN AFGHANISTAN COMBATTONO….E LO DICONO PURE

6 luglio – I nostri lettori ben sanno quanto Analisi Difesa abbia evidenziato negli ultimi anni l’eccessivo riserbo che ha avvolto le informazioni relative agli impegni militari italiani in Iraq e Afghanistan, Un riserbo sconfinato nella vera e propria censura durante gli anni del governo Prodi, che ha spesso impedito che l’opinione pubblica e i contribuenti venissero informati su scontri a fuoco, impiego di mezzi e reparti e atti di valore compiuti in combattimento dai nostri soldati. Oggi che a Washington l’amministrazione Obama ha imposto un criptico linguaggio politically correct alla comunicazione sulle guerre in atto abrogando l’uso dei termini “guerra globale al terrore” sostituito dal più innocuo “operazioni d’emergenza oltremare” (contingency operation overseas) e persino “atto terroristico” rimpiazzato da “disastro causato dall’uomo” (man-caused disaster), ci sembra importante sottolineare l’inversione di tendenza in atto in Italia. Dopo anni di silenzi e sfumature lessicali intorno alle operazioni di combattimento sostenute dagli italiani il Ministero e lo Stato Maggiore della Difesa stanno attuando una vera e propria rivoluzione che finalmente imprime una svolta all’insegna della trasparenza e della chiarezza. Dopo aver rimosso nell’agosto scorso il blocco alle visite dei giornalisti a Herat  ora la Difesa ammette apertamente che i nostri soldati combattono e uccidono i talebani fornendo cronache dettagliate e bilancio delle perdite stile “bollettino di guerra”. Fino all’anno scorso il nemico non veniva neppure menzionato dalle fonti della Difesa, i nostri soldati agivano solo per difendersi dalla minaccia portata da “elementi armati ostili”, oppure da “sconosciuti”, “aggressori” o “forze non identificate”. Oggi anche il linguaggio ufficiale della Difesa utilizza il termine “insorti”, standard tra gli alleati della NATO, seguendo un cambio di indirizzo annunciato nel luglio scorso dal ministro Ignazio La Russa nella base di Farah dove per la prima volta vennero “sdoganate” davanti ai media italiani le forze speciali della Task Force 45 schierate in quell’area calda e dove per la prima volta un ministro della Repubblica dichiarò che “i nostri soldati combattono”. L’intensificarsi degli scontri nelle ultime settimane ha reso ancor più palese il cambiamento sul fronte della comunicazione. Il 29 maggio, per la prima volta, al termine di un combattimento a Bala Murghab nel quale tre paracadutisti rimasero feriti, il comunicato del comando di Herat ha annunciato che nella battaglia “sono stati uccisi 25 insorti”. Mai prima d’ora gli italiani avevano annunciato il numero di nemici che avevano ucciso. Nei giorni successivi la stessa fonte ufficiale informa che i mortai da 120 millimetri e gli elicotteri Mangusta hanno “neutralizzato” avamposti e postazioni degli insorti. Il 3 giugno viene annunciato l’arresto di quattro insorti nella provincia di Farah da parte di truppe afgane affiancate da forze speciali italiane della Task Force 45 che sequestrano anche un ingente carico di oppio. Anche in questo caso si tratta del primo annuncio di attività anti-narcos da parte degli italiani e una delle prime notizie a essere diffusa circa le attività della TF-45. Il 10 giugno il comando di Herat rese noto che nei combattimenti a Bala Murghab sono stati ”neutralizzati circa 90 insorti e uccisi due importanti capi taleban della zona di Badghis”.  Sempre in giugno dall’Ufficio Pubblica informazione sono giunte notizie dettagliate sulle battaglie sostenute a Farah e Bala Murghab nelle quali sono stati uccisi in combattimento oltre un centinaio di insorti. Sembrano finiti i tempi in cui i cingolati corazzati da combattimento Dardo venivano definiti “veicoli protetti” sottolineandone la corazzatura ma glissando silla potenza di fuoco e  gli elicotteri da combattimento Mangusta diventavano  “da esplorazione e scorta”.  Manca un solo un ultimo passo per allineare l’informazione “di guerra” italiana agli standard anglo-americani: l’istituzione dei reporter “embedded” e non solo “ospiti” dei contingenti e in quanto tali  tenuti lontano per quanto possibile dalle zone di combattimento. Occorre un vero e proprio “contratto” come quello utilizzato in USA e Gran Bretagna che consenta anche ai giornalisti italiani di seguire in prima linea le truppe, raccontando le operazioni ma rispettando le regole poste dai militari per lavorare in condizioni di rischio elevato. Anche in Italia i tempi sono ormai maturi per questo passo avanti che garantirebbe la massima trasparenza nell’informazione e una più nitida visibilità mediatica al lavoro dei nostri militari.

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