Mercati finanziari, montagne russe e crisi. Cosa è la ripresa?

27 Ottobre 2009

Enea Franza

  Le borse risalgono, sarà vera ripresa ?

Gli aumenti delle piazze finaziarie, l’indebitamento degli Stati, l’andamento del commercio internazionale e il mercato dei metalli cosa dicono?
 Martedì 20 ottobre 2009 le borse di tutti i Paesi registrano le punte massime degli ultimi 12 mesi. Trainati dai conti trimestrali pubblicati dalle società con risultati economici superiori alle attese, anche se con molti chiaroscuri, le piazze finanziarie sembrano aver superato le resistenze di fine estate. Gli incrementi negli ultimi 12 mesi sono stati pari a: Londra +1,76%, Parigi +1,69%, Francoforte +1,90%, Milano +1,13%, Wall Street +0.94% e Nasdaq +0,91%. Il dato sconvolgente emerge dalla contabilizzazione della variazione rispetto ai minimi di marzo 2009: le Borse citate guadagnano circa il 60%! E le banche d’affari presentano risultati migliori del previsto. Per tutte, citiamo Morgan Stanley, che presenta conti in utile per ben 757 Milioni di dollari. E a dare l’impressione che tutto va bene, ci si mette anche la Federal Reserve che comunica al mercato l’intenzione di ridurre l’abbondante liquidità del sistema. Eppure i segnali dall’economia reale circa il fatto che le cose non vanno tanto bene non mancano. L’economista Russel Napier nel libro “Anatomy of the Bear: Lesson from Wall Street’s Four Great Bottoms”, in base ad un’analisi storica, afferma che in passato ci sono stati tre “anticipatori” di rilievo dell’uscita dalla crisi: il prezzo del rame, i valori delle obbligazioni di grandi imprese, il rendimento dei titoli di Stato (ossia del Tesoro Usa) indicizzati. Da sottolineare che Napier non dice che ciò s’inquadra perfettamente con il tracollo della produzione industriale, in parte determinato dallo smaltimento delle scorte. Ma vediamo come sono andati l’indicatori suggeriti dall’economista. Per inciso, ricordiamo che il rame ha un’importanza fondamentale nell’economia contemporanea[i], dovuta alle sue caratteristiche tecniche che lo rendono indispensabile. In particolare, il rame è dotato di una conducibilità, tanto termica quanto elettrica, fra le più alte fra i metalli rendendolo indispensabile nell’impiantistica elettrica, ma anche nelle industrie (anche quella edilizia) e nei trasporti. Inoltre è un metallo caratterizzato da elevata resistenza alla corrosione e da una grande duttilità e malleabilità. Esso è, inoltre, estremamente disponibile alla formazione di leghe, fra le quali ricordiamo in particolare il bronzo, ma anche le leghe con l’alluminio e con il nichel, molto utilizzate nelle zecche (anche gli Euro sono in varie leghe di rame). Dopo il crollo dei prezzi del 2008, da qualche mese il prezzo del rame punta decisamente all’insù; da gennaio a settembre 2009 la quotazione ufficiale del rame al London Metal Exchange è passata da 3.220,69 a  6.196, 43 dollari USA ed il mercato a tre mesi punta ancora al rialzo! Anche l’altro indicatore suggerito da Napier segna un livello globale positivo. I corporate bond hanno toccato i 1.300 miliardi di dollari nel 2009 contro un livello dei prestiti, che sono arrivati a 1.080 miliardi. L’andamento è analogo in Europa e negli Stati Uniti, dove il volume delle obbligazioni emesse dalle società supera quello dei prestiti rispettivamente del 25% e del 61%. Insomma, le compagnie  cercano fondi sul Debt capital market e gli investitori, comprano. A fare volare il mercato,  è stato sopratutto il settore dell’energia e delle utility, che ha visto un aumento dei volumi delle emissioni obbligazionarie dell’86% a 234,3 miliardi di dollari, parallelamente ad un crollo dei prestiti (sempre nel corso del 2009) del 45% a 134,2 miliardi di dollari. Quanto ai titoli di Stato degli USA, invece, il loro rendimento si è ridotto, e ciò significa che, tra gli investitori in titoli di Stato, non vi è molta fiducia e che in definitiva nutrono aspettative differenti sulla ripresa rispetto a quelle degli investitori sui mercati azionari …Ma, secondo molti, gli indicatori che meglio riescono a catturare gli aspetti micro e macro della crisi, fornendo indicazioni di dove si stia andando, sono quelli del commercio internazionale. A ben vedere il commercio internazionale sta subendo la più forte contrazione degli ultimi decenni (prevista tra il 7% ed il 9% nel solo 2009). I dati più recenti relativi ai 15 maggiori paesi esportatori confermano il tracollo: nel febbraio scorso l’eximport dei 15 ha segnato un valore di ben un terzo inferiore a quello dello stesso mese del 2008. Un saggio di Barry Eichengreen e Kevin 0’ Rourke, “A Tale of Two Depressions”, evidenzia come il fatto stesso che il tracollo del commercio sia stato più veloce oggi che nel 1929-30, sia un indicatore di un potenziale più rapido di ripresa dell’economia reale, sempre che non si cada nelle facili tentazioni del protezionismo. I dati più recenti mostrano che il programma espansionista attuato in Cina sta dando i suoi frutti: nonostante la caduta complessiva per i 15, l’export di Australia, Corea del Sud e Taiwan sta galoppando (alla volta della Cina) e le stesse esportazioni americane danno segni di ripresa (rispetto ai tre mesi precedenti). Un segnale timido, ma incoraggiante. La ripresa dell’economia reale, tuttavia,  è ancora debole. Nel mondo, al 1° giugno 2009, i maggiori governi hanno preso impegni per 5.000 Miliardi di dollari e di questi hanno speso circa 2.000 Miliardi (gli USA da solo ne ha spesi 787), che in termini di PIL, corrispondono per gli U.S.A. al 22% , per il Regno Unito al 54%, per la Francia al 19%, per la Germania al 28%. Le modalità d’intervento degli Stati sono state essenzialmente di tre tipi: l’acquisto diretto di titoli tossici; la prestazione di garanzie sui debiti delle banche; l’intervento diretto sul capitale delle banche. Nella sostanza ci troviamo con Stati indebitati all’inverosimile, che hanno esaurito le scorte per guidare una ripresa che non decolli sulla spinta dei consumi delle famiglie. E qui viene il nocciolo della questione, ovvero, il peso della disoccupazione, che sta crescendo. Negli USA, si conta che la crisi abbia significato la perdita del lavoro per 7,2 milioni di persone: il dato sulla disoccupazione negli Stati Uniti d’America a luglio rilasciato dal Bureau of Labor Statistics: vede il tasso di disoccupazione  a 9,4%, per un totale di 14,5 milioni di disoccupati. A tale dato va ad aggiungersi l’esplosione del debito delle famiglie americane pari a 130% del loro reddito. La situazione in Europa non è molto diversa. A maggio – segnala l’istituto di statistica europeo – i disoccupati dell’area Ue-27 sono schizzati al 9,5% del totale della forza-lavoro, il dato peggiore dal 1999. In valore assoluto, più di cinque milioni di europei hanno perso quest’anno il loro posto di lavoro e non sembrano esserci – per il momento – avvisaglie di inversione. In sofferenza anche l’erogazione del credito, tesi confermata dallo stesso Trichet che ha denunciato «un flusso dei prestiti bancari alle imprese e alle famiglie rimasto molto limitato». Ma allora, se ci si ferma a pensare un po’ su queste semplici osservazioni, resta difficile comprendere come possano aumentare i consumi privati. Tuttavia, le borse stanno abbandonando l’orso e sono tutte per il toro ! In definitiva, l’impressione è che il pretesto principale del rialzo siano i migliori risultati che le imprese presentano rispetto alle previsioni degli analisti. Mi spiego meglio, perché detta cosi sembrerebbe una boutade: a leggere le cronache ed i commenti degli economisti della carta stampata (radio, televisione ed internet) la ragione dei rialzi è che i conti trimestrali sono migliori di quelli attesi, perchè le attese (le previsioni) sono quelle effettuate da altri economisti … possibile ? Strano ma vero …. eppure, come visto, altre ragioni non se ne trovano! E sembra bastare la notizia di futuri guadagni ed ecco il parco buoi partire al galoppo! Ma sarà così, oppure c’è una mano occulta che guida i rialzi  e che nel frattempo chiude le proprie posizioni deficitarie? Di certo chi scrive non può avere nessun dato che confermi questa ipotesi che è più suggerita dalla fantasia che da una qualsiasi evidenza, ma c’è chi ritiene che “a pensar male di solito non si sbaglia molto …”.
[1] I maggiori produttori di rame del mondo sono il Cile, il Canada, gli Stati Uniti, l’Indonesia, l’Australia, lo Zambia e altri produttori minori. Il Cile è il più importante non solo perché detiene il 40% della produzione mondiale di rame e il 44% delle riserve stimate del metallo, ma anche perché è il principale mercato di esportazione.

 

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