Pirani, un uomo infallibile nel giudicare

31 Ottobre 2009
Fonte:L’Occindentale orientamento quotidiano – online

Controtendenza
Per Pirani i buoni sono a sinistra e i cattivi a destra. Altro che Robespierre!

Dino Cofrancesco                                                                                                                                            30 Ottobre 2009
Mario Pirani, in passato, mi sembrava, per la sua professionalità, la sua cultura, il suo stile sobrio e misurato, la classica eccezione che conferma la regola: anche nella redazione giornalistica più propensa ai commenti (‘di parte’, è ovvio) che interessata ai fatti, poteva esserci ‘l’uomo d’altri tempi’, la penna uscita dalla scuola dei Gorresio e dei Ronchey. Da tempo, Pirani è rientrato nel ‘mucchio selvaggio’ ma, forse anche a causa della vecchiaia – una brutta bestia per tutti noi – non aveva mai passato il segno come nell’articolo ‘Perché s’indigna il popolo di sinistra’, pubblicato sul quotidiano romano il 28 ottobre scorso. Un articolo che mi ha malinconicamente ricordato, ‘scilicet magnis componere parva’, il mio vecchio e amato maestro Norberto Bobbio con la sua ‘intervista sulla repubblica’, testimonianza tristissima della luce dell’intelligenza che s’appanna con gli anni, quasi preannuncio dell’abbandono definitivo dello “dolce lome”.
Non vorrei essere equivocato. Nella mia attività di studioso e di commentatore delle vicende politiche, almeno da diversi lustri, ho scelto la tribuna dell’osservatore. Non ho mai avuto simpatie per il Cavaliere e se talora m’è capitato di difenderlo dalle critiche feroci di amici e colleghi è stato per quel naturale senso d’imparzialità che ci porta a reagire quando “le accuse vengono da certi pulpiti” o quando sono motivate dalla pagliuzza nell’occhio del nemico. Ma c’è un’altra ragione, ben più rilevante, che sovente mi ha portato e mi porta a polemizzare con l’antiberlusconismo teologico ed è la mia ‘scelta di campo’, la mia fedeltà profonda ai valori della democrazia liberale. E’ una forma di governo, per citare ancora una volta il ‘mio’ Raymond Aron che appassisce nel vento caldo delle passioni ideologiche e che si fonda sull’alternanza al governo dei partiti e delle coalizioni, un’alternanza resa impossibile dalla reciproca delegittimazione etica e politica degli avversari. Ma mi spingo più in là: anche questa delegittimazione potrebbe non essere del tutto un ostacolo all’alternanza se la contrapposizione violenta delle fazioni (giacché tali sono divenuti i partiti) non velasse irreparabilmente il loro sguardo sui punti di forza e di debolezza degli avversari. Stando a una testimonianza di Edmondo Rossoni, al duce, che lo aveva ricevuto dopo il viaggio del sindacalista negli Stati Uniti, interessava assai poco sapere che a Detroit le colate di acciaio, ininterrotte, sembravano la cascata delle Marmore riprodotta nelle grandi officine del Michigan: nella guerra del sangue contro l’oro, i popoli corrosi dalla sifilide del materialismo, gli eserciti senza causa e senza alte idealità, avrebbero perso nel confronto con le stirpi guerriere redente dal Risorgimento nazionale e dalla sua logica conclusione, lo stato ‘totalitario’ fascista. Molto più fanatico di Mussolini, il Fuhrer fu a un passo dal vincere la guerra, prima che con l’invasione della Russia il delirio ariano lo accecasse del tutto, proprio per la sua fiducia nell’intelligence: degli eserciti inglesi e francesi, dei loro comandanti, delle classi dirigenti che decidevano tattiche e strategie, sapeva vita e miracoli. Era ben consapevole dell’inutilità della costosissima linea Maginot e sapeva bene che uno dei pochi ufficiali francesi ad aver le idee chiare sugli eserciti moderni e altamente tecnologizzati era un certo Charles de Gaulle, la cui filosofia militare lo Stato Maggiore non aveva mostrato di apprezzare ma che al ‘piccolo caporale austriaco’ era parsa geniale.
Come Mussolini, anche i Bobbio buonanima, i Pirani, i Magris non vinceranno mai la guerra contro il Cavaliere giacché si rifiutano di intendere le vere cause del suo successo elettorale e, per giunta, con la pigrizia mentale di chi riesce solo a riportare il brutto presente al brutto noto del passato, si consolano pensando ad un accesso febbrile che ogni tanto colpisce questa nostra Italia che secoli di controriforma e di decadenza hanno esposto alle varie infezioni del qualunquismo, del populismo, dell’arte di arrangiarsi elevata a codice morale supremo. E’ il vecchio ‘gobettismo’ che, molto di più del materialismo storico degli Antonio Labriola, dei Rodolfo Mondolfo, degli Antonio Gramsci ha segnato in maniera indelebile l’intellighentzia nazionale. Se ciò comportasse solo la sconfitta del partito Repubblica, non ci sarebbe nulla di cui preoccuparsi. Purtroppo, però, gli stili di pensiero che dalla centrale neo-azionista si diffondono in una parte consistente del ‘popolo di sinistra’ rendono sempre più lontana e improbabile l’alternanza, assicurando al ‘parvenu’ di Arcore – o ai suoi eredi – tanti altri anni di indisturbato soggiorno a Palazzo Chigi. Per chi, indipendentemente dalla scheda che deposita nell’urna, ha a cuore soprattutto le istituzioni e le ‘regole del gioco’ si tratta di un’eventualità tutt’altro che esaltante: sarebbe, infatti, la riprova che nel nostro paese non ci sono le condizioni di una ‘democrazia a regime’ e che mai un candidato sconfitto potrebbe tenere alla nazione il discorso che McCain ha tenuto ai suoi sostenitori salutando in Barak Obama il presidente di tutti gli americani. (Ma Obama, è forse superfluo ricordarlo, non avrebbe tenuto un discorso dissimile, qualora il verdetto popolare avesse premiato il suo avversario).
Tornando a Pirani, il suo articolo sulla diversa reazione del centro-sinistra dinanzi al caso Marrazzo e del centro-destra dinanzi alle ‘sconcezze’ del Cavaliere è il sintomo inquietante del ‘cul de sac’ in cui si è cacciata la sinistra non riformista e antagonista italiana. Gli studiosi del linguaggio e dei simboli politici – come l’amico e collega Giorgio Fedel che a questo tema ha dedicato i pochi studi seri disponibili in Italia – dovrebbero farne oggetto di più di una lezione. Da una parte, leggiamo di un ‘popolo di destra’, fatto di brave madri di famiglia che ce l’hanno con Veronica perché ‘non lava in famiglia i panni sporchi’, di machi di borgata o dei Parioli, “fieri delle scopate dei loro leader, quasi potessero anche loro replicarle per interposta persona”, di schifiltosi pseudoliberali, “dimentichi della differenza tra ruolo pubblico e vita privata” e impassibili dinanzi all'”etica pubblica gettata alle ortiche”. Dall’altra, si descrive un “popolo di sinistra”, “individui, uomini e donne”, “che hanno sofferto amarezza profonda, se non disperazione”. E’ “il nucleo più profondo dell’animo collettivo e individuale della sinistra che è stato leso. Dalla caduta del Muro ad oggi quell’animo è stato sottoposto a una cura terapeutica che, se lo ha disintossicato dall’ideologia e dalla sua proiezione pratica più deleteria – lo stalinismo in tutte le sue forme – lo ha anche spogliato da illusioni, utopie e speranze troppo avanzate di riscatto economico” “In questa deriva una sola certezza è rimasta come valore di auto identificazione: l’essere dalla parte – ed essere parte – della gente onesta, per bene; di quelli che non hanno nulla da nascondere, che rispettano la legge, contano sulla Costituzione, pagano le tasse, magari perché ritenute con la paga, conservano qualche traccia di solidarietà”.
Si potrebbe fare della facile ironia su queste parole, ricordando quanto diceva don Benedetto dell'”aeropago delle persone oneste”, ideale politico che “risuona nell’anima di tutti gli imbecilli”, ma sorvoliamo sulle debolezze umane e sulle auto compiaciute rappresentazioni della propria tribù politica. E non ci sembra il caso di scendere sul terreno di Pirani e chiedergli se quella gente onesta ha mai avuto un serio dubbio sulla correttezza di imprenditori (legati alla sinistra e finanziatori dei suoi giornali) che rifilano alle amministrazioni pubbliche apparecchiature che neppure Burkina Faso avrebbe accettato, che socializzano le perdite aziendali e privatizzano i profitti, che vengono condannati in due gradi di giudizio e assolti con formula piena dalla Cassazione – con sentenze che fanno per lo meno discutere giacché la Cassazione non interviene nel merito dei giudizi di condanna ma solo sulle procedure–, sulla scandalosa distribuzione dei pani e dei pesci nelle cariche di sottogoverno, nelle nomine a istituzioni bancarie, culturali, assistenziali, ospedaliere, nelle promozioni interne etc. E’ un piano, questo, su cui un autentico liberale non intende porsi e non per ‘fair play’ ma per la ragione, assai più rilevante, che tutti quei fenomeni degenerativi altro non sono che l’effetto della colonizzazione della società civile da parte della politica: un’invasione barbarica, che trova la sua giustificazione teorica nella condanna del ‘capitalismo selvaggio’, nella diffidenza atavica (cattolica e laica) verso il mercato, nella spasmodica difesa dell”economia mista’ o a doppio settore, nel ‘socialismo liberale’, nell’economia sociale di mercato (nozione ancora più oscura di quella di ‘sussidiarietà’) e che si traduce in finte snazionalizzazioni destinate a rendere ancora più forti e malsani i legami tra politici e imprenditori privati. Il conflitto di interessi è certo una brutta cosa ma non lo era meno il fatto che una grande azienda, al tempo della Prima Repubblica, decidesse i suoi investimenti e le sue strategie non in vista del mercato ma con lo sguardo rivolto alla corrente democristiana con maggiori chances di vittoria nella competizione congressuale. Dire che con la Seconda Repubblica la situazione è mutata sarebbe raccontarsi barzellette.
Il “popolo di sinistra” di Pirani, nella migliore delle ipotesi, è un popolo orbo, che vuol vedere solo quello che gli fa comodo e che se include, per fare un esempio significativo, quei 150 mila precari che sono stati immessi in ruolo ope legis, tende a dimenticare, pur rispettosissimo com’è della Costituzione, che a norma di questa non si può accedere “senza concorso” ad alcun ruolo pubblico.
Diversa, va sans dire, la rappresentazione che del ‘popolo della destra’ vien fatta nell’articolo. E’ “gente” che ama e si identifica con Berlusconi “che ha suonato la campana del ‘liberi tutti'”. All’elettore del PDL, incalza Pirani, “cosa gliene importa del conflitto d’interessi, del ludibrio gettato sulla Magistratura? Anzi la condotta scandalosa, pubblicamente esibita, la degradazione dei palazzi del potere in luoghi di privato piacere, la promozione delle veline di turno, danno a tanti diseredati, ai rampanti in lista d’attesa, agli infiniti aspiranti alle innumerevoli ‘isole dei famosi’ il placet ‘che tutto se po’ fa’, la versione plebea dello ‘Yes, we can'”.
Credo che nessun esempio, più di questo, valga a mostrare il tratto più tipico dell’intellettuale militante italiano: la tendenza immarcescibile a sovrapporre alla realtà, alla vita vissuta, al senso comune un’immagine, in positivo o in negativo, che non trova alcun riscontro nell’esperienza quotidiana. Le considerazioni di Pirani fanno pensare al quadro a tinte fosche che, negli anni sessanta, veniva dato del fascismo: una dittatura spietata e sanguinaria abbattuta da una Resistenza ammantata dalle più elevate qualità dello spirito e dalle più alte virtù civiche. Alla gente comune, all’uomo della strada, all’impresentabile ‘uomo qualunque’, i conti non tornavano: nel regime aveva visto alcune ‘cose buone’ e, tra i resistenti, aveva conosciuto -o sentito parlare di- autentici gaglioffi. Per sua fortuna, a ‘riscattare’ i suoi ricordi, a dirgli che la sua mente non era poi così ‘inquinata’ da preconcetti depositativi ad arte dalla reazione sconfitta, sarebbe stato, in seguito, il più grande storico del fascismo, Renzo De Felice, che, nella monumentale biografia del duce, e in particolare negli ‘Anni del consenso’ avrebbe liquidato come ‘vulgata antifascista’ la demonizzazione del regime totalitario fatta dagli omologhi di Pirani.
L’esperienza comune ci mette dinanzi a tanti elettori del PDL – reclutati tra le libere professioni, nel ‘popolo delle partite IVA’, tra le piccole e medie imprese, tra gli operatori del settore commerciale, particolarmente oppresso dalle tasse, nella stessa classe operaia delle periferie un tempo vivibili e oggi degradate – che vota per Berlusconi, nella speranza (o nell’illusione) di non essere costretto a chiudere bottega com’è capitato in certi centri storici ad esercenti impossibilitati a pagare le imposte ( Se il fisco vuole 100 e tu sei disposto a dargliene solo 20, il fisco preferisce vederti fallire e rinunciare ai venti, pur di fare rispettare il principio che pagare le tasse è il più sacro dovere dei cittadini!). A quegli elettori le escort danno lo stesso fastidio che dà al ‘popolo di sinistra’ l’entrata in Parlamento di Vladimir Luxuria ma evidentemente, a ragione o a torto, ci sono cose per loro ben più importanti degli scandali e delle provocazioni sessuali.
Analogamente, l’esperienza ci fa imbattere in elettori del centro-sinistra – reclutati, soprattutto, tra i funzionari pubblici (professori, magistrati, diplomatici di carriera) e quel che rimane della classe operaia–ai quali non mancano buone ragioni per indignarsi: da certi disinvolti ‘stili di governo’ alla politicizzazione strumentale di scelte bioetiche per loro natura riservabili alla privacy, dal livello insopportabile di conflittualità con la magistratura alla tolleranza di determinati reati, dalla mancata riforma del settore radiotelevisivo al disinteresse per la ricerca scientifica etc.
Non c’è in Italia, non c’è mai stata, una ‘società civile’ che, con un taglio netto, abbia separato tutti i cattivi da una parte e tutti i buoni dall’altra. Il problema non è di uomini – onesti e disonesti, a destra come a sinistra– ma di istituzioni che costringano i nostri simili a “comportarsi bene”. Purtroppo, la riforma delle istituzioni non è una cosa semplice ed è ben per questo che non c’è alcun bisogno di ‘grilli parlanti’, di intellettuali militanti che abbiano in tasca la verità, di chierici che rivendichino il monopolio del ‘bene comune’. E’ drammaticamente vero quel che affermava il vecchio Karl Marx, che la storia si ripete, una volta come tragedia e l’altra come farsa. A fare della ‘virtù’ il principio dell’attività di governo, fu più di due secoli fa Massimiliano Robespierre, in Francia, e oggi… Antonio Di Pietro e Mario Pirani in Italia. Sic transit gloria mundi!
 
 
 

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