Pil: significati, paradossi, contraddizioni

30 Gennaio 2009

Enea Franza

 

Il Pil è soltanto una somma?  (I parte)

Nel suo interessante libro “I limiti della scienza economica”, Paul Ormerod , cosi riassume le sue osservazioni in fatto di Pil: “Di punto in bianco [nel 1980] la dimensione dell’economia, il Pil, aumentò del 20% … L’economia italiana restava esattamente tale e quale al giorno prima. L’unica cosa che era cambiata era la contabilità nazionale …”. A noi piace citare il passo di Ormerod, perché sintetizza con schiettezza il paradosso (ovvero, secondo la definizione che ne dà Mark Sainsbury, “una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile”), che tanta letteratura economica ha raccolto con riferimento al Pil.                                                  
Dopo siffatta “overture”, andiamo con calma e fissiamo gli obbiettivi della nostra analisi e ritorniamo alla domanda alla quale cercheremo di dare una risposta. Ovvero, il Pil costituisce o meno un valido indicatore dello standard di vita del Paese per cui è calcolato, e, soprattutto, confrontando il Pil di un Paese con quello di un altro, possiamo concludere che ad una crescita maggiore corrisponda una maggior ricchezza per i cittadini?                                                                                                           
Prima della crisi – quando la crescita degli Stati Uniti, secondo le misurazioni standard del Pil, pareva molto più consistente di quella dell’Europa – molti europei sostenevano che l’Europa dovesse adottare il capitalismo di stampo statunitense, anche attraverso una maggior deregolamentazione in particolare nel settore bancario. Chi si fosse presa la briga di verificare anche il crescente indebitamento delle famiglie americane avrebbe probabilmente rettificato la falsa impressione di successo trasmessa dalle statistiche sul Pil. Forse questo esempio può aiutarci più di mille parole a comprendere quanto sia utile capire innanzi tutto di cosa stiamo parlando, ovvero, in che cosa realmente si sostanzi una discussione che riguardi il Pil, e quindi, dell’importanza di comprendere con esattezza le informazioni che tale misura può darci. 
Senza un necessario approfondimento, infatti, non si comprende la ragione delle tante discussioni in essere sulla adeguatezza o meno del Pil ad esprimere la c.d. ricchezza delle nazioni. Ed in effetti, la letteratura economica sul Pil è piena di paradossi veri o presunti a seconda di come li vediamo. Si prendano ad esempio i c.d. costi del declino sociale, come il “crimine” ed i disastri naturali che, in quanto generano transazioni monetarie “positive”, vengono contabilizzati nel Pil come guadagni economici, addirittura tra le voci in aumento. Capiamoci meglio con un esempio: il crimine accresce negli USA il Pil di diversi miliardi di fatturato in quanto si traduce in spese utilizzate per le misure di sicurezza, la protezione del territorio, la detenzione, il risarcimento danni, le spese mediche ed i funerali. E’ intuitivo per tutti, tuttavia, che tali spese da un punto di vista non strettamente economico hanno ripercussioni negative sullo stato emotivo, psicologico e fisico degli individui e che queste cose non possono essere considerate indice di benessere di un Paese!                                                                                                   
Ma i paradossi non finiscono qui. L’esaurimento delle risorse naturali (petrolio, legname, ecc …) al contrario del capitale fisso (la cui svalutazione nel tempo, come vedremo in seguito, viene considerata nel Pnl) non viene contabilizzato e le c.d. esternalità negative come l’inquinamento danno luogo ad un duplice effetto: da un lato non vengono contabilizzati né come mali in sé né come perdite di benessere, dall’altro il costo del disinquinamento va ad aumentare il Pil . Approfondendo ancora, si scopre che altri problemi si pongono, inoltre, sul confronto dei miglioramenti in fatto di qualità per esempio il Pil non registra se siano state prodotte automobili migliori, ma solo numero maggiore di automobili. Pertanto, se produco migliaia di automobili difettose (e magari invendute), esse pur tuttavia aumentano ancora il Pil. L’assistenza sanitaria esemplifica forse molto bene questo problema. Gli Stati Uniti spendono più di qualsiasi altro Paese per l’assistenza sanitaria (sia pro-capite sia in percentuale rispetto agli utili), ma con risultati decisamente inferiori e con la conseguenza che forse almeno una parte della differenza tra il Pil pro-capite negli Stati Uniti e nei Paesi europei potrebbe essere dovuta alle modalità di misurazione adottate.                                                                                                                                                                   
Insomma, bisogna inoltre tener conto che il Pil fornisce misure qualitative di fenomeni essenzialmente qualitativi, come l’innovazione tecnologica: un Pil costante, ad esempio, non significa necessariamente che l’economia sia ferma, ma potrebbe anzi al contrario indicare che essa stia progredendo. Ad esempio la spesa per l’acquisto di computer può essere inferiore oggi rispetto a 10 anni fa, eppure i PC odierni sono molto più veloci e potenti. Un altro esempio ancora può essere dato dai TV color: quando questi sono stati introdotti, la produzione delle TV in bianco e nero è terminata, e non è detto che, raggiunto un buon livello di produzione, la TV a colori costi di più (al netto dell’inflazione) di quanto costasse quella in bianco e nero. 
Secondo molti, le considerazioni sul Pil sono così complesse e difficili in quanto coinvolgono il modello di sviluppo che vogliamo per un Paese e riguardano quindi ciò che si considera come progresso. Ma, è proprio il caso di ricordarlo, il concetto di sviluppo e di progresso non ha avuto (e non ha tutt’ora) un significato univoco e si intreccia con l’idea (personale e soggettiva) del fine ultimo dell’uomo e della civiltà. Se torniamo indietro nella storia per riscoprire nel corso del tempo come il concetto di sviluppo è stato interpretato, troviamo un’infinità di modi diversi e soggettivi, legati alla civiltà che lo sviluppa. Nella cultura Occidentale, in particolare, esso è stato di volta in volta identificato con il progresso, con la crescita, con la modernizzazione ed anche con l’industrializzazione. Se infatti, nell’antichità classica, per sviluppo si è inteso principalmente riferirsi in termini progresso spirituale , con pochissima (se non nessuna) attenzione al miglioramento delle condizioni materiali della società, con il mercantilismo (metà del XVII sec.) ed ancor prima in epoca rinascimentale, si matura la convinzione che il progresso materiale determini anche lo sviluppo dell’uomo concepito come fine per l’affermazione della potenza militare di uno Stato e quindi della sua egemonia territoriale. E’ con il Calvinismo e la riforma protestante che si ha un nuovo approccio allo sviluppo, dove vi è intima correlazione tra fede, produzione e ricchezza, secondo cui la crescita economica segue il volere divino. Con la cultura illuminista (XVIII sec.), invece, viene ad esaltarsi il ruolo dell’uomo e della concezione dello sviluppo inteso come modernizzazione, ovvero, ineluttabile evoluzione delle attività umane anche come dominio della natura.

[i] Edizioni di Comunità, Milano 1998

[ii] Leggasi in materia, “I limiti dello sviluppo”, redatto già nel lontano 1972 dal Club di Roma (titolo originale: “Limits to growth” – “I limiti della crescita”) e il recente “Happy Planet Index”, studio internazionale realizzato dalla londinese New Economics Foundation

[iii Il teorema” di Coase, frutto degli studi di Ronald H. Coase che lo pubblicò nel 1960 nell’articolo The Problem of Social Cost che gli valse il Premio Nobel per l’economia nel 1991

[iv] Si veda in particolare il terzo ed il quinto libro della repubblica di Platone, dove a proposito dei Guardiani della città, ovvero, dei guerrieri posti a difesa della città dove il le condizioni di vita, ispirate ad un rigoroso collettivismo, con la comunione dei beni e degli affetti, è alla base di una vita interamente dedicata al bene comune, ovvero, in Aristotele, Politica, nelle pagine dedicate alla  crematistica, l’arte che produce beni.