Il “caso Grecia” e la grande finanza. Speculazioni nascoste e nuove bolle finanziarie sono dietro l’angolo degli sportelli delle banche centrali?

19 Febbraio 2010

Enea Franza

 

Le insicurezze degli Stati e delle organizzazioni sovranazionali di fronte a una nuova stagione di speculazioni esponenziali, debiti camuffati e bolle finanziarie. La banche centrali non stanno a guardare… ma le banche centrali hanno alla loro base capitali di banche private…  

Il “caso Grecia” fra retrospettive e prospettive di timori e tremori davanti ai Leviatani della ricchezza

Stiamo assistendo a un attacco dei giganti della finanza internazionale all’euro? – Le banche d’affari Goldman Sachs e JP Morgan Chase hanno realizzato una fregatura in grande stile contro la Grecia? – La potenza di fuoco di queste multinazionali è difficilmente arginabile dalla forza di singoli Stati nazionali

 

Ragionando di economia, ci si dimentica molto spesso che dietro le questioni economiche ci sono innanzitutto gli uomini. Ovvero, persone fisiche con un cuore ed un portafoglio. Cosi, dietro la finanziarizzazione dell’economia ci sono degli uomini e delle strutture che operano a livello globale. Le più note – anche se non le più grandi in assoluto – sono senz’altro: Citibank, Goldam Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley …
Ma pochi analisti, davvero troppo pochi, si interessano di conoscere gli uomini ed i mezzi di cui dispongono queste vere e proprie fabbriche per far soldi, ingegneri della finanza, capaci di macinare miliardi di utili, ma anche di trascinare nel baratro le economie anche di grandi Paesi (e con loro, altrettante migliaia di centinaia di migliaia di uomini). Basti, ad esempio, il caso denunciato dalla Grecia e sulle cronache di tutti i giornali in queste settimane, che ha affidato la gestione del debito pubblico alle due grandi banche d’affari Goldman Sachs e la JP Morgan Chase. La storia ce l’ha raccontata il Der Spiegel, in un articolo considerato da molti un siluro lanciato contro la candidatura del governatore della Banca d’Italia Draghi (già con posti di alta responsabilità in Goldman Sachs) alla possibile candidatura alla poltrona della Banca Centrale Europea e ripreso anche dal New York Times[1].
La trama di una vicenda ancora dai contorni non ben chiari è, in sintesi, questa: la Grecia per poter aderire all’Euro avrebbe finanziato, con l’aiuto delle due grosse banche d’affari americane citate parte del suo deficit sulla sanità pubblica impegnando i futuri introiti sulle tasse aeroportuali, i pedaggi autostradali e gli incassi legati alle lotterie di stato e scontandoli ad un tasso fittizio; cosi facendo, i soldi arrivati alla Grecia non sono stati iscritti tra i debiti, ma risultano essere degli anticipi su ricavi futuri. Se i flussi finanziari futuri non saranno pari all’importo previsto, essi verrebbero rilevati in bilancio solo in futuro come nuovi costi da finanziare con più tasse, meno spese, ovvero nuovi debiti. In Europa, questa operazione (la c.d. cartolarizzazione), è regolamentata dalle autorità di Bruxelles che la considerano una forma di debito pubblico e, solo nel caso della vendita di immobili pubblici, il provento della cartolarizzazione non è considerato un debito, per quote frazionate nel tempo. Adesso, nel caso greco, sono state vendute  delle entrate pubbliche future e non degli immobili che non rendono. Le banche d’affari, peraltro, hanno venduto tale diritto alle entrate statali future inglobandolo in un prodotto finanziario venduto sul mercato con il risultato non apprezzabile che il governo greco non sa neppure chi sarà il proprietario delle sue entrate!  Insomma una fregatura bella e buona messa a punto da Goldman Sachs e JP Morgan Chase, con il fine di mascherare parte del debito[2] della Grecia (penso che tutti ricordano le modalità poco sagge della condotta fiscale del governo greco, a partire dal finanziamento delle olimpiadi, ma anche delle imprese e delle banche greche, impegnate molto seriamente nei confronti delle grandi banche specialmente tedesche, francesi ed inglesi) alle autorità comunitarie di Bruxelles e dalle conseguenze molto poco confortanti per lo stesso governo greco, che è adesso in balia di soggetti che possono speculare sul proprio debito.
Il bello è, poi, che a tali sotterfugi (tutti finalizzati all’ingresso nell’area Euro) sembra siano ricorsi anche Portogallo, Spagna ed Italia[3]. Il gossip finanziario non si limita però a questo, e non lascia soddisfatti i lettori; i pettegolezzi sono alimentati addirittura dall’intervento dello stesso leader greco Papandreu che incolpa la Goldman di aver giocato al rialzo, investendo da una parte in « credit default swaps»  e poi recandosi in Cina a discutere del debito greco con le autorità locali, dove avrebbe “suggerito” che la ‘carta’  greca avrebbe incontrato difficoltà a trovare compratori. Insomma, la Goldman (ricordiamo che è soprannominata in America la piovra) da una parte consiglia ai greci di cartolarizzare i propri debiti, eppoi va in giro a dire che quel debito non vale nulla! Proprio nulla da invidiare a vecchie e nuove telenovelas di successo, che tuttavia si arricchisce anche di ulteriori considerazioni sulle monete.
E’ un attacco dei giganti della finanza internazionale all’euro? Proprio questa è la domanda che i mercati si stanno facendo in questi giorni. Nel mese scorso, infatti, un’idea di fondo preoccupava i governi inglese ed americano. Pareva infatti, fino a metà gennaio, che la grande speculazione internazionale avesse preso di mira il dollaro e la sterlina rafforzando le due divise rispetto all’euro. Improvvisamente, il trend si è invertito e l’euro ha cominciato a scendere, spinto in basso dall’aprirsi improvviso del differenziale tra i tassi dei titoli di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna[4] (ma anche dell’Irlanda e dell’Austria) ed il tasso sui titoli tedeschi. Ecco che viene da pensare che si tratti di un attacco in piena regola contro l’euro che, partendo dalla Grecia, può evidentemente contagiare tutti gli altri paesi del Sud Europa e l’Irlanda e arriva a colpire anche l’Austria e la Svezia. In definitiva, si tratterebbe di una manovra speculativa condotta dalle grandi banche internazionali, per salvare molte delle quali sono andati in deficit i bilanci pubblici di numerosi stati.  Esse, allora, cercano in questo modo di guadagnare profitti veloci ?
Torniamo perciò alle domande che ci siamo posti all’inizio di questo scritto, ovvero quali sono le grandi banche d’affari, che nei fatti controllano la finanza globale. Un elenco è stato stilato di recente dal Financial Stability Board, presieduto da Mario Draghi, e redatto per  singole nazioni, comprende: Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Morgan Stanley, Bank of America, Merrill Lynch, Citigroup per gli USA; Mizuho, Sumitomo, Mitsui, Nomura, Mitsubishi, UFJ per il Giappone; Royal Bank of Canada per il Canada;  HSBC, Barclays, Royal Bank of Scotland, Standard Chartered, per la Gran Bretagna; UBS, Credit Suisse per la Svizzera;  Société Générale, BNP Paribas per la Francia,; Santander, BBVA per la Spagna; UniCredit, Banca Intesa per l’Italia; Deutsche Bank per la Germania e ING per l’Olanda[5].  
I soggetti bancari citati sono soggetti con assetto proprietario diffuso tra il pubblico e con una grossa partecipazione azionaria detenuta dai dirigenti ed impiegati del gruppo. Si tratta di gruppi che svolgono una differenziata attività nel settore finanziario, su scala globale offrendo una vasta gamma di servizi finanziari e consulenziali a investitori privati e società. L’organizzazione è gestita attraverso divisioni operative che rispondono alla casa madre, e con la logica della massimizzazione del profitto; la loro capacità di sfuggire ai controlli degli Stati è permessa dalla globalizzazione della finanza, consentita dalla liberalizzazione dei movimenti dei capitali.
Attualmente essi sono generalmente costituite in forma di holding bancarie[6]. Non è stato tuttavia sempre cosi. Vediamo alcuni casi. Il fallimento di Bear Sterns, Lehman Brother ed Merril Lynch, ha condotto, ad esempio, nel settembre 2008 anche le due ultime grandi banche d’affari rimaste in piedi, Goldman Sachs e Morgan Stanley, a diventare banche commerciali, ed esser così sottoposte alla vigilanza della Federal Reserve (la Banca Centrale Americana). Si è trattato, in effetti, di morire per sopravvivere: mutando natura i due istituti hanno avuto accesso ai prestiti di rifinanziamento (ed i controlli) della stessa Fed . Il sistema americano distingue, in effetti, banche commerciali con sportelli aperti al pubblico, dalle banche d’affari che, invece, solitamente si rivolgono solo a clienti industriali o commerciali Sulle prime, la vigilanza è più rigorosa e viene effettuata dalla Fed; le seconde godevano invece di minori vincoli e la vigilanza spettava alla Sec, o Securities and Exchange Commission, autorità di vigilanza sulla Borsa e la finanza. In Europa, questo dualismo non esiste. E ora, di fatto non esiste più nemmeno in America …
Una situazione non diversa vige in Svizzera. Lì dominano due banche, Ubs e Credit Suisse[7], anch’esse duramente colpite dalla crisi finanziaria e per le quali si è spesso parlato di fusione. Ubs è una banca privata, considerata uno dei big mondiali della gestione patrimoniale e dell’investment banking ed il Credito Svizzero (CS) è stato fondato nel 1856 ed è la più vecchia fra le grandi banche svizzere. Le autorità di controllo elvetiche hanno chiesto nel novembre del 2009 alle multinazionali finanziarie, come la citata Ubs, di trasformarsi in tanti istituti nazionali, operanti in diversi paesi e facenti capo ad un’unica holding. E ciò perché, in caso di crisi, il governo svizzero potrebbe così intervenire per salvare le banche elvetiche, lasciando che alle controllate straniere ci pensi la holding di controllo (ma una simile struttura, che obbligherebbe Ubs a salvare le sue controllate trovandosi le risorse necessarie sul mercato, non convince il colosso elvetico, il quale ha fatto sapere che se la proposta dovesse concretizzarsi, Ubs sarebbe costretta a trasferirsi all’estero). Il quadro non è diverso per gli altri grandi gruppi bancari globali. Insomma, soggetti fino a poco tempo fa con una maglia di controlli assai lasca, sottoposti a controllo più stringente solo da poco, soprattutto per poter usufruire dei denari pubblici.                               
Rafforzatisi e superato il momento di crisi con i soldi dei contribuenti, adesso le grandi banche possono disporre di un potenza di fuoco rinnovata e incrementata in grado di arrecare attacchi in profondità  difficilmente arginabili in un mercato senza frontiere in riferimento alla libera circolazione dei beni finanziari più che mai facilmente attraibili/adescabili, di fronte a cui la forza finanziario-economia complessiva e di attività di prevenzione  e smascheramento anti speculativa ed antielusiva, in particolare di piccoli e medi Stati nazionali, nulla può. E della possibilità di d’istruzione di indagini e processi con tempi certi e sanzio ni certe non conviene neppure pralare. Per intato, tanto per fare un esempio, ecco cosa abbiamo davanti: quanto ai conti 2009, che verranno pubblicati a marzo, Goldman Sachs si aspetta che il gruppo raggiunga un fatturato (in progresso del 50%) di 152 milioni di euro ed un Ebitda a 14,1 milioni, con un margine del 15,1%, mentre sembra che Goldman Sachs e JP Morgan Chase, che, per quanto è dato a sapere, hanno  aiutato la Grecia a mascherare l’entità del suo debito pubblico per un importo di poco superiore ai 300 miliardi di Euro, mettendo esso il Paese a rischio default, non si aspettano certo per questo bilanci in magro, anzi!

[1] In un articolo del 15 febbraio 2010.
[2]  il debito ufficiale ammonterebbe a 300 miliardi di euro, ma la consistenza reale è adesso dubbia.
[3] Scrive il NYT con l’aiuto di JP Morgan,  il governo italiano nel 1996 (governi Prodi e D’Alema) ha usato il derivato per portare il proprio budget in linea, con uno swap con JP a un tasso di cambio favorevole; in cambio, l’Italia si è impegnata a futuri pagamenti che non sono finiti nel bilancio come passività. La vicenda italiana aveva provocato code polemiche fino al 2001. L’operazione, come dichiararono ufficialmente sia il Tesoro italiano sia le autorità di Bruxelles, aveva superato l’esame di Eurostat, alla quale spetta la valutazione dei criteri per il calcolo del debito pubblico dei paesi europei e che ne aveva certificato la regolarità.
[4] Paesi anche denominati  PIGS con l’acronimo dispregiativo utilizzato per lo più nel 2008  da giornalisti economici britannici e statunitensi per riferirsi a quattro paesi dell’Europa meridionale: Portogallo, Italia, Grecia  e Spagna. Con l’espressione PIIGGS si aggiungono  ai Paesi mediterranei l’Irlanda ed Grand Bretagna.
[5] A tali gruppi, nella citata lista dei  too big to fail,  si affiancano anche i colossi assicurativi di Axa, Aegon, Allianz, Aviva, Zurich e Swiss Re.
[6] Il significato di holding è quello di cui allo U.S. Bank Holding Company Act del 1956, mutuato in pò in tutti gli ordinamenti OCSE
[7] Il Credito Svizzero (CS) è stato fondato nel 1856 ed è la più vecchia fra le grandi banche svizzere.