Obama e Dalai Lama: nella “Map Room” manca lo scenario mondiale futuro?

19 Febbraio 2010

Domenico Cambareri per Eulà

 

Obama, gli USA, il Dalai Lama e la Cina: dove sta il Tibet, dove sta il futuro del mondo?

L’incontro tra Obama e il Dalai Lama, ieri 18 febbraio, è dunque avvenuto alla Casa Bianca. Sono mancati il ricevimento del capo dei buddhisti tibetani nello studio ovale e la stretta di mano finale. Poche le cose intrinsecamente significative dette, nell’asciutto linguaggio diplomatico, come il «forte sostegno per la protezione della identità religiosa, culturale e linguistica del Tibet e per la protezione dei diritti umani per in tibetani in Cina» espresso da Obama e il suo sprone per continuare sulla difficilissima via del dialogo, da sempre ostruita dai cinesi. Non ci si poteva aspettare altro. Anzi, il non avere annullato l’incontro, già è tanto per l’amministrazione americana.

 

 

Cogliamo la differenza dell’impostazione data a tutta la questione da Obama rispetto a Bush, tuttavia, anche se al momento non ci si poteva aspettare altro, la linea di Obama risulta debole se continuerà a defilarsi o, peggio, a sottostare alle minacce cinesi. La sinizzazione del Tibet va denunciata a chiare lettere e senza mezzi termini. E’ una nuova forma di ultimo e aberrante colonialismo con insediamento etnico e sistematica distruzione dell’identità culturale originaria degli indigeni che ha espresso una delle più elaborate forme di eclettismo spirituale, religioso e artistico nella storia dell’uomo, in piena “sovranità” dalla cultura cinese coeva. Aberrante colonialismo frutto dell’incrocio pericolosissimo tra comunismo imperialista e nazionalismo etnico. Essa presenta altresì gravissimi risvolti geopolitici e strategici che hanno già apportato in maniera permanente un forte squilibrio nel cuore dell’Asia e determinerà più accentuate frizioni e con le etnie di religione islamica, più radicate attività di guerriglia e di terrorismo all’interno della stessa Cina da parte delle minoranze che vivono lungo i confini occidentali, e, soprattutto, una più accentuata corsa agli armamenti missilistici e nucleari con l’India. Lascia inoltre completamente aperto il contenzioso con Taiwan, cosa che costituisce la vera messa a nudo delle scelte contraddittorie USA oramai storiche ma non superate. Noi sappiamo che il dogma del “libero mercato” selvaggio, sponsorizzato e sostenuto dalle lobby americane più potenti  e dal WTO da loro controllato, getta molte delle sue carte sul tavolo in funzione degli affari con la borghesia finanziaria di Hong Kong e con il partito comunista cinese. Sappiamo che esso non bada ai “prezzi” che l’Occidente allargato – USA in testa – ha pagato, paga e pagherà in termini di chiusura di attività produttive medie e piccole, di disoccupazione, di costi socio-sanitari a causa dei prodotti scadenti e nocivi utilizzati dalle industrie cinesi. Il super dumping e il surplus dei falsi marchi di fabbrica che inondano i mercati mondiali, anche se ufficialmente scorretti e fuori dalle leggi del WTO e da quelle dei singoli Stati, sono fenomeni incontenibili, incontrollabili, e la loro azione di invasione risulterà davvero inarrestabile. Tutti questi aspetti, per quanto afferenti ad altri contesti, dovrebbero portare a far optare per una visione politica d’insieme più unitaria e univoca i governi dell’Occidente, USA a livello comprimario, l’Unione Europea e le alleanze e le organizzazioni politiche più diverse, anche quelle che vedono come coprotagonisti Giappone e Corea del Sud. Il rischio della sinizzazione economica e politica diventa sempre più un qualcosa di reale, con tutte le implicazioni che esso impone, soprattutto quelle che vanno dallo spionaggio tecnologico a quello di colpi di coda di risorgenti forme di comunismo ad Occidente, traenti nuove e diverse forme d’ispirazione. Non ultimo, infine, la capacità reattiva che il mondo islamico sarà costretto a dare in Asia e in Africa. Di tutto questo, pare che oggi non si tenga minimamente conto. A meno che non si sia già scelta come più conveniente la via della destabilizzazione accentuata da parte dei magnati occidentali. In un mondo di così accentuate asimmetrie, certo non potrà essere ancora la Nato a risolvere faccende e problemi. E poi, certo che Pechino non lo accetterebbe. Questo, sin da adesso è un dato pregiudizievole, come lo è l’aver voluto emarginare, gli USA di Bush, la Russia al di là dalle aspettative fatte nascere. E, in tutto questo, il Tibet è qui a ricordarcelo e a tenerlo ben fermo nella nostra mente e nella nostra coscienza.

 

Sul Tibet, vedi L’Europa della Libertà dell’ 8 marzo 2009