Pio Filippani Ronconi: il cuore nell’Asia, l’intelletto ovunque, la passione per le parole non di meno. Sino a fare smarrire gli sprovveduti

24 Febbraio 2010

Domenico Cambareri

 

In memoria di Pio Filippani Ronconi                                                                                                             

Il credo guerriero e l’amore delle lingue e dei popoli nella vita di un genio

L’undici febbraio è morto uno dei maggiori orientalisti al mondo, figura ricca di contrasti a suo modo ludici e di scelte cruciali nel momento della deriva e della guerra civile. Un personaggio che darà filo da torcere a chi tenterà di decifrare gli aspetti più riposti della sua personalità

 

Ottantanove anni, una cultura sterminata, un passato avventuroso tra le asperità della guerra civile e del dopoguerra che cavalcava con insuperabile maestrìa e incontenibile appagamento di sé per il fascino e per lo scandalo che amava trasmettere nell’animo degli ascoltatori. Amava colpire con parole e immagini di pieno affondo emozionale, come con le sciabolate dei cavalieri o con i fendenti delle katana dei ronin. O con i pugni dell’atleta ellenico che atterrava l’avversario, arti che lo affinavano nella concentrazione in maniera insuperabile, nel suo raccontare aspetti della sua vita intellettuale e sportiva o anche nell’esibizione personale fornita all’ascoltatore che poteva restare incantato. Fu “Waffen SS” alla fine della guerra, senza avere occasione di combattere con questa divisa. Personaggio non amato se non avversato e disistimato dai suoi avversari, cosa di cui apertamente si compiaceva, Pio Filippani Ronconi ebbe a dimostrare la bizzarria del carattere del genio. Di tutto ciò i tanti presunti estimatori e i non meno numerosi deprezzatori non si sono mai accorti. Orientalista tra i maggiori al mondo, degno dei migliori allievi della scuola dell’insigne Giuseppe Tucci, ha dimostrato di padroneggiare le più disparate lingue e civiltà dalla Cina all’India (teneva sempre a precisare che una sua nonna era un principessa indiana) al Libano islamico, con traduzioni che per gli specialisti rimangono ancora oggi testi di riferimento. Ha sempre messo l’accento sul ruolo fondamentale svolto nei meandri più segreti e profondi della categoria del numinoso da ciò che nel nostro percorso storico individuiamo, nel solco platonico-plotiniano, come mistico e inconoscibile e come teologia negativa e non in una qualche cieca irrazionalità ed ha affermato che una linfa vitale di tale ricerca e via estatica è presente nel cristianesimo ortodosso. Non di meno, ha esaltato la funzione dell’azione eroica per avvicinarsi a queste esperienze liminali, come con altra esperienza visse durante il primo conflitto mondiale Ernst Junger e come è in particolare testimoniato dalle mitologie e dalle epopee indoeuropee ed estremo-orientali. Ma l’enfasi turbinosa della sua parola ha tracciato spesso nuvole in cui molti si sono facilmente e con partecipazione lasciati irretire, spesso con atteggiamento affatto superficiale e puerile, senza distinguere e senza contenere il ruolo fascinoso dell’arte del verbo, con sicuro diletto del genio, dalla specifica e irraggiungibile méta della categoria eroica nell’ambito della quotidianità affatto ordinaria e della pseudo simbolica ideologica. Nel vanto delle tradizioni quasi millenarie del suo casato di conti, cristiano ortodosso e non cattolico si è proclamato, come cristiano ortodosso è stato celebrato il suo rito funebre a Roma. In memoria di un uomo che mi dette suggerimenti, immagini e idee forti per mie riflessioni che ancora oggi ritengo preziose.