Pil: significati, paradossi, contraddizioni (quattro)

28 Febbraio 2010

Enea Franza

Il Pil è soltanto una somma?  (IV parte e ultima)

Problemi aperti e insoluti –  Le  valutazioni sulla distribuzione della ricchezza interna e  sulla reale partecipazione alla sua  formazione –  Il tasso di cambio  come parità di potere d’acquisto – Accontentarsi delle indicazioni meno generalizzanti  e meno fluttuanti sulla misurabilità del prodotto, ad esempio, ma non di quelle sulla reale misura del benessere e sulla sua esemplificata comparabilità
(La prima parte è stata pubblicata il 30 gennaio 20109, la seconda il 4 febbraio, la terzail 17 febbraio) – Se passiamo, poi a comparare i Pil di Paesi diversi, occorre osservare che innanzitutto non è possibile confrontare direttamente il prodotto fra più Paesi, ma per isolare l’influenza della popolazione sul confronto, bisogna calcolare il Pil pro capite, ovvero dividerlo per il numero degli individui. Dal rapporto scaturente (pil reale/popolazione) si ottiene il valore medio della ricchezza prodotta da ogni singolo individuo. Dato il PIL italiano del 2005 e del 1995 e la popolazione italiana rispettiva, otteniamo il PIL reale pro capite, che è stato pari a 18.920 euro nel 1995 ed a 20.341 euro nel 2005: vale a dire, il valore medio per individuo della produzione ottenuta nell’economia italiana nel 2005 è stato di 20.341 euro.
Peraltro, nel calcolo del Pil ogni singolo Paese adotta particolari criteri per la valutazione di Prodotto, che conseguentemente minano un reale confronto delle performance degli Stati.  Un ulteriore  problema  che si pone fa riferimento al tasso di cambio da adottare per rendere omogenei i dati: convertire tutti i dati in un’unica valuta (solitamente in dollari americani) secondo il tasso di cambio nominale può essere fuorviante, in quanto esso solitamente riflette, oltre a quelli reali, aspetti speculativi dell’economia. Ad esempio, il tasso di cambio certo per incerto di un PVS può essere artificialmente gonfiato da ondate speculative sul mercato internazionale delle valute. Un tasso di cambio come la Parità dei Poteri d’Acquisto (PPP) potrebbe essere più adeguata, tuttavia il calcolo della stessa PPP è assai problematico. Inoltre, in un Paese potrebbero esserci prodotti che non esistono in un altro  e viceversa.
Fino ad ora abbiamo cercato di spiegare cosa sia in realtà il Pil e come si arriva ad farne un calcolo,  abbiamo visto come sia in realtà molto più approssimativo di quello che in prima approssimazione possa sembrare. Tuttavia, se preso come parametro di misura della produzione, tale valore, può considerarsi sufficientemente esplicativo di quello che il Paese ha generato in termini di beni e servizi in un anno: più produzione significa che si è generato più reddito e quindi che è possibile una maggiore spesa.
La questione, invero, si complica quando da tale valore vogliano ottenersi informazioni ulteriori e non proprie quali il progresso o meno del Paese. Penso  ad esempio alla questione del benessere di un Paese misurato dal Pil pro capite. Tale valore non ci informa, tuttavia, di come la ricchezza sia concentrata. A tal fine, si usa fare il rapporto fra il 10% della popolazione più ricca ed il 10% della popolazione più povera, ottenendo,  in questo modo, un indice della polarizzazione dei redditi. All’aumentare di questo valore (rapporto), aumenterà anche la disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Non è questo, tuttavia, l’unico modo di ottenere informazioni più serie del benessere di un paese. Un altro strumento utile è costituito dalla curva di Lorenz, che mette, invece, in evidenza la quota di reddito posseduta da fasce via via crescenti di popolazione. Se il reddito fosse distribuito in maniera uniforme, la curva coinciderebbe con la retta a 45° uscente dall’origine. Poiché invece la distribuzione effettiva dei redditi implica sempre qualche disuguaglianza, la curva assume una forma concava. All’aumentare della difformità della distribuzione, aumenterà anche la concavità[i].
Benché l’introduzione del Pil pro capite elimini l’influenza della numerosità della popolazione sul Pil e dia in un certo modo una misura più accurata della ricchezza degli abitanti di una nazione, nulla ci  dice su come realmente il Prodotto Nazionale sia effettivamente suddiviso fra di essi. Infatti il reddito mediano (che bipartisce la popolazione in 2 parti uguali) non coincide col reddito medio. Ad esempio nei Paesi dell’UE la quota di reddito nazionale appartenente al 10% più povero della popolazione si aggira attorno al 3%, mentre quella del 10% più ricco supera il 20% e nei PVS queste differenze sono notevolmente più marcate. Ciò significa che vi sono diseguaglianze in crescita tra i guadagni medi (intermedi) ed il guadagno medio (ossia quello della persona «media», i cui redditi si collocano a metà nella scala di distribuzione dei guadagni). In definitiva se un gruppetto di banchieri si arricchisce, il guadagno medio può salire, anche se la maggior parte dei guadagni individuali scende. Pertanto, le statistiche del Pil pro-capite possono non riflettere correttamente ciò che la maggior parte dei cittadini sperimenta.
Ma tutti questi calcoli a cosa portano?  Bene, è ora di riportare il discorso al punto in cui eravamo partiti nel senso che se si vuole misurare quanto si sia prodotto, il Pil – pur con accorgimenti e molte precauzioni – può essere uno strumento utile. Ma se da questo si vuole dedurre una misura del benessere, siamo davvero fuori strada e i tentativi di aggiustamenti del Pil attraverso rettifiche che tentino di misurare i danni dello sviluppo si avvitano in una valutazione del benessere sociale che non porta – a nostro avviso – da nessuna parte. Viceversa, il pericolo vero viene dall’aver consegnato le politiche economiche dei Governi e gli investimenti finanziari alla logica quasi esclusiva che si esprime in termini di Pil, logica che si andata affermando negli ultimi anni. Ed i vincoli di bilancio imposti dal trattato di Maastricht  ne sono un scintillante esempio …

[i] L’area tra la retta e la curva descritta dalla distribuzione effettiva, dà una misura della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi