Giustizia civile, giustizia italiana cosa saranno mai per un calcolo basato sull’ interesse?

23 Aprile 2011

Enea Franza

 

Il tempo è denaro? Una soluzione per la giustizia giusta con finale aperto

Analisi delle scelte razionali nella condotta in sede giudiziaria basata sulla mera convenienza economica e riflessione sulla inconcludenza morale di un sistem giudiziaro reso un vuoto a perdere

 

 

 

 

 

Tanti sono gli articoli e gli studi che circolano sulle nostre scrivanie e che ci dimostrano, oramai ossessivamente da decenni, che la Giustizia italiana è al collasso e che non funziona. Chi ha la fortuna di non essere ancora incappato nella sua terribile rete e che coltivi l’ambizione d’incamminarsi nell’irto sentiero della ricerca delle tante cause del malfunzionamento, deve – a parere nostro – fare un passo indietro.
Pensiamo che sia prima utile ragionare, infatti, su quale è il modello di giustizia a cui tutti oggi, consapevolmente o meno, ci ispiriamo. Per non complicarci troppo la vita, limitiamo le nostre argomentazione solo alla giustizia civile.
Ritengo doverosa questa sommaria premessa, perché le medicine da adottare, o meglio, le cure che auspichiamo per l’amministrazione della giustizia, non possono prescindere dal focalizzare bene quello su cui stiamo in effetti discutendo. L’idea che mi sono fatto (e vi prego di correggermi se sbaglio) è che quella che oggi si intende per Giustizia è in realtà una visione parziale e relativa, ovvero, oggi la giustizia viene comunemente interpretata come equità, equilibro tra interessi diversi e contrapposti e l’amministrazione della stessa si adegua a tale principio. Siamo tutti lontanissimi da un’idea di giustizia (… magari universale) che fino a qualche anno fa ha animato molte delle lotte dei nostri padri. Mi spiego meglio e per farlo riprendo un esempio tratto dal libro Una teoria della giustizia (un libro del 1971 edito da Feltrinelli, Milano, 2008 ) di John Rawls, il padre del c.d. neocontrattualismo.
Immaginiamo ora che un gruppo di individui, privati di qualsiasi conoscenza, ovvero, in una posizione originaria e sotto un velo d’ignoranza;Ebbene, in condizioni simili, sostiene Rawls, anche se fossero totalmente disinteressati gli uni rispetto alla sorte degli altri, le parti sarebbero costrette dalla situazione a scegliere una società gestita secondo criteri equi. Dice Rawls: ogni persona ha un uguale diritto alla più estesa libertà fondamentale, compatibilmente con una simile libertà per gli altri ed in secondo luogo che le ineguaglianze economiche e sociali sono ammissibili soltanto se sono per il beneficio dei meno avvantaggiati. Ciò porterebbe secondo Rawls ad un risultato equo: nella società nessuno avrebbe né troppo, né troppo poco.
Bene che siate d’accordo o meno è, tuttavia, proprio questa (limitativa) l’idea di giustizia che le tante discussioni cui assistiamo oggi sotto intendono. Vediamolo. Per farlo torniamo al fulcro del discorso, ovvero, al non funzionamento della giustizia civile Italia.
Delle tante possibili cause, a sentire gli esperti2 la causa principale sembra derivare dall’alto numero delle istruttorie che pendono nei tribunali italiani. Tali giacenze, hanno generato, per via della difficoltà di un rapido smaltimento,ulteriori ricorsi ingenerati proprio da tale lentezza. Insomma la causa del tracollo sembrerebbe la lentezza nella trattazione delle cause, che spinge chi è in torto a preferire la via del giudizio civile, invece che pagare il proprio debito. L’idea è che alla fine, male che vada, si pagherà meno del dovuto. Spieghiamoci meglio con un esempio.
Supponiamo un debitore ,Antonio, che per comodità chiamiamo A, ed un creditore, Bruno (ovvero, B) ed un danno del valore pari ad un capitale (C) pari a 20 e supponiamo che A sia consapevole che la somma C sia equa e dovuta a B. Le scelte possibili di A sono: 1. ammettere il debito e pagare la somma; 2. negare il debito ed indurre B a citarlo in giudizio. Nel caso 2 si possono verificare due scenari: 2a. il processo si chiude con una condanna al pagamento della somma C a carico di B; 2b. il processo termina senza sentenza perché A e B si accordano per una somma inferiore a C oppure perché B abbandona la causa. Di fronte alle alternative si ha: – se A sceglie la prima alternativa, paga tutta la somma C e perde gli interessi di mercato sulla somma C per tutto il tempo della durata del processo. Le alternative, se A nega il debito, ricordiamolo, sono due. Ebbene se sceglie 2a paga tutta la somma C, gli interessi al tasso legale della somma C per tutta la durata del processo e una parte delle spese processuali di B. Bene se gli operatori hanno come obbiettivo la massimizzazione del loro profitto, A preferirà 1 a meno che la differenza tra il tasso di interesse di mercato e quello legale non è tale da rendere il costo opportunità di 1 uguale o superiore al costo atteso di 2°. Se sceglie 2b, A paga parte della somma C o nulla. A preferirà 2b a meno che la probabilità che B accetti un accordo o rinunci alla causa sia inferiore alla probabilità che si arrivi ad una condanna al pagamento di tutta la somma C con gli interessi legali della somma per la durata del processo. Dato che non è possibile prevedere esattamente se si verificherà lo stato 2a oppure lo stato 2b le alternative possibili restano 1 e 2. Comunque sia la scelta è in funzione del tasso di interesse di mercato e della probabilità delle due alternative possibili. L’incertezza è connessa alle previsioni che A deve formulare sulla durata del processo, all’andamento delle variabili rilevanti per decidere ed alla stima delle previsioni di B in merito alle medesime variabili. Il valore delle probabilità associate agli eventi è in funzione della forza contrattuale di B che, a sua volta, dipende da quattro variabili: 1. la quota delle spese processuali che gli vengono rimborsate da A, 2. il tasso di interesse legale, 3. il tasso di interesse di mercato, 4. la durata attesa del processo. Tra queste la maggiore incertezza per A è data dalle attese di B sull’andamento del tasso di interesse di mercato. Un alto grado di imprevedibilità circa l’andamento dei tassi di mercato, per il periodo di durata della causa, introduce un’elevata incertezza circa le previsioni della controparte in merito alle perdite e ai guadagni legati al termine del giudizio, rendendo lo spazio di contrattazione talmente ampio da precludere l’accordo tra le parti. Proseguendo in questa analisi, si può dimostrare che vi è una soglia di durata dei processi oltre la quale il mercato non può sopravvivere poiché nessuno ritiene profittevole adempiere ai contratti.
Bene tutta la questione che, in realtà, di per sè ha un senso. Essa lascia tuttavia irrisolto il problema principale. Ma perché si è creato l’ingolfo ? Cioè, ci sarà pure stata una causa originaria che ha portato ad un primo accumulo e sulla base del quale si è innestato il circolo pernicioso. Ma le analisi non danno una risposta su questo, pur interessante, punto! Un’idea noi ce l’abbiamo – ma non ci sono i soldi per condurre una ricerca seria che lo possa dimostrare. L’idea, tutta da verificare, sta nella complessità e sovrapposizione delle norme prodotte dai vari legislatori (Europa, Stato e Regioni in primo luogo e, poi, a seguire la pletora delle disposizioni applicative emanate da un’infinità di organi competenti…) e nella assenza di una funzione chiarificatrice della produzione legislativa che gli alti vertici della magistratura non svolgono a sufficienza.
Ma lasciamo correre e veniamo al punto. Senza andare troppo per il sottile, il legislatore ha scelto la strada di smaltire l’enorme arretrato della giustizia civile aprendo la via della conciliazione obbligatoria, prima di addivenire ad un processo vero e proprio. Allora, riassumendo, partendo dai presupposti da cui ci si è mossi, l’equazione giustizia uguale equità è divenuta: la giustizia per essere giusta deve essere rapida, altrimenti – almeno quanto alla giustizia civile – giustizia non è. Bene. mi basta cogliere un punto sulla questione. Come si vede, anche qui il denaro, da sempre strumento di compensazione della giustizia civile, è divenuto adesso arbitro stesso ed elemento capace di integrare l’idea del giusto.
Mi viene in mente, per il profondo contrasto che vendo tra questo modo “moderno” di richiamarci alla giustizia, quel che invece diceva sant’Agostino: “Finché dunque, esuli e lontani dal Signore, cammineremo in stato di fede e non ancora di visione, per cui è scritto: Il giusto vivrà per la sua fede, la nostra giustizia durante lo stesso esilio consiste in questo: che alla perfezione e pienezza della giustizia, dove nella visione dello splendore di Dio sarà ormai piena e perfetta la carità, noi presentemente tendiamo con la dirittura e la perfezione dello stesso correre, cioè castigando il nostro corpo e costringendolo a servire , facendo lietamente e cordialmente le opere di misericordia, sia nel prodigare benefici, sia nel perdonare i peccati commessi contro di noi, e attendendo incessantemente alle orazioni e compiendo tutto questo nella sana dottrina, sulla quale si basa l’edificio della fede retta, della speranza ferma, della carità pura. Questa è per adesso la nostra giustizia con la quale corriamo affamati e assetati verso la perfezione e la pienezza della giustizia per esserne poi saziati”.
Come si vede facilmente due mondi, due visioni del vivere separati in modo oramai non più riconciliabile. Ma, domando, è questo un mondo ancora a misura d’uom ?