Mini: dalla spazzatura di Napoli alle grandi vie di comunicazione. Un caos, e c’è chi ci sguazza

10 Luglio 2011

Mino Mini

 

Civiltà dei consumi e regressione geopolitica

NIMBY E DECLINO

 

“ La città è la maestra dell’uomo” scrisse Simonide dell’isola di Ceo (oggi Kea) 555-467 a.C.,poeta lirico contemporaneo di Pindaro e maestro di Bacchilide, quando, un tempo lontano, la civiltà greca, uscendo dall’età arcaica, illuminava il mondo. Aveva chiaro il senso della “poleis” organismo simbiotico di uomini e ambiente –urbano o territoriale- al punto che nel 480 a.C., quando Leonida con i suoi trecento opliti e settecento alleati tespiesi si sacrificò opponendosi ai duecentocinquantamila invasori persiani, ne esaltò l’eroismo come forma di obbedienza alle leggi della città. Ne fa fede il celebre epigramma leggibile sull’epigrafe che fu posta al passo delle Termopili e tramandata a noi da Erodoto:
“Viandante, annuncia a Sparta che qui
giaciamo in obbedienza alle sue leggi”
Altri tempi, evidentemente, ed altri uomini per i quali la “dignitas” , la considerazione in cui l’uomo tiene se stesso, si traduceva in comportamento civicamente responsabile spinto fino al sacrificio di sé.
Oggi, in questo tempo dei cyborg moralmente indigenti che popolano le nostre città dobbiamo, invece, assistere a due fenomeni che denunciano il declino della nostra civiltà: la catastrofe dei rifiuti a Napoli e la vicenda della TAV nel corridoio V° paneuropeo.
Cominciamo dalla prima.
“Masse di immondizie, rifiuti e melma nauseabonda sono sparse dappertutto, in mezzo a pozzanghere permanenti; l’atmosfera è ammorbata dalle loro esalazioni e oscurata e appesantita da una dozzina di ciminiere; in un’atmosfera che pare di proposito asfissiante, questa razza deve realmente aver raggiunto il gradino più basso dell’umanità”
Ciminiere a parte non è un odierno reportage sulla Napoli di Bassolino e Iervolino. E’ Friedrich Engels che descrive Manchester ne La situazione della classe operaia in Inghilterra (1844). Mediti chi vuole.
Chi conosce i napoletani sa quanto stesse loro a cuore essere considerati accorti. Avremmo potuto un tempo, parafrasando Simonide, adattare il suo epigramma per esprimere il loro supremo convincimento: Vuie ca passate, dicite a ‘o munno c’a ccà nisciuno è fesso. Oggi, ad essere perfidi, dopo aver constatato come, per diciotto anni, si siano dati un’amministrazione di centrosinistra e per riscattarsi abbiano scelto di mettersi nelle mani di De Magistris per ritrovarsi, poi, sommersi dalla monnezza, riteniamo sia ormai convinzione diffusa che i napoletani – quanto a fesseria – siano imbattibili.
Ma lasciamo stare e vediamo, invece, il fenomeno sotto il profilo urbanistico e territoriale prestandosi Napoli ad assumere il ruolo di esempio negativo.
Come comune ha una popolazione residente di 1.004.500 abitanti, ma chiunque abbia visitato anche superficialmente l’area napoletana si sarà reso conto quanto sia astratta, fuori della realtà, la definizione amministrativa di comune per un “continuum” edificato che si estende per tutti i 1.171kmq della provincia di Napoli ed anche oltre. Angosciante realtà territoriale frutto dell’antica connivenza del potere inquirente nei confronti dell’abusivismo nonché dell’edificazione selvaggia attuata in barba a qualunque piano urbanistico. L’insegna fu quell’involontario aforisma espresso da un vecchio ingegnere napoletano di cui si è perso, nella mia memoria, il nome: ‘o piano regolatore serve pe’ cchi nun se sape regulà”. Ci vollero, infatti, venti anni per approvarne uno. Un fenomeno antico se Francesco Saverio Nitti nel 1903 ebbe a definire i comuni dell’area metropolitana “una corona di spine che attorniano la città e la soffocano” . La stessa corona che oggi forma, con i suoi 92 comuni, un’unica conurbazione ospitante 3.080.873 abitanti. Una realtà fortemente antropizzata, la più densa d’Europa (2632ab/kmq) che può paragonarsi ad uno dei formicai orientali tanto che in alcuni suburbi la concentrazione raggiunge punte di 8.194 ab/kmq. Per avere un termine di confronto si consideri la più grande megalopoli del mondo, la conurbazione Nord-Est degli Stati Uniti d’America, che raggruppa 50 milioni di abitanti: ha una densità di appena 300 ab/kmq. Per rimanere in Italia: Napoli ha una densità quattro volte quella di Roma (778 ab/kmq), nove volte quella di Firenze, dieci volte quella di Palermo.
Diamo vita a questa terrificante immagine territoriale e catastrofe urbanistica introducendo in essa un soffio di civiltà. Non quella di Simonide, ovviamente, ma quella dei consumi che il totalitarismo economicista ha imposto al mondo dei cyborg. Facciamo un po’ di conti: un abitante italiano e quindi –nella fattispecie- napoletano alla fine del suo personale processo consumista produce, mediamente, 1,47 kg al giorno di rifiuti, ovvero 536,55 kg all’anno. Una elementare moltiplicazione ci dice che la conurbazione produce 1.653.042.408 kg anno di rifiuti. Per rendere meno duro l’impatto di un numero così spaventoso, esprimiamolo in tonnellate: 1.653.042 t. anno. Vediamolo in termini di volume: sono 1.944.755 mc. pari a circa 122 edifici di sette piani lunghi 65,66 metri e larghi 12 metri per 5.478 appartamenti. Uniti insieme formerebbero un muro alto 25 m. e lungo 8 chilometri. In buona sostanza la conurbazione deve smaltire ogni giorno 4.529 tonnellate ovvero 5.328 mc.
Resa l’idea?
Ovviamente sorgono le domande: come? dove?
Come: il sistema più primitivo è quello di buttarli in una discarica e lasciarli lì come si fa nei paesi del terzo mondo. In questo mondo, invece, le discariche dovrebbero essere progettate in ragione dei tre tipi di rifiuti che debbono accogliere (inerti, non pericolosi, pericolosi) e in ragione di un determinato volume di rifiuti. Devono essere foderate con geomembrane per evitare fenomeni di inquinamento del suolo e delle acque sottostanti il sito e dotate di centraline di rilievo dei dati meteo climatici. Se progettata e costruita correttamente, una volta “fatto il pieno” di quella predeterminata quantità di rifiuti, gli stessi devono essere posti sotto sorveglianza continua per almeno trenta anni dopo la sua chiusura. Poco meno che una centrale nucleare dismessa. Quante discariche ci vogliono per smaltire i quasi due milioni di metri cubi annui dell’area napoletana?
C’è un altro sistema di smaltimento: l’inceneritore o, come ipocritamente ed inopportunamente viene chiamato, il termovalorizzatore. Abbisogna anch’esso di discariche per la prima fase di raccolta e di imballaggio – le famose eco balle o CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti) –ma smaltisce velocemente e consente anche il recupero energetico dovuto alla combustione per riscaldare vapore da immettere in apposite turbine per produrre elettricità oppure per il teleriscaldamento di quartieri urbani. Sembrerebbe la soluzione ideale, ma viene osteggiato perchè produce fumi, ceneri e rifiuti pericolosi, pari al 10% in volume e 30% in peso del rifiuto incenerito, che abbisognano di essere smaltiti anch’essi in discariche controllate.
De Magistris punta invece ad un altro sistema di smaltimento: Il riciclaggio dei rifiuti imposto dalla normativa europea e che presuppone la famosa raccolta differenziata attuata da utenti responsabili dopo essere stati irresponsabili consumatori. Campa cavallo …
A parte ogni considerazione sui vantaggi dei diversi sistemi di smaltimento dei rifiuti va precisato. per quanto una società possa essere educata a tendere verso la minore produzione di rifiuti ed al contempo al loro massimo riutilizzo e riciclaggio, non potrà mai fare a meno di un certo numero di discariche. Anche e soprattutto nel sistema del riciclaggio dei rifiuti.
E quì si presenta il secondo problema: dove collocare le discariche nell’area napoletana posto che la forte antropizzazione del territorio, accompagnata da un sempre attivo abusivismo edilizio, rendono difficile la individuazione di aree idonee? Sarebbe stato compito della pianificazione urbanistica la individuazione di siti di smaltimento rifiuti posto che si tratta di una fondamentale attrezzatura pubblica di interesse generale alla stregua di quelle previste per le zone F dal vetusto D.I. 2 aprile 1968 n.1444. Purtroppo la carenza della legislazione urbanistica sul tema ha portato oggi, e non solo a Napoli, alla situazione che vede il popolo cyborg – amministratori ed amministrati – farsi prendere dalla sindrome di NIMBY (Not In My Back Yard) –Non nel mio cortile – allorchè si tratti della individuazione delle aree per le indispensabili discariche o per la realizzazione degli inceneritori. Moralmente indigente, come appunto lo avevamo qualificato in apertura, il popolo cybernapoletano rispolvera il vecchio metodo del “chiagni e fotti”, corollario del citato “ccà nisciuno è fesso”, per pretendere che a farsi carico dello smaltimento dei rifiuti, per decreto governativo siano le altre regioni d’Italia. E quando il governo, mediante il richiesto decreto, statuisce la possibilità di trasferire i rifiuti solidi in altre regioni, il neo-sindaco –come da copione- si mette subito a “chiagne”: ci aspettavamo che il governo facesse qualcosa per Napoli e non l’ha fatto. Il decreto è deludente e pilatesco. Detto senza rossore.
D’altra parte di che meravigliarsi? Dignitas non è più un valore morale, ma un’associazione svizzera per il suicidio assistito con sede a Forch e di conseguenza la civiltà urbana è in declino: dalla gloria di ex capitale di un regno a parassita di una repubblica federalista. Sic transit …
Veniamo alla vicenda della TAV.
Non ci riferiamo alle contestazioni in Val di Susa mosse, all’inizio, dalla citata sindrome di NIMBY poi deviate da gruppi anarco-nichilisti votati alla distruzione dell’universo mondo a loro volta strumentalizzati e finanziati da poteri destabilizzatori. Per una volta anche UDC e PD hanno appoggiato l’azione del governo che ha riaperto il cantiere della galleria al villaggio Maddalena e, al momento in cui scriviamo, lo sta difendendo dai ripetuti attacchi del teppismo organizzato anti italiano.
Quello che sconcerta, piuttosto, è l’atteggiamento del ministro bifronte Altero Matteoli il quale ha plaudito l’azione di Maroni in Val di Susa, ma ha frenato sulla realizzazione della TAV Milano-Venezia in quanto “i costi sono notevolissimi e non si può dire di avere la certezza economica che l’opera verrà realizzata”. Immediata è stata la reazione dei veneti che hanno rispolverato il repertorio dei vecchi slogans separatisti ( e te pareva!) e si è riaffacciata – incazzatissima – la galassia dei vari movimenti separatisti: Veneto Stato (niente di meno), Autodeterminazione del Popolo Veneto, Partito dei Veneti, Intesa Veneta, Unione Nordest. Per comprendere queste reazioni e l’insipienza del ministro delle infrastrutture è sufficiente seguire il nostro discorso su una carta geografica. Come avemmo occasione di scrivere ne il Borghese di maggio di quest’anno, l’Italia ha necessità di infrastrutturarsi per entrare in sistema con il continente europeo e ciò indipendentemente dalla realizzazione dell’Europa politica. Diversamente rimarrebbe – come vorrebbe qualcuno al di là delle nostre frontiere – un calzino cucito alle Alpi e perso a bagno nell’acqua del Mediterraneo.
Per noi italiani è di primaria importanza geopolitica che il V° corridoio, il decumano del sistema europeo, passi per la pianura padana mettendo in sistema, attraverso l’Italia, l’Europa occidentale (Portogallo, Spagna Francia) con quella orientale (Slovenia, Ungheria, Ucraina). Attraverso il nodo di Lubiana verrebbe intercettato il corridoio X° che, nei piani, a nord ovest si dovrà collegare con Salisburgo e a sud est con Zagabria-Belgrado- Sofia. Attraverso il nodo di Budapest si intercetterebbe il corridoio IV° che, sempre nei piani, si dovrà collegare a nord ovest con Bratislava-Vienna e a sud est con Arad- Bucarest – Costanza sul Mar Nero. Da Arad una deviazione si collegherà con Sofia e Instanbul.
Ebbene attualmente il nostro I° corridoio paneuropeo con andamento peninsulare Palermo-Berlino è in funzione solo da Salerno a Verona con una deviazione Bologna-Torino via Milano. Se i NO TAV riuscissero ad impedire i lavori in Val di Susa, rimarremmo tagliati fuori dal tratto occidentale del corridoio V° paneuropeo. In caso positivo, però, tutto il nord est rimarrebbe tagliato fuori dall’Europa occidentale e tutta l’Italia dall’Europa orientale se non si completasse da Torino a Trieste la parte di nostra competenza del corridoio in questione.
Per il nord est vi sono, quindi, validissime ragioni economiche – le sole che lo stesso concepisce – che spingono verso il completamento del corridoio V° mancando il quale, anche l’attuale corridoio I° avrebbe poca efficacia, ma vi è una ragione di scala superiore a cui quella economica si subordina ed è geopolitica.
Geopolitica signor ministro. Lo sa Ke-Ka-Tze?