Note per Monti e il suo esecutivo, con al primo posto l’equità

19 Novembre 201

riproposto il 03 Dicembre 2011

Domenico Cambareri

 

Note per il programma dell’esecutivo

Equità, rigore, crescita: il prof. Procuste e il letto di Monti o il prof. Monti e la ritrovata virtuosità politica?

Quirinale: tra architettura e prassi costituzionali e azione di bonifica e di intervento d’emergenza – Ogni granellino di equità non adempiuta si tramuterà in altri macigni di disparità e ingiustizia – Il mercato del lavoro drogato da sindacati e partiti – La difficile e stretta cruna dell’equità impone di debellare partitocrazia “perequazioni” giungle selvagge e di imporre una patrimoniale virtuosa – Meritocrazia si leggerà ancora come clientelismo parassitismo e partitocrazia? – Non potremo provare il letto di Procuste su Brunetta non per colpa nostra o della natura: ma ciò andrebbe fatto di diritto e di dovere! – Oltre le tare del sistema partitocratico e delle sue supplenze che hanno generato soltanto mostri – Ridare credibilità a un sistema politico che finora è stato solo onnivoro e corrivo – Riequilibrare la conduzione della politica estera in riferimento al quadro del Vicino e del Medio Oriente.

 

Non vogliamo folgorare con strali letali Monti e la sua squadra già all’indomani della sua presentazione in parlamento.
I due discorsi di Monti dicono e non dicono. Nulla di preciso in merito ai reali contenuti. Tuttavia le “voci” che opportunamente filtrano già scorrono e destano le prime allarmate preoccupazioni.
Desideriamo precisare che il prof. Monti è stato sapientemente e potentemente guarnito dal capo dello Stato con decisioni mai assunte prima da altro presidente della Repubblica. E’ infatti stato nominato, alla vigilia del suo incarico, accettato con riserva, senatore a vita. Mai un senatore a vita è stato protagonista attivo della scena politica e men che mai un senatore a vita è stato incaricato di esplorare e/o di formare un governo e di guidarlo in piena regola in qualità di presidente del consiglio. Un senatore a vita di primissima nomina, anzi appena battezzato. Anomalia o eccezione? Tutto ciò potrebbe suonare scandalo, ma non per noi, che abbiamo sempre sostenuto che ad ogni aumento formale e/o fattuale dei poteri del presidente del consiglio dei ministri deve corrispondere un simultaneo, corrispettivo, proporzionato aumento della sfera di controllo e d’intervento del presidente della Repubblica. Non corre dubbio che siamo in presenza di questa evenienza, che sa quasi d’eccezione. E che la condividiamo appieno.
Che si voglia poi chiamare questo nuovo esecutivo “governo del presidente”, qui adesso non ci corre obbligo né opportunità di entrare in considerazioni inerenti aspetti tipologici e storia parlamentare. Risulta però chiarissimo che siamo in presenza di una maggioranza effettiva di una coalizione parlamentare al senato e di una sua maggioranza relativa alla camera. Con l’altrettanta chiarissima conseguenza che questo governo, nato per esigenza di urgente decantazione dei contrasti partitici in uno con il dovere tenere testa alle speculazioni finanziarie che tengono in scacco da cinque mesi il nostro Paese e altre Nazioni dell’Unione Europea, dovrà riscuotere di diritto l’appoggio di quasi tutto l’arco politico presente in parlamento.
Monti, per di più, nella realtà dei fatti, gode già di un enorme consenso parlamentare, raccolto con esplicite dichiarazioni. Ad iniziare dal consenso del maggiore partito di opposizione, il PD, il quale si è spinto addirittura, come l’UDC, a dichiarare che non vi sono limiti temporali alla durata del governo, salvo quello di natura scadenza della legislatura.
Un tale esecutivo ha il dovere e il diritto di muoversi e di decidere con grande libertà di movimento su cosa fare, senza accettare condizionamenti e ipoteche, e muoversi in termini squisitamente politici, giacché la definizione di governo tecnico sfuma nella più completa insignificanza. Termini politici che però per noi non si accordano né con la minaccia che il partito di maggioranza relativo, il PdL, può paventare nel valutare a dare il proprio assenso “caso per caso”, né con l’eccessivamente rituale enunciato del neo presidente di prendere atto delle decisioni politiche che già esistono sul tavolo, quale è il caso del federalismo fiscale, e del rispetto che egli così vuole mostrare alla supremazia del “politico”.
L’esistenza stessa di questo governo risiede nel fatto che da esso ci si aspetta che sappia enunciare la sua azione con incisiva e autonoma determinazione in tutti i campi. Ma cosa enunciare e su cosa agire con forte volontà? Monti ha indicato espressamente i tre obiettivi fondamentali del suo governo: rigore, crescita, equità.
Non si tratta di voler correggere il rettore, ma, da professore senza ermellino e senza titoli accademici, ci troviamo nel poco consolante obbligo di dovere rettificare questa enunciazione fondamentale, rispettandone lo spirito ma non l’ordine: equità, rigore, crescita.
Senza un’effettiva e estesa, profonda bonifica degli apparati, delle norme, delle consolidate prassi dei contratti collettivi, dell’azione dell’Aran, delle sopercherie elevate a stratificata e ordinarie condizione di corretta gestione senza dapprima tornare a dare ciò che era ed è dovuto a taluni e a togliere ciò che non è e non era dovuto ad altri; con il riconoscere a taluni quello che a loro è stato sempre negato e con il togliere ad altri tutto quello che hanno avuto in sovrappiù, senza tutto questo, senza disboscare le nequizie incrostate come mali viscerali negli appannaggi di pseudo categorie e di sottocategorie, come saranno reperite le risorse da indirizzare a un aggiustamento radicale degli squilibri pluridecennali? Senza abbattere la dittatura delle tessere sindacali, della categorie o sottocategorie sindacalizzate per le quali tutto o quasi è stato sempre fatto, chi saranno i colpiti senza la tutela dell’equità? E la parola stessa equità, chiarissima nel suo significato, verrà anche questa volta usata come strumento alterato, come testa d’ariete ai fini del massacro di chi aveva ed ha diritti da accampare rispetto alle masnade che sotto le bandiere dei sindacati chiederanno nuovi atti di “perequazione” per strappare altri avanzamenti ancora a danno dei funzionari aventi titolo, i quali saranno i “perdenti” per tanti altri decenni ancora? Su questo, basta non andare lontano con lo sguardo e limitarsi al panorama della regione Lazio.
Non sarebbe dovuta essere cura dei governi precedenti, di tutti i governi precedenti, non dovrebbe essere cura anche di questo governo chiedersi perché mai intere categorie, particolarmente quelle più “professionali”, sono state e sono ampiamente desindacalizzate? Non sarebbe dovuta essere cura e non dovrebbe essere cura primaria dei governi tutelare questi lavoratori e il quadro di equità complessivo dei rinnovi contrattuali dalle bolge e dalle violenze delle categorie sindacalizzate, dalla distruzione di ogni equilibrio che ha incrinato e compromesso da molti decenni l’affidabilità morale e professionale di tanti lavoratori nel pubblico e nel privato?
Come recuperare le risorse destinate al risparmio? Bisogna innanzitutto rendere partecipi del dovere di contribuire allo sforzo economico generale i più abbienti e i tantissimi evasori in misura proporzionata, cosa che non ha fatto Berlusconi con il suo trasognante e irrealizzabile progetto di riforma generale della fiscalità. Bisogna colpire senza perdere tempo l’enorme apparato “istituzionale” e delle giungle sterminate e super oleate della burocrazia di contorno. Bisogna evitare in modo rigoroso, trasparente e assoluto che continuino a pagare i soliti perdenti noti, sia come lavoratori colpiti da una penalizzante retribuzione sia da una susseguente penalizzante pensione. Se non si fa questo, quali condizioni di miseria civile sono stati imposti e verranno ancora imposti a tanti italiani, per tutta la loro vita lavorativa e pensionistica, da questa falsa e degenerata democrazia rappresentativa? In tal senso, come non incidere immediatamente sulle leggi che regolano gli inquadramenti e le piante organiche delle autority, delle agenzie, delle regioni e della moltitudine di enti e di aziende, visto che qui e adesso abbiamo a che fare innanzitutto con la salvaguardia degli interessi dello Stato e della società così tanto selvaggiamente bastonati da un mercato del lavoro pubblico drogato da partiti e sindacati? Mercato del lavoro drogato: dalla famigerata legge dei giovani di fine anni settanta che immise nella burocrazia degli enti locali legioni di parassiti a vita alle odierne nequizie. Cosa dire alle migliaia di giovani laureati con brillanti voti, vincitori di più concorsi nelle scuole secondarie che si sono visti e si vedono una e due e tre volte soffiato il posto da un maestro non vincitore di concorso ma semplice superatore di un “corso-concorso” riservato e privilegiato imposto da Berlinguer, Cisl Cgil; un maestro senza un accidenti di reali verifica delle sue attitudini della sua cultura e delle sue esperienza specifiche, che nel ciclo di appartenenza è sostituito da un altro maestro anche non laureato (per quanti lunghi anni ci siamo battuti contro il diploma magistrale inteso come uovo d’oro, sempre fatalmente vinti dalla Cisl e dalla CGIL e dall’andazzo degenerato della politica italiana che annichilivano, trent’anni addietro, la ribellione dei professori delle secondarie e, ancora prima, quella dei colletti bianchi dei settori del lavoro privato!)? Quale giustizia professionale, sociale, quale meritocrazia, quale difesa della legge è stata mai questa, a partire dal 1996, per tanti giovani ridotti alla precarietà e all’emarginazione assolute e talora alla fame? Cosa sanno di tutto questo Berlusconi e i suoi accoliti? Cosa sanno il professor Monti e i nuovi ministri dell’istruzione  e del “welfare”? Pensiamo agli oltre cinquecentomila maestri in pochi anni, di cui la colpa principe spetta a D’Alema, ma non di meno agli altri presidenti del consiglio che nulla fecero salvo – una volta tanto -l’ultimo governo Berlusconi con le ire demagogiche di Bersani; pensiamo alla scellerata e ultraclientelare legge sui “manager scolastici” e alle iperboliche carriere dei direttori didattici, un tempo agganciati all’inizio di carriera dell’ordinario delle secondarie superiori, il quale poi è risultato “parificato” a forza all’operaio specializzato. Carriere, ruoli, profili demoliti per alcuni, moltiplicati in modo sclerotizzato per altri grazie alle mafie sindacali e alla degenerazione partitocratica. E’ stato ed è ancora un bene tutto questo per i singoli interessati e per la società tutta?
Pensiamo al ruolo unico della dirigenza ministeriale. E’ bene ripetere e ripetere quali sono i madornali peccati mortali che hanno portato all’affossamento scuola e macchina pubblica, che hanno sistematicamente messo in crisi le relazioni interne degli apparati burocratici e operai dell’industria, che hanno accentuato nequizie retributive scollamenti e disconoscimenti di ruoli e professioni. Pensiamo ai “dirigenti” e ai “funzionari” delle regioni e alle loro retribuzioni e alla pletora dei super pagati giornalisti e dipendenti Rai. E, visto che alcuni componenti della nuova compagine governativa provengono dal mondo accademico, pensiamo a quanti inquadramenti “effimeri” e clientelari di docenti universitari sono stati fatti con leggi scandalose e dispendiose. E, guardando quanti fra i ministri hanno occupato posti nell’apparato burocratico, pensiamo alla degenerata strumentalizzazione politica dello “spoiling sistem” che, in uno con il “ruolo unico”, ha prodotto effetti nefasti su tutta la macchina pubblica, effetti che sono risultati nella realtà delle cose sempre ben graditi alle forze politiche che si sono alternate al governo e che ha alimentato canali torrenti e fiumi di corruzione/collusione?
Vorrà abbattere d’un sol colpo il professor Monti, neo presidente del consiglio, con i suoi ministri con in testa Fornero e Profumo, il distruttivo retaggio dei grandi accordi del luglio del 1973 e del luglio 1993 con cui si affossavano meriti, efficienze e onestà nell’ambito del lavoro pubblico e di quello privato? Con cui si tiene ancora oggi inchiodato il sistema delle relazioni “sindacali” e sociali del nostro Paese? Speriamo proprio di si. Su questo, nonostante le critiche che si possono muovere a Marchionne, come non esprimere un moto di profonda approvazione?
O vorrà condividere la stupidissima linea perseguita dell’economista Brunetta, al quale, purtroppo non per colpa nostra né per colpa sua in questo, non è possibile applicare la legge del letto di Procuste? Come vorrà e come potrà il professore Monti grottescamente e cinicamente applicare medie statistiche preconfezionate in maniera rigida a tutti gli uffici e a tutti i dipendenti? Questa è una mostruosità che dimostra, senza prova d’appello, come nessun economista dovrebbe occupare lo scranno di ministro o di presidente del consiglio. Ciò varrebbe anche per l’esimio, sobrio e rispettabilissimo professor Monti. Gli economisti, in politica, possono diventare rispetto a tutti gli altri uomini animali davvero strani e pericolosissimi, come e più dei fondatori e/o riformatori religiosi e dei filosofi utopisti. Come vorrà sottrarre l’azione politica dalle interdizioni, dalle interferenze, dai ricatti, dalle supplenze che dei magistrati con funzioni di pubblica accusa avranno di certo interesse a continuare? Come vorrà risolvere il gravoso problema delle carceri? E dalla sovrastruttura artificiosa dei centri clientelari e parassitari dei sindacati? Come vorrà colpire i contributi figurativi delle legioni di sindacalisti e ridurre i distacchi di cui godono le grandi organizzazioni sindacali, completamente innervate nei partiti politici?
Vorrà colpire i pensionandi dei prossimi due – quattro anni con misure vessatorie togliendo loro per l’ennesima volta il tappeto da sotto i piedi e ingenerando una mostruosa azione di iniquità che per nulla si giustifica con il dover rendere più uniforme il sistema pensionistico in favore dei giovani e delle future generazioni? Ben sanno il nostro Monti e i suoi ministri che andare anch’essi a fregare chi dovrà andare in pensione entro il 2016 non costituisce una scelta primaria e inevitabile, visto che devono andare a cercare altrove – e subito – le liquidità occorrenti nei più diversi settori della macchina pubblica. E qui devono dimostrare il coraggio di sapersi affrancare da Berlusconi, con il varo di una equilibrata manovra sui patrimoni. Sbaglia e alla grande il balloso Silvio con il gridare ancora ai quattro venti che una patrimoniale avrà effetti deprimenti e inflazionistici, e sbaglia di grosso con le sue colorite straballe perché non ha ancora capito quale è la reale condizione in cui versano la nostra Nazione e la società. Mal ne venga agli adulatori che lo spronano e lo olezzano! A tanti non è mai giovata l’idea di una patrimoniale, anche a noi, come ordinario strumento di governo, ma oggi le condizioni di estrema divaricazione sociale aggravatesi anche per colpa dell’ottusità di Silvio e le impellenti e continue e esigenze di liquidità per i pagherò dello Stato in scadenza impongono simile strumento atto ad evitare le tantissime storture che si annidano in ogni angolo del parlamento e delle stanze dei burosauri e a rendere più virtuosa la difficile e stretta cruna dell’equità.
Su tutto questo quale è stato il ruolo non imbecille ma di proterva e complice azione da canaglia svolto dal governo Berlusconi? E’ bene che i parlamentari di questa coalizione e gli elettori comincino a porsi queste domande, anche in maniera tardiva?
Se Monti e i suoi non dreneranno in profondità il fango, i canali torneranno velocemente ad ostruirsi.
Ma il neo presidente del consiglio, pur nella brevità del tempo che ha innanzi a sé – pochi mesi o poco più di un anno – ha anche l’onere di affrontare non soltanto i problemi finanziari con l’immediata messa in sicurezza dei conti, con il certificare che la riduzione del debito pubblico ha ripreso la strada maestra, di modo che i grandi investitori internazionali non interessati al gioco al rialzo speculativo senza limiti, e BCE e FMI potranno tornare a guardarci con rasserenati convincimenti in quanto in parlamento i rappresentanti del popolo e della partitocrazia avranno finalmente il coraggio di votargli le leggi draconiane che dovranno spezzare e spazzare la morsa mafiosa dello sfruttamento del Paese. Egli ha anche l’onere di realizzare il rigore, che deve sostanziare quanto qui sinora rappresentato come domande o come esplicite asserzione, che cioè deve correttamente accompagnare e declinare in ogni momento la linea dell’equità.
E deve dare il via, con l’equità e il rigore e il recupero delle risorse, al rilancio attraverso l’ammodernamento strutturale, finora sempre e solo declamato dalla classe politica. E’ in e con tutto questo che si gioca la nascita di una nuova credibilità italiana. L’Italia è un Paese che stagna e non cresce da quasi due decenni, non per colpa di Berlusconi ma di tutta la classe politica presa nel suo insieme, senza eccezioni. E’ di essa la responsabilità della consunzione e della fine della credibilità della nostra Nazione nei più diversi contesti internazionali. E, sul piano storico, della mentalità corriva e perfino criminale dell’antifascismo militante che si è nutrito e abbeverato ininterrottamente con il gestire con la nequizia più camuffata e gli scandali un regime partitocratico che di fatto ha estromesso l’eticità della funzione rappresentativa.
La credibilità il nostro Paese la deve ricostruire e far conoscere anche attraverso la subitanea reimpostazione di relazioni in settori particolarmente delicati quali sono i rapporti con i Paesi del Vicino e del Medio Oriente, al di lè da quanto avviene al loro interno oggi. E’ essenziale che l’Italia si schieri in tutti i fori internazionali per il riconoscimento della Palestina quale Stato sovrano e che cominci a porre precisi paletti alle sinora intoccate scorribande dei circoli sionisti e della politica israeliana e, purtroppo, al non meno cieco appoggio che essa riceve dal nostro maggiore alleato, gli USA. Sarebbe anche un bel gesto di riconoscimento al leader Rabin, di cui da poco è caduto il dodicesimo anniversario dell’assassinio, perpetrato dai circoli sionisti per condurre i palestinesi al disastro e a un “olocausto”. Speriamo che i ministri Giulio Terzi di Sant’Agata e Giampaolo Di Paola, sino a ieri l’altro al comando del comitato militare della NATO, sappiano saggiamente, con lungimiranza e con un indissolubile legame con la nostra storia e con quella dei popoli rivieraschi ai quali siamo legati da tempo immemorabile, con i diritti dei popoli vicino-orientali, in primis il popolo palestinese, sappiano essere ottime colonne dell’esecutivo Monti. Anche per favorire una nuova pagina nella politica estera di tutta l’Unione Europea e dell’azione che per essa conduce Catherine Ashton.

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