Mini: urbanistica capitolina inconcludente e accrescimento dell’emarginazione sociale

14 Febbraio 2012

Mino Mini

 

L’urbanistica sommersa

LA CINTURA DELL’EMARGINAZIONE

 

Con il declinare verso l’esito finale di questa inconcludente amministrazione della capitale d’Italia, il pensiero ritorna agli Stati Generali di un anno fa quando, con grande spolvero di ministri, imprenditori, managers, prelati, sindacalisti, etc. etc., furono enunciati gli obiettivi del Piano di sviluppo sostenibile (Pss). Uno di questi riguardava “Roma città policentrica e solidale”. La realizzazione di questo ambizioso obiettivo era affidata a tre temi: le Nuove Centralità Urbane (Ncu);la rigenerazione urbana delle periferie; il progetto pilota per la ricostruzione di Tor bella monaca. Non ritorneremo su quanto esprimemmo in merito alle Ncu ed al progetto di Tor belle monaca proprio su queste colonne.
Ci interessa piuttosto rilevare, a proposito della rigenerazione urbana delle periferie, come – nonostante il piano casa – non ci sia stata da parte dell’amministrazione capitolina né, tampoco, da parte dell’economia istituzionale, la capacità di concepire la trasformazione o mutazione urbana. Il riferimento all’economia istituzionale, quella che esercita legalmente un condizionamento totalitario sulla vita della città piegandola alle proprie esigenze speculative, non è un mero artificio retorico. Costituisce il termine di confronto rispetto al quale esaminare un fenomeno singolare: la realtà di un processo economico che, per potersi dispiegare, costringe i suoi protagonisti alla disobbedienza civile confinandoli nell’emarginazione. Si tratta del fenomeno dell’abusivismo la cui consistenza nella capitale è espressa, oggi, da cinquantasette borgate ex abusive extra GRA (Gran Raccordo Anulare) abitate da una popolazione di 330.000 abitanti. A queste si dovrebbero aggiungere sacche sparse di nuclei abusivi di recente costituzione che sfuggono ad una precisa individuazione allo stesso modo delle 68.764 unità immobiliari “invisibili” mai dichiarate al catasto che fanno di Roma la capitale degli immobili fantasma.
Per limitarci alle borgate ex abusive sanate per condono a livello di singoli edifici, precisiamo che stiamo parlando di una entità demografica di poco superiore a quella di una città come Bari ( 320.475 ab.), ma che nella realtà non ufficiale raggiunge o supera la popolazione di Firenze ( 371.282 ab. ). Vediamolo il fenomeno all’origine. Si tratta di un mondo reale, positivamente spontaneo ed anarchicamente libertario che si oppone – per necessità economica o per reazione alla città “prệt a habiter” – a quello economicisticamente totalitario, virtuale perché ideologico, giuridicamente impositivo. Spontaneità che, come spiegheremo, verrà a guastarsi allorché sarà strumentalizzata da un certo tipo di speculazione edilizia parassitaria e da infiltrazioni di tipo mafioso. Un fenomeno complesso per più ragioni: per la logica che definisce gli elementi che lo compongono; per il particolare tipo di economia ovvero di rapporto fra gli elementi o risorse impiegate ed i risultati raggiunti; per il sistema sociale che si instaura fra l’abusivo e le istituzioni di cui fa parte; per il tipo di insediamento ambientale – la borgata – espressione del sistema sociale strutturato in base a determinati rapporti economici e secondo una determinata logica. Proviamo a darne un quadro sommario ricercando di essere più chiari possibile.
Diciamo subito che, sotto il profilo giuridico, l’abusivo – il protagonista principe di questo fenomeno – è in primo luogo un fuorilegge. Che lo sia per necessità, per reazione alla città “prệt a habiter” o per speculazione, al momento in cui inizia la costruzione della sua casa ha già messo in preventivo di dover subire la reclusione per il reato di edificazione abusiva. Molti, infatti, la subiscono ma ciò non li scoraggia affatto dal perseguire il loro programma. La determinazione a perseguire la realizzazione del bene-casa fa dell’abusivo un individuo pronto ad accettare l’emarginazione sociale ed entrare in una “società” di emarginati. Ciò spiega – detto per inciso – perché la repressione nei confronti dell’abusivo sia sempre stata difficile. Le evidenti reazioni di solidarietà umana da parte di altri emarginati e da parte di una certa magistratura in parecchi casi ha reso la repressione gravida di quelle pericolose conseguenze sociali che la emarginazione porta con sé. Ieri come oggi. Ma vediamo, sotto il profilo logico ed economico, come – ad una analisi retrospettiva – si caratterizzava agli inizi l’area originaria dell’abusivismo. Trattatavasi di un’area di “domanda” composta di soggetti allontanati dall’investimento sul bene-casa per uso personale proposto/imposto dal mercato immobiliare pubblico o privato per una o tutte le seguenti ragioni: prezzi di acquisto elevati al di sopra delle possibilità del risparmiatore; bene-casa insoddisfacente in rapporto all’impegno finanziario richiesto per l’acquisto ( ad es.: desiderio di riscattarsi dal sistema di vita condominiale ); inaccessibilità al credito ordinario, sovvenzionato o agevolato. In sostanza una fascia di risparmiatori che dovendo soddisfare un’esigenza abitativa più o meno pressante era costretta a ricercare una forma di investimento più confacente alle proprie possibilità. Per gli stessi il ricorso all’”economia sommersa”, formalmente e sostanzialmente illegale, diventava quindi l’unica alternativa con l’assunzione in sé di tutti i fattori della produzione: dalla promozione imprenditoriale al capitale, dal lavoro al mercato che, nella fattispecie, si restringeva al consumo diretto del bene prodotto.
Una forma di economia chiusa dove il ricorso al mercato istituzionale si riduceva al solo acquisto formalmente legale dei beni elementari, altrimenti introvabili, e dove venivano trattenute presso l’abusivo – trasformato in autocostruttore – tutti quegli oneri aggiunti al costo del terreno, dei materiali e del lavoro che costituiscono una parte rilevante del costo di vendita del mercato istituzionale. Inevitabile diventava, in questa economia sommersa, l’investimento nell’acquisto del bene primario, il terreno, che doveva per forza di cose essere agricolo dal momento che quello con destinazione residenziale veniva assorbito dal suddetto mercato istituzionale. A questa “domanda” di terreno rispondeva l’”offerta” della speculazione fondiaria esercitata dal lottizzatore abusivo. A volerla vedere secondo l’ottica di quest’ultimo, sotto il profilo urbanistico si veniva a creare una condizione analoga a quella dell’edilizia economica e popolare ex legge n.167/62 che, in barba alle destinazioni urbanistiche stabilite dal piano regolatore, poteva essere edificata in zona agricola acquisendo i terreni mediante esproprio a prezzo agricolo.
Fin qui abbiamo esaminato – assai sommariamente – il fenomeno a scala individuale che riguarda il singolo lottista, ovvero il proprietario del lotto e dell’edificio che abusivamente vi è stato costruito. Ma esistono altre dimensioni mediante le quali esaminarlo: la scala collettiva che investe l’insieme dei lottisti ( ad es. la borgata abusiva); la scala comunale che abbraccia la dimensione del comune; la scala sovracomunale o metropolitana che, a sua volta, comprende tutti gli aspetti connessi alla dimensione corrispondente. Sorvoliamo, dunque, sull’analisi del processo individuale del singolo abusivo per concentrarci, con un salto di scala, su quello collettivo. Nasce, a questa dimensione, il primo nodo del problema dell’abusivismo. Infatti, se il ricorso all’autocostruzione in regime di economia sommersa aveva consentito all’anarchico lottista di realizzare il suo bene-casa risolvendo temporaneamente il problema dell’approvvigionamento idrico mediante escavazione o trivellazione di pozzi e quello sanitario mediante fosse biologiche, alla lunga si sarebbe dovuto risolvere il problema della infrastrutturazione di base della lottizzazione abusiva per evitare l’inquinamento delle falde idriche e conseguenti problemi sanitari. Si sarebbe verificata, allora, una situazione paradossale: a fronte di una sommatoria di beni-casa dal valore di scambio alquanto modesto – per non dire nullo agli effetti istituzionali – ma dal valore d’uso elevatissimo, sarebbe occorso mettere in atto una rete infrastrutturale dai costi enormi che i singoli lottisti difficilmente avrebbero potuto e voluto sostenere.
Un’esperienza professionale vissuta da chi scrive condotta su una realtà da condonare di 1836 lotti su una superficie di 257,50 ettari, portò ad un risultato strabiliante: per realizzare l’infrastrutturazione minima di base ( rete fognante, rete idrica, illuminazione pubblica e rete viaria ) sarebbero occorsi, allora, l’equivalente di c.ca 29 milioni di Euro Ovvero 15.800 Euro c.ca per lotto. L’economia sommersa, valida a livello individuale, si rivelava non più in grado di gestire questo nodo. Occorrevano risorse economiche rilevanti ed una organizzazione in grado di amministrarle e non sempre – per non dire quasi mai –  le due condizioni si realizzavano. Il tutto senza poter disporre dei cosiddetti “servizi” ( trasporti, chiesa, scuola dell’obbligo, uffici pubblici, impianti sportivi etc. ) che esulano, generalmente, dalla scala collettiva per appartenere più propriamente alla scala comunale. Ebbene, oggi le cinquantasette borgate ex abusive, divenute insediamento di soggetti economici istituzionali che hanno sanato il reato dell’abusivismo, risolto a livello di borgata – chi più e chi meno, in riferimento al  problema della infrastrutturazione minima di base, agognano ad essere dotate di “servizi” ritenendo di acquisire dignità urbana mediante la disponibilità degli stessi.
Rivendicano, allora, in virtù della sanatoria, il diritto di essere affrancati dall’emarginazione, non già per forza propria, com’era nello spirito anarco-libertario degli inizi, ma mediante l’impegno della collettività comunale a sostenere l’onere della dotazione di servizi e della rigenerazione urbana qualunque cosa significhi. Non sempre, però, sono gli antichi lottisti proprietari di case unifamiliari a spingere per le rivendicazioni. Infatti alla prima ondata che pagava con il carcere il consolidamento di uno stato di fatto spontaneamente costituito, era succeduta la speculazione parassitaria che aveva “pilotato” lo spontaneismo. Spesso si trattava di piccoli capitalisti, spesso gli stessi lottizzatori abusivi, che conoscendo bene i meccanismi dell’economia sommersa, soprattutto illegale, avevano edificato, sempre abusivamente, palazzine di tre e più piani per lucrare con la vendita degli appartamenti. Nel meccanismo dell’economia sommersa, come si sa, opera anche la criminalità organizzata al fine di ripulire denaro sporco. Sono spesso costoro a spingere affinché la collettività si faccia carico dell’onere di “rigenerare” quelle borgate ex abusive dove hanno investito i loro capitali e dove contano di realizzare altri edifici la cui progettazione è già completata a livello di cantierabilità.
Vi è, infine, l’altra dimensione del fenomeno, quella sovracomunale o metropolitana che misura i guasti ambientali e paesaggistici perpetrati dall’abusivismo, ma non solo. Misura, altresì, l’ingovernabilità di un’espansione informale, amebica, caotica, fagocitatrice del paesaggio agrario e degli insediamenti minori dei comuni di prima cintura. Metaforicamente, possiamo dire che a queste diverse dimensioni si può rilevare come la tecnoburocrazia e la politica “governino”, senza vergogna, il degrado di una civiltà dell’abitare che aveva ispirato e guidato le più importanti realizzazioni urbane d’Europa.