Leo Longanesi, l’Italia che fu e quella che è ancora, purtroppo

1° Maggio 2012

Ricevuto da: Angelo

Nota di Domenico Cambareri

 

Da dove veniamo? Da un tradimento. Nulla di buono può nascere nel tempo da un tradimento

 

Caro Nico,
per caso ho letto le considerazioni che seguono, scritte Leo Longanesi nei primi anni 50 e paiono profetiche. Povera Italia nostra !!! C’è ancora qualcuno in giro che merita il nostro voto?
“La miseria è ancora l’unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria. […] Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato […] La sua ricchezza è stata facile, di solito nata dall’imbroglio, da facili traffici, sempre o quasi, imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui non conosceremo più né il volto né l’anima”.
Ti abbraccio Angelo.

 

 

 

Nota di Domenico Cambareri

 

 

Caro Angelo,
le parole di Leo Longanesi già in quegli anni risultavano, come si sul dire, “oro colato”. Immaginiamo dopo tanti decenni, per chi ha senso della memoria storica,  coscienza civile e comprensione di valori che dal ’43 diventarono via via sempre più desueti per una sempre più vasta platea di italiani ammorbati dagli esempi peggiori propinati e quasi imposti da classi politiche sempre più lontane dall’interpetrare la difesa degli interessi comuni e l’esigenza di governare con spirito di coesione nazionale.
Certo, esse sono anche datate perché si riferiscono ad un’Italia che non c’è più. Un’Italia ancora prevalentemente agricola e povera, ancora più povera in quegli anni d’immediato dopoguerra, in cui gli effetti del miracolo economico erano ancora da venire, con quello che ovviamente esso comporto: ulteriori ondate di emigrazioni interne ed esterne, definitiva marginalizzazione del Mezzogiorno, collasso del sistema politico sia per la guerra fredda e l’impossibilità di realizzare effettive alternanze del potere politico, sia per la sistematica e ininerrotta occupazione di tutti gli spazi all’interno della società da parte dei partiti e dei sindacati. Un periodo di follia politica e di ruberie interminate, che è proseguito, se non con apparenti metamorfosi, sino all0 scorcio del secolo e nel trapasso con il nuovo.
Questi mali sul piano politologico e non di meno sul quello morale portano un nome: partitocrazia. La degenerazione partitocratica che aveva occupato il Paese già prima della grande guerra e che fu sconfitta dal movimento e poi regime fascista. La partitocrazia rinata dalla disfatta e dalle tragedie di una Nazione e di una Patria tradite da quelli che rappresentavano le istituzioni e che avevano le mani in pasta nella politica e nella cultura, ad iniziare dal re e da quelli che gli dettero poi il benservito.  I partitocratici e i  “partigiani”. Da un tradimento cosa poteva nascere di buono? Da una guerra civile finita nel peggiore dei modi cosa ci si poteva aspettare come eredità se non lo sciacallaggio e la contraffazione storica e dei valori di riferimento?
Leggere gli scritti di Leo Longanesi può farci male? Certo che no. Le parole del sagace critico e saggista possono aiutare a ritrovare la bussola, a ridarci un senso e una direzione nella vita civile e politica, in un Paese finora costretto a vivere nella quotidianità del caos e dell’espropriazione sistematica della democrazia sul piano “sostanziale”. Ci pungolano e ci incitano affinché non prevalga una delle cose peggiori che più tarlano l’animo e che tante volte segna il declino degli individui e dei popoli:  la rassegnazione. E ci insegnano a reagire, anche con una sana, invincibile ironia. Al di là e al di sopra delle ideologie. Perché la cancrena della partitocrazia e del tradimento di allora risiedette innanzitutto nella qualità degli uomini, prima ancora che nello “schermo” dei partiti, che ne divenne espressione consustanziale.
E certo lo sfacelo dello stesso partito nazionale fascista dimostrò quanti sfascisti, gradassi, corrotti, voltagabbana e antifascisti vivevano egregiamente da fascisti, in un regime che anche nei suoi giorni migliori si rivelò purtroppo ottimo strumento per le scelte  fascistissime di cinico, godereccio opportunismo con l’orbace in testa e le medaglie al petto.
Allora si comprende ancora di più l’abulia spirituale di decenni di democrazia invertebrata e tuttavia onnivora, la democrazia dei partiti pronti ad espropriarti pure l’anima. Una partitocrazia che ha rubato alle giovani generazioni e in parte anche alla nostra un intero secolo di lavoro,per pagare con soldoni e sacrifici imprevedibili, cento anni di debiti. Fino alla fine del nuovo secolo. Il tutto, senza neppure avere combattuto una gurra e senza avere subito una sconfitta tramutata in vittoria. 

 

Ricambio il carissimo saluto.