Finanza, speculazioni e scelte politiche: i rischi presenti e i fallimenti del passato

06 Maggio 2012

Filippo Giannini

Nota di Domenico Cambareri

 

In molti nostri editoriali e note abbiamo avuto motivo di delineare i nostri pareri e i nostri giudizi. Essi, via via che concernono sempre di più la realtà ultima delle cose, si discostano con accentuazioni non indifferenti dalle valutazioni e soprattutto dalle prospettive che intende presentare Filippo Giannini. L’idea di fare tabula rasa di tutto quanto è stato fatto per costruire l’Unione Europea non è condivisibile. Nonostante tutte le critiche che l’appassionato e instancabile Giannini e altri a destra possano muovere. Ciò che è stato fatto di positivo sopravanza  i terribili aspetti negativi. La cosa più importante è che per la prima volta tutti i popoli e  tutti i cittadini dell’Europa occidentale hanno frontiere interne quasi virtuali. Questo è il dato epocale. Il fatto che si sia messo innanzi il processo di unificazione finanziaria e monetaria è anche esso dato insostituibile: ha sfrondato d’un sol colpo le altrimenti infinite opposizioni e gli interminabili distinguo che sarebbero nati sul piano della distinzione e della conservazione di sciovinistiche accentuazioni delle identità nazionali, valide nel corso dei processi risorgimentali e non oggi. Ancora ai nostri giorni sentiamo parlare dei deputati pseudo neofascisti  che mischiano stancamente Stato e religione e richiedono all’Unione Europea il privilegio di “salvaguardare” e  imporre tradizioni a carattere sentimental-fideistico e folkloristico come il presepe di natale, a cui in tanti possiamo essere qui in  Italia molto attaccati per i più svariati motivi, come se il crocefisso nelle aule pubbliche non bastasse (grazie alla costituzione repubblicana  in cui barbaramente i costituenti antifascisti inserirono il trattato del Laterano fra l’Italia “fascista” e il papato: cosa orrenda che perpetuava il ruolo di completa storicizzazione di una fede e di una confessione entro una cornice eminentemente politica che mirava a salvaguardare in  realtà solo il potere curiale e al contempo assurdamente vulnerava  il princio intangibile della sovranità dello Stato). Non vorremmo che Giannini continuasse ad impaludarsi come costoro in tutti questi fatti,  e auspichiamo che possa valutare lo stato delle cose presenti con disincantata spassionatezza e  promuovere con una più costruttiva e serena partecipazione la realizzazione del futuro italiano ed europeo. Tutto ciò significa non riproporre a iosa e senza fine il contenitore del fascismo in cui in realtà vi erano le posizioni più diverse e a intenderlo come magico e idolatrico toccasana. Non sarebbe un buon servizio alla stessa concezione fascista e alle concrete realzzazioni del regime fascista sul piano storico, con tutti i suoi enormi pregi e i suoi non minori evidenti limiti. Certe posizioni apparentemente fascistissime staccate dalla presa di coscienza delle diverse realtà storiche possono rivelarsi non solo infruttuose ma anche sfasciste, pur non volendolo nel cuore.  Il fatto che la grande finanza svolge il ruolo che svolge, come oramai e in sempre più tanti italiani ed europei e americani sanno – ed è questo il grande e centrale tema -, non implica né impone la conseguenza che per ciò bisogna stare immobili o altrimenti distruggere tutto: due posizioni altrettanto inconcludenti e negative. Proprio quello che è stato fatto sinora, pur in presenza di un male sociale  e politico così radicale, ci conferma nell’idea che bisogna proseguire nello sforzo di reale unificazione europea. Più esso andrà avanti, nonostante le condizioni di vassallaggio in cui si muove la politica davanti alla speculazione finanziaria, più esso potrà un domani assumere una posizione più sinergica, sovranazionale e dirompente contro il vassallaggio economico imposto dalla grande finanza ai popoli occidentali e – dal nuovo processo di globalizzazione – ai popoli di tutti i continenti coinvolti (nel goderne i frutti effimeri e molto incerti o nel venirne esclusi), non ultimo quello statunitense. Le riforme e le rivoluzioni politico-sociali non possono improvvisarsi e soprattutto non possono essere dettate dogmaticamente alle concrete condizioni del vivere delle genti, anche in giorni così iniqui, salvo scrivere solo per appagamento proprio e di piccole cerchie di amici. Ciò proprio non basta, nonostante l’impunito bandistimo internazionale dello società di rating, i trascorsi di Monti e … di Silvio, i vivai o i gineprai in parte falsi in parte veri dei Guf e dell’accozzaglia e della poltiglia umana di una “destra” pronta a rinnegare prima del cantare del gallo. Almeno in questo, lasciamo stare un pò in pace Benito, anche nel volerlo osannare. Per cercare di capire e renderci contro di quanto dobbiamo ancora comprendere: quanti sono oggi i Fini in circolazione e di come si possa “prevenire” la loro ininterrotta metamorfizzazione politica. In tutto questo, a onore del vero, ossia delle moribonde ma mon morte ideologie, risulta risibile l’affermazione fatta a suo tempo da Ignazio La Russa, che lui mai avrebbe governato con la sinistra. Io, e non solo da oggi, sono pronto a dare la mano a chi è di sinistra e perfino abbracciarlo e governare insieme con lui. Quello che oggi più che mai conta come imperativo (l’imperativo mussoliniano anche se declamatorio, non certo quello del nostro buontempone Silvio  in dolcevita e completo neri e braccio teso) è trovare, scovare uomini di qualità innanzitutto morali – di coerenza secondo un concetto oggi inintellegibile a tanti: coerenza etico-politica, quindi pronti a fare anche dieci passi indietro e sparire dalla scena -, e non uomini in base ad “appartenze” quasi totalmente inaffidabili, di comodo, legate al momento o alla “lunga durata” che consente ritorni certi anche se variaibili, che utilizzano bandiere e gruppi solo ai fini del perseguimento di un cinico e del tutto prevalente profitto personale. – Domenico Cambareri
 
 

 

Tra i misfatti presenti del passato e le inconcludenze fallimentari di oggi

La realtà nazionale a più facce: Italiani molto furbacchioni molto imbecilloni?

 

Qualche lettore più affezionato ricorderà che in un nosrto precedente articolo, fra l’altro, scrivemmo: < Oggi leggiamo sui giornali che un altro italiano si è suicidato a causa della crisi economica: era un imprenditore di Napoli, così siamo arrivati a decine di persone che, qui in Italia, si sono tolte la vita. Però la felicità è massima, avete visto o italioti come si è festeggiato il giorno della liberazione? È possibile che nessuno si chieda “i perché”? Anche sui suicidi siamo diventati americani, come sopra abbiamo scritto, quando nel periodo del male assoluto, in Italia si lavorava, si produceva, si verificava il miracolo italiano, e, soprattutto, si era felici di vivere, in America i suicidi non si contavano. Oggi, finalmente, è un’altra cosa: che bello essere americanizzati! Che goduria! E tu, lettore, non godi? >.
Oggi, 6 maggio 2012 (è importante inserire la data perché stiamo vivendo un periodo tanto convulso da non sapere da questo momento a poche ore, cosa potrà accadere), leggiamo sui giornali che altri due piccoli imprenditori si sono suicidati per la disperazione. Così, se i dati in nostro possesso sono esatti, siamo arrivati, in una manciata di mesi a 36 suicidi. Siamo quindi non più alla semplice protesta, ma alla disperazione.
Sarà un nostro difetto, ma vediamo, come sempre, la soluzione dei nostri problemi, riproporre, aggiornandole, le operazioni messe in atto nel “mai sufficientemente deprecabile infausto Ventennio” (che sia benedetto!). Ma, da quanto leggiamo, non siamo i soli. Se la testimonianza di qualcuno che visse quel periodo…
Giuseppe Prezzolini nacque per caso (così era solito dire) a Perugia il 27 gennaio 1882, morì, centenario a Lugano nel 1982; tutto ciò è necessario ricordarlo in quanto chiarisce quale fu il periodo della sua vita. Venne giudicato come un anarchico conservatore, ed è noto come uno dei migliori scrittori dello scorso secolo, dallo stile formidabilmente concreto e asciutto. Non accettò il regime fascista, quindi si trasferì a Parigi e poi, definitivamente, negli Stati Uniti, dove rimase sino agli anni sessanta, pur tornando saltuariamente in Italia.
Facciamo un salto nel tempo e poi analizziamo il precedente.
Ripetiamo, Giuseppe Prezzolini morì nel 1982, quindi non ebbe modo di assistere all’episodio noto come “mani pulite”, tuttavia ecco quello che ha scritto circa la politica italiana della seconda metà dello scorso secolo: < I partiti non esistono più, ma soltanto gruppetti e clientele. Dal parlamento il triste stato si ripercuote nel Paese … Tutto si frantuma. Le grandi idee cadono di fronte a uno spappolamento e disgregamento morale di tutti i centri d’unione. Oggi uno è a destra, domani lo ritrovi a sinistra … Lo schifo è enorme. I migliori non hanno più fiducia. I giovani se non sono arrivisti e senza spina dorsale non entrano nei partiti >.
Vediamo ora come l’anarchico conservatore, dopo uno dei viaggi in Italia nei primi anni Trenta, cosa scrisse: < Le mie impressioni possono forse parere semplici per i lettori italiani, ma hanno però lo sfondo dei paesi per i quali passo quando torno: un confronto e un controllo. Pace in questa Italia: ecco il primo sentimento certo che si prova venendo da fuori e dura per tutto il soggiorno. La pace degli animi, il silenzio delle lotte che divorano gli altri paesi, e separano classi e spezzano famiglie e rompono amicizie, e disturbano il benessere, talora in apparenza maggiore. Le strade non saranno grandi come le Avenue, ma non ci sono mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono sempre lire e lo saranno domani. I ricchi non hanno bisogno di guardie del corpo per salvare i figlioli dal sequestro. I poveri non devono pagare la taglia mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere. C’è oggi una generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità. Vi sono momenti in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo più pacifico pensano che sia meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver (…). Il popolo italiano appare rinnovato. Sta lontano dalle osterie e dalle risse; sale sui monti in folla. Gode, come nessun altro popolo, del paesaggio, dei fiori, dei colori e dell’aria. I discorsi e i commenti che vi senti, lasciano trasparire l’atmosfera di serenità e di salute. Il popolo italiano ha un aspetto più forte, più dignitoso, più serio, più curato, meglio vestito di un tempo, è ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito nella generalità e più aperto perfino agli orizzonti internazionali. Si muove di più, viaggia di più: conosce meglio di una volta il suo paese. Non è ricco come altri popoli, ma non lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare senza dubbio più contento >. Ricordiamo che Prezzolini scrisse questo pezzo nel pieno della grande depressione che partì, come sempre, dalla democraticissima America. Sì, più contento, ha scritto Prezzolini, almeno diverso da oggi. Come mai? Oggi c’è la libertà, la democrazia, termine maledetto che indica, in verità, la schiavitù verso il più potente. E allora? Come è possibile che l’italiano fosse più contento sotto una dittatura? La risposta ce la può fornire il grande banchiere americano John Pierpont Morgan che sembra condividere l’opinione di Prezzolini: < In America i nostri uomini politici non si curano se non di un problema, quello della loro rielezione. Tutto il resto non li interessa che mediocremente. Felici voi, italiani, che grazie a Mussolini, avete in questo periodo così difficile il senso della sicurezza e della fiducia in voi stessi. Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini >.
Poi, come rispose Benito Mussolini a Giangiacomo Cabella, nell’ultima intervista concessa alla Voce di Alessandria, a poche ore dal suo assassinio, nel giustificare la guerra: < Le nostre idee hanno spaventato il mondo! >, ovviamente il mondo della grande finanza. Queste parole ben si abbinano a quanto ha scritto lo storico Rutilio Sermonti, nel suo L’Italia nel XX Secolo, a seguito delle nuove concezioni sociali che partivano, una volta ancora, da Roma: < La risposta poteva essere una sola: perché le plutocrazie volevano un generale conflitto europeo, quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira ad evidenziare la realtà storica: soprattutto dell’Italia >. Quindi le plutocrazie, prima provocando la guerra (ci sono Paesi che le guerre le provocano e Paesi che le subiscono, fu la risposta di Mussolini a Sumner Welles, ad una ipocrita domanda di Franklin D. Roosevelt) poi, ponendo in campo tutta la loro demoniaca potenza e, avvalendosi di una nuova arma, la psycological war, tanto prodiga di infamanti notizie e consigli, che potevano essere concepiti solo da menti criminali, vinsero quella guerra del Sangue contro l’Oro. E possiamo solo immaginare il sorriso sarcastico che aleggiava nei volti dei vincitori, allorché sfilarono a Milano dinanzi a quei corpi appesi, osservavano compiaciuti la moltitudine danzante dei cannibali, quasi in attesa di gustare quelle carni. Ebbene, quei rappresentanti delle potenze plutocratiche, portatori di quei benefici di cui oggi godiamo le più intime essenze, possono aver pensato: < Italiani, furbissimi, intelligentissimi >?
Oggi, anzi, dal giorno della sconfitta militare del 1945, siamo sotto il giogo dell’alta finanza: è l’economia che dirige la politica, non viceversa come, al contrario, era stato concepito dal fascismo; la prova viene fornita dall’avvento a capo del Governo del professorino Mario Monti, incaricato dal Presidente Napolitano, con, a monte, l’indicazione di Berlusconi, e, alla fine, il suo placet. Le credenziali di Monti? Eccole, sempre che la fonte sia corretta: < Nel giugno 1981, una commissione di studio, presieduta da Paolo Baffi, direttore generale di Bankitalia, deliberò di seguire lo schema di un giovanotto, molto stimato dal Rothschild (!), tale Mario Monti, il quale propose l’emissione di titoli a lungo termine, con aste mensili e quindicinali, in modo che il rendimento cedolare fosse fissato dal mercato, con scadenze tra i 5 e i 7 anni. Il che, a detta del professorino, garantiva il potere d’acquisto e, secondo gli esiti delle aste, un piccolo rendimento dell’1-2%. Il Tesoro, zufolò Monti, avrebbe avuto da 5 a 7 anni per programmare e finanziare meglio la spesa pubblica. La proposta passò con standing ovation. Il deficit fu come un proiettile. Le spese aumentarono invece di diminuire. Mentre Mario Monti procurava il credito a tassi impossibili, aumentarono tasse e benzina, le spese sanitarie sfondarono di mille miliardi di lirette il finanziamento statale.>
SI RIPRESENTA, COME UNA “ZECCA” APPASSIONATA DALLA PROPRIA INFEZIONE, NEL 1989 COME “CONSULENTE ESPERTO” DEL MINISTRO DEL BILANCIO CIRINO POMICINO. Eppure il premier Mario Monti, chiamato a salvare l’Italia dai gorghi del default, tra il 1989 e il 1992, erano i tempi del sesto e settimo governo Andreotti, non riuscì a impedire il peggio. Cioè l’esplosione del rapporto tra debito e pil, preludio della grande tempesta finanziaria che al principio degli anni Novanta costrinse Giuliano Amato alla manovra da 103.000 miliardi di vecchie lire. In tre anni il peso del debito balzò dal 93,1% del 1989 al 98% del 1991 e al 105,2% del 1992. Un vero boom, insomma, pari al 12,9% in termini relativi e al 44,5% in cifre assolute, da 533,14 miliardi di euro a 799,5 >.
Ora abbiamo una nuova trovata di Monti: la chiamata di Giuliano Amato a controllare i denari dei partiti. Ė questa una Repubblica sana di mente? Ma Amato, secondo l’accusa dello stesso Mario Monti, non è colui che contribuì ad innalzare il debito pubblico?
Vi rendete conto in quali mani siamo?
La soluzione? Per quanto ci riguarda esiste! Saremo dei fissati, ma dovremmo ripartire dal 1945, quando la Grande Finanza bloccò il nostro futuro. Siamo convinti che, a parte l’incapacità e le ruberie messe in atto dalla nostra classe politica, il nostro problema è stato L’Euro. Cioè, e ci spieghiamo meglio, prima di creare l’Europa unita sulla moneta si doveva creare l’Europa politica. Questo non è stato fatto. Quindi: veloce marcia a ritroso. Lo Stato ricrei, velocemente la propria moneta e si riappropri dei diritti di battere moneta, operazione che oggi è stata ceduta, criminalmente, alla BCE (Banca Centrale Europea) che la gestisce a proprio piacere, per arricchire chi è già ricco. Perché non si accenna mai alla più grande truffa, mai nei secoli concepita: il Signoraggio?
Si mandi, dunque, all’inferno, da dove è nato, questo Stato sorto dalla resistenza e si abbia la forza di concepire lo Stato Corporativo, cioè lo Stato del Lavoro, per giungere, poi alla Socializzazione dello Stato. Ė una utopia? Quale uomo è in grado di mettere in atto tutto questo? Abbiamo letto da qualche parte che oggi se tornasse un Mussolini godrebbe della stragrande maggioranza dei consensi. E allora, cari signori, pedaliamo questa bicicletta e con questa andiamo, anche il prossimo anno (salvo che non ci saremo suicidati) a festeggiare il 25 aprile.
Perché tanti italiani sono tanto FURBACCHIONI?