Strategie urbanistiche e strategie infrastrutturali ed economiche, interne e internazionali

14 Novembre 2012

Mino Mini

 

MAGISTER TERRITORII E DINAMICHE INTERNAZIONALI

Ragioni contro le Regioni 2. – La cruda realtà dello spappolamento nazionale a vantaggio del caos urbanistico. – Degrado politico, inefficienza e incapacità di programmare il futuro nazionale ed europeo. – Cosa accade oltre il vicino orizzonte? Turchia e Cina – Cosa accade come diretta conseguenza in Italia? – Malesseri nazionali ed espansionismo cinese.

 

I
Come preannunciato il mese scorso nell’articolo Ragioni contro le Regioni, tratteremo la figura del Magister Territorii da noi ipotizzata come una magistratura tecnica con compiti di coordinamento, indirizzo e controllo delle provincie. A queste, secondo chi scrive, dovrebbe essere affidata la gestione dell’equivalente dei Piani territoriali regionali generali (PTRG) e dei suoi piani di settore la redazione dei quali dovrebbe essere affidata ad organizzazioni extra regionali fuori dalle logiche partitocratiche. Spiegheremo perché, ma non ci facciamo illusioni: la virgiliana auri sacra fames – l’esecranda fame dell’oro – che domina l’agire dei politici allignanti nelle regioni, non permetterebbe mai alcun cambiamento che turbi il loro parassitario esercizio del potere e, oppressi come siamo da questo regime di “recupero crediti” che opera come governo nazionale per conto della finanza internazionale, dobbiamo arrenderci di fronte all’ignoranza togata dei nostri governanti in termini di territorio. Ma se un giorno dovessimo riuscire a riconquistare la sovranità nazionale e << batterci per il nuovo che verrà >> – come dice Franco Jappelli – dovremo preoccuparci di pianificare la rinascita economica e politica. In questa prospettiva, il primo passo dovrà essere quello di togliere alle regioni la potestà di pianificare il territorio.
Ragioniamo: la pianificazione del territorio dovrebbe avvenire a diversi livelli di complessità organica. Cosa significa? Facciamo una piccola parentesi digressiva di carattere metodologico che prenderà lo spazio di un paragrafo e quindi potrà essere, senza danno, scavalcato. La digressione, che è sempre bene rimarcare e ricordare, riguarda la realistica proposizione del rapporto fra il TUTTO e le parti che lo compongono. Perché realistica? Perché in natura, al contrario di quanto avviene nella concezione propria della modernità, la parte, allorché raggiunge il proprio completamento e quindi la propria identità, entra a far parte di un organismo di scala o livello superiore dotato di proprietà e di potenzialità che la parte non possiede. La nuova scala o livello cui l’organismo tende, a sua volta, è il completamento e quindi il raggiungimento dell’identità (l’entelechia): ciò però non costituisce il termine del processo in quanto l’organismo procederà in ugual modo e verrà ugualmente a trasferire ad un organismo di più elevata complessità la sua natura. Ed è così, via scalando o salendo di livello, che si concretizza il continuo processo di formazione degli organismi, anche e soprattutto quelli che nascono dall’attività umana. Fine della digressione. Torniamo al territorio applicando nelle nostre considerazioni, la legge dell’organismo. Il livello di grado più elementare è quello comunale.
Su questa scala, il fine della pianificazione è (o dovrebbe essere) quello di guidare il continuo processo di formazione dell’organismo urbano e della sua area di pertinenza. Il livello immediatamente successivo, come è logico, è quello della formazione dell’organismo territoriale – sempre in atto – le cui parti componenti sono costituite da più comuni in rapporto organico tra loro. Qui si presenta l’interrogativo la cui errata risposta ha generato e sta generando la proliferazione di equivoci e di mala gestione: posto che il territorio è composto dai comuni con la loro area di pertinenza e l’organismo territoriale – nel nostro caso – si identifica con la totalità della penisola dalle Alpi al Lilibeo, quali sono i gradi intermedi di tale totalità? Tradotto in altri termini: dovendo amministrare il territorio, qual’è l’organismo territoriale intermedio tra il comune e la totalità peninsulare che può essere individuato per i suoi caratteri di organicità e quindi di identità? In un tempo come l’attuale, meccanicisticamente votato a risolvere quantitativamente il problema, la risposta finisce per restringersi ad una scelta fra provincie e regioni. In realtà né le provincie né le loro aggregazioni in regioni sono organismi territoriali, ma banali circoscrizioni amministrative che “pour cause” comprendono al loro interno organismi territoriali compiuti e lacerti smembrati di altri organismi. Furono concepite meccanicisticamente sulla base di una sommatoria di comuni e non già sul riconoscimento di entità territoriali scaturite da un processo di formazione organico. Fermiamola qui, altrimenti svieremmo il discorso sugli ultimi atti del regime dei tecnici relativi alla riduzione delle provincie. Per definirne l’insipienza non abbiamo più aggettivi sufficientemente icastici a meno di far ricorso alla coprolalia [kópros (= sterco) e laléō (= chiacchierare)].
Stante il modo in cui queste entità amministrative furono concepite, ogni intervento di inserimento di un manufatto nuovo, di una serie di opere o di nuovi insediamenti in una realtà preesistente viene attuato senza alcuna valutazione dell’effetto che tale inserimento provoca nell’organismo territoriale, che non sia meramente quantitativa. Da qui la distruzione del paesaggio, il degrado ambientale accentuato dal dissesto idrogeologico, le cattedrali nel deserto, l’urbanizzazione selvaggia con consumo di territorio produttivo, etc. etc. Da qui la reazione più o meno motivata degli ambientalisti o quella più o meno strumentale degli stessi messa in atto da organizzazioni internazionali nel quadro di ciò che talora pare essere una una guerra di destabilizzazione economica della nostra nazione. Ma – e siamo al punto – il territorio non può cristallizzarsi nell’immobilismo ed allo stesso tempo non può accettare che entità puramente amministrative, quali le provincie e in specie soprattutto le regioni, agiscano contro la realtà organica provocando il disastro. L’organismo con tutti i suoi organi, per mantenere la sua organicità e con ciò stesso la sua intrinseca natura, la sua identità, deve continuamente modificarsi, ma in senso organico. Deve, cioè, perseguire un fine – l’entelechia – di cui trattammo un mese fa: deve perseguir e raggiungere un suo completamento che non è mai da intendersi in maniera conclusivamente statica. Il completamento del territorio italiano – l’entelechia dell’Italia – che lo vogliano o no gli altri Stati e gli imbecilli di casa nostra manovrati dall’esterno – risiede nel riconquistare l’area di sua più spiccata pertinenza là dove si generò l’Europa: nel Mediterraneo. Quel Mediterraneo, oggi brago dei PIGS, – i “maiali” – dove transita il 30% del traffico marittimo internazionale che, però, tocca i nostri porti in via marginale per carenza di infrastrutture retro portuali: è qui che si sta giocando una partita geopolitica di nuovo conio, una forma di imperialismo basata sul territorio e non sulla finanza. Ne parleremo più avanti. Ma proprio adesso bisogna ricordare ai lettori che all’Italia arrivano dai traffici via mare oltre il 90% delle risorse vitali! Che il nostro territorio sia proteso nel Mediterraneo è di tutta evidenza anche per chi è digiuno di geografia e di geopolitica; che il riscatto economico del nostro mezzogiorno passi dal rapporto che lo stesso può intrattenere con un mercato frontaliero di oltre 74 milioni di abitanti costieri – cioè delle città che si affacciano su questo unico mare – e del loro retroterra mettendolo in relazione con quello europeo, è invece qualcosa che sfugge ai nostri governanti abusivi, ai secessionisti in fregola, ai nord-europei. Cosa manca perché queste opportunità possano essere afferrate? Le infrastrutture, e di conseguenza una pianificazione che ne regoli la realizzazione in armonia con il processo di formazione del territorio. Dato il livello di organicità su cui si deve sviluppare il completamento di cui si è detto è palese che la pianificazione del tutto non può essere affidata alle parti che lo compongono. Nella fattispecie, alle regioni ed all’oscillazione delle vicende politiche con l’inefficienza che ne consegue. Tanto più quando dette parti non hanno identità, non sono, cioè, reali organismi territoriali ma entità amministrative degenerate ed entrate in concorrenza sleale con gli organimi centrali. La pianificazione territoriale, come avemmo modo di affermare, dovrebbe essere lo strumento di ordinamento del territorio e quindi dovrebbe essere di interesse nazionale. Il territorio, infatti, oltre ad essere un “bene” profittevole, come viene concepito dalla cultura economicistica, è innanzitutto il mondo costruito dall’uomo che lo abita e l’abitare, parafrasando Heidegger nel nostro caso, è il modo in cui noi siamo stati sulla terra ovvero il nostro mondo, la nostra civiltà, dove abbiamo “ abitato poeticamente “ per dirla con Hölderlin realizzando la simbiosi di uomo e natura. Ecco perché è di interesse nazionale la sua pianificazione, con sequenzialmente intendesa come strumento per il raggiungimento del suo completamento, della sua entelechia che rende il territorio proteso al superamento della sua dimensione organica peninsulare per divenire Europa. Ma un’altra Europa, non questa.
E’ quindi di interesse nazionale la realizzazione del sistema di comunicazione dei corridoi inter-europei come lo è quello delle autostrade del mare: essa investe altrettanto, e forse più, l’interesse del governo centrale e del Paese in tutte le opere di salvaguardia e, soprattutto, di restauro ambientale e di quelle analoghe che riguardano il paesaggio ed il sistema delle aree protette nonché dei servizi di scala superiore. Da ciò consegue che la pianificazione territoriale dovrebbe competere ad un organismo nazionale e la sua approvazione e adozione dovrebbe essere espressa dal parlamento. Alle circoscrizioni amministrative, in questo caso alle provincie ed alle aree metropolitane, dovrebbe competere, semmai, l’attuazione in concreto del piano nazionale mediante piani locali. E’ qui che entra in gioco la figura del magister territorii. Il magister territorii è, come ribadiamo senza mai stancarci di scriverlo, una sorta di magistratura tecnica composta da esperti del territorio – architetti, ingegneri, geologi, agronomi e forestali, archeologi, meteorologi, geografi etc. – con il compito di svolgere, nei confronti delle provincie, il ruolo di indirizzo, coordinamento, e di controllo dell’attività pianificatrice locale. Verifica, in sostanza, che la pianificazione provinciale attui, a livello locale, le decisioni assunte dal piano nazionale generale e di settore. In quanto magistratura svolge, in campo territoriale, la stessa funzione della Corte dei Conti nei confronti dell’amministrazione dello Stato, per intenderci. Non è il caso, in un articolo come questo, addentrarsi oltre nella descrizione analitica della figura del Magister territorii. Basti fare riferimento a questo requisito – base: la suna natura di magistratura tecnica quale risultante della visione organica del territorio e la sua funzione operativa atta tenere sotto il controllo dello Stato un settore fondamentale qual è quello dell’attuazione della pianificazione di settore dell’organismo territoriale in coerenza e in adempimento della pianificazione nazionale. Questa figura, va da sé, deve trovare la sua definizione all’interno di una nuova legislazione urbanistica che sia espressione di una visione più matura del territorio come organismo simbiotico di uomo e natura e che riconduca allo Stato la pianificazione dello stesso sottraendola alla regione, ente inutile e, per tanti versi, costitutivamente centrifugo e pericoloso.
Ci rendiamo conto, lo avevamo detto all’inizio, della improbabilità, con i tempi che corrono, di veder presa in considerazione la figura del magister territorii con tutto ciò che la stessa implica. In attesa del “nuovo che verrà”, richiamiamo quanto detto a proposito della partita geopolitica che si sta giocando nel Mediterraneo.
II
La Turchia, che si affaccia sul Mediterraneo con due città della consistenza complessiva di oltre 16 milioni di abitanti rivieraschi, schizzata dall’Europa si è affidata alla “profondità strategica” del suo ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu, il quale ha puntato sulla collaborazione con la Cina per il consolidamento delle proprie posizioni e quelle di quest’ultima nel Mediterraneo. Posizioni di tipo strettamente territoriale. Infatti la Turchia sta completando il tunnel ferroviario sotto il Bosforo, il Marmaray, che verrà inaugurato il 29 ottobre 2013. Collegherà ininterrottamente Shangai a Londra. La Cina inoltre ha investito nell’ammodernamento della rete autostradale e nell’alta velocità turche e punta alle commesse per il canale artificiale parallelo al Bosforo e a quelle per la costruzione di centrali nucleari. Qual è il risultato per la Turchia? Uno sbilancio nell’interscambio commerciale: 22 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina a fronte di 2,5 miliardi di esportazioni turche, ma anche la sua infrastrutturazione come snodo fra l’Asia, l’Europa balcanica e l’Africa. Un danno immenso, incalcolabile non solo per i proficui scambi a stelle strisce quanto soprattutto per quelli italiani e tedeschi (quindi, gira e rigira, dell’UE). Germania, Italia e USA sono stati infatti i maggiori esportatori e si sono negli ultimi anni contesa la palma di primo partner commerciale.
E’ stato compreso qui in Italia quale disastro è davanti ai nostri occhi? Quale enorme danno l’insipienza politica dei circoli intraeuropei e segnatamente francesi e tedeschi e la remissività italiana stanno producendo? La Turchia è inoltre la seconda locomotiva mondiale per tasso di crescita, dopo la Cina. E’ la prima testa di ponte mediterranea e quella che da sempre svolge il ruolo di raccordo tra Europa meridionale e mediterranea e Asia occidentale e centrale. E, come abbiamo appena visto, attraverso le repubbliche turco- mongoliche, tra Europa, India e, soprattutto, Cina.
Essa inoltre svolge un ruolo di player centrale a proposito delle strategie mondiali che si stanno realizzando nell’Asia delle repubbliche ex sovietiche turco-mongoliche in merito all’individuazione e allo sfruttamento di nuove enormi risorse petrolifere e di gas e delle pipeline in costruzione. Qui corre la nuova frontiera tra Europa, Russia, Cina, India, Iran e … Stati Uniti.
In Grecia, la Cina si è comprata quasi tutto il Pireo, ma l’Ellade non rappresenta per lei un obiettivo strategico. Lo rappresenta, invece, l’Italia. Si era già comprata un terzo del porto di Gioia Tauro, ma le sue gigantesche navi porta-container, a causa dell’assenza di infrastrutture retro portuali, solo in minima parte scaricano a Gioia Tauro. La maggioranza preferisce affrontare quattro giorni in più di navigazione e scaricare a Rotterdam. Ed ecco che la Cic ( China Investment Corporation ), il fondo sovrano di Pechino, si offre di finanziare e realizzare con il Cccc ( China Communication Construction Company ) il Ponte sullo Stretto di Messina ed una piattaforma logistica che da Gioia Tauro dovrebbe arrivare a Trapani. In sostanza, si tratterebbe di costruire non solo il ponte, ma di rifare tutti i collegamenti ferroviari da Napoli a Capo Passero (Pachino) nella punta sud-est della Sicilia. E non avrebbero timore di operare nel territorio della mafia della ‘ndrangheta e della camorra.
A cosa mirano i cinesi? A fare del Sud la piattaforma logistica per l’Europa ed il Nord Africa. Esattamente quello che più addietro abbiamo detto dovrebbe essere il nostro ruolo nell’Europa e nel Mediterraneo. C’è tanto da riflettere? E di decidersi ad agire, o no?