AMMINISTRATIVE. GRANDE VITTORIA DEL PARTITO DELL’ASTENSIONE. IL QUIRINALE SORVEGLIA MA LA CRUNA E’ STRETTA

12 Giugno 2013

Domenico Cambareri

 

 

 

I PARTITI TRADIZIONALI CONTINUANO A PORTARE L’ITALIA ALLO SFASCIO

PROSPETTIVE FOSCHE. – IL RUOLO DEL QUIRINALE. – QUALE RIFORMA DEL PARLAMENTO?

 

 

 

 

 

 

Non ha un di che bel cantare vittoria, il PD.
Non ha, non avrebbe proprio nulla di cui esultare, il PD, se avesse il minimo di dignità e di coscienza politica e non affaristica.
Solo la tecnica elettorale che impone il calcolo dei voti espressi verso le liste candidate e ad esse assegna i seggi per il “governo” della cosa pubblica – e non potrebbe essere diversamente, per consentire la continuità dell’ “amministrazione” – porta a dire che ha vinto il PD.
Il dato è inequivocabile e non mistificabile.
La prima forza “elettorale”, che al tempo stesso denuncia la paralisi del sistema politico oramai imploso è quella della denuncia della corruzione generale del sistema rappresentativo. E’ quella, cioè, dell’astensione “politica” dal voto. Ossia della denuncia della consumata espropriazione dei diritti fondamentali dei cittadini che si esprimono per mezzo del voto del corpo elettorale e della volontà generale che consegue: diritti e volontà sempre altrimenti canalizzati sul piano concreto dagli esercenti il potere effettivo, ovvero dagli eletti e “rappresentanti” del popolo.
Non si tratta di disaffezione o di semplice denuncia. Il divorzio è oramai netto e totale, e a nulla possono servire dietrologie pseudo politologiche e analisi dei flussi elettorali. Le elezioni amministrative sono da sempre le più soggette alla permeabiltà clientelare e alla corruttela: questi risultati dimostrano abbondantemente che la calamita degli interessi spiccioli e individuali e familiari non ha più coinvolto come prima.
Il sistema dei partiti ha continuato, anche sotto il governo Monti e sotto il nuovo governo, a mantenere inalterata la divisione netta degli italiani in due campi:
da un lato, la platea dei soggetti partitici e di tutte le macro e micro realtà che da essa dipendono in modo palese od occulto e che vivono dei proventi del popolo italiano, non ultimi i dipendenti delle “authority”;
dall’altra parte, la gran massa del popolo, indipendentemente dalle estrazioni culturali sociali “ideologiche” ed economiche individuali.
Se poi dovessimo mettere i puntini sulle i, ossia sui dati elettorali nel loro corretto significato, scopriamo come il PD è il grande sconfitto, in quanto la gran massa del voto dell’astensione conferma che il deflusso è avvenuto alla grande dal cosiddetto centrodestra.
In realtà, purtroppo, la realtà del bipolarismo continua a naufragare nel mare di una inarrestabile reciproca omologazione sul piano della più pure a cinica complicità affaristica, ossia degli interessi di gruppo e dei loro collegati e subordinati. Ogni esercizio politologico e di teorie riformistiche cozza contro questo dato che è ancora l’indiscusso egemone del Paese: l’occupazione partitocratica delle istituzioni e di tutti i gangli importanti della fisiologia sociale nazionale, che dura dalla nascita stessa della Repubblica. Occupazione perpetuata da pseudo aristocrazie corrotte, clientelari, marce, nella dinamica delle cose … mafiose.
Si salva, come movimento di protesta, il movimento 5 stelle, che, al dì là delle tante espressioni anarcoidi di fondo e delle battaglie non condivisibili e censurabili, rimane ad oggi l’unico strumento tattico di dissenso “attivo” che l’elettorato ha a disposizione, e su cui può dirigere il proprio voto al fine di farlo valere più di qualcosa nella contestazione nel controllo e nella lotta alle scelte dei poteri politici amministrativi centrali e periferici.
Purtroppo, anche i novatori alla Renzi e chi si vuole proporre come volto nuovo, e i megalomani dirigisti alla Brunetta continuano a non voler capire tutto questo e a perseverare nello sporco gioco. O non possono proprio capirlo?
Bene la grande batosta che ha preso Alemanno, l’autore dello stupidario della formula 1 all’Eur e il greve continuatore dello scempio urbanistico della sinistra straborghese e parassitaria. Bene anche per quello che questo fanfaluca arrivista non meno di tanti altri ha compiuto, prima vivendo sul fruttuoso continuiamo di “uno di noi” e poi su quello dei fidi di Silvio verso cui poi si è rivoltato. E’ espressione palpitante della pseudo destra dei fidi e dei non fidi seguaci di Silvio spara balle, e del volto più becero dell’Italia dei falliti che ci governano.
E Marino? Non è trionfatore né vincitore, ma colui il quale ha raccolto dalla polvere un alloro divorato dai parassiti e maculato con il sangue dei veri proletari e dei borghesi piccoli piccoli ma veri e proletarizzati dalla mafia partitocratica dei magnaccia della borghesia politica e del tenebroso mundus della sua suburra, di cui la famigerata trimurti con le sue sterminate ricchezze mobiliari e immobiliari e il suo ceto giammai scalfito resta il fiore all’occhiello dell’altro ieri, di ieri e di oggi.
Alla faccia degli anziani, degli esodati e dei giovani. Le trasparenti, belle parole di lotta del capo della Cisl ne costituiscono la più veritiera controprova, ossia lo scherno sine die degli epitaffi giornalieri.
In un tal sconquasso, checché se ne possa più o meno strumentalmente pensare in base ai lidi politici di appartenenza, sull’uomo con il suo passato e con le esclusive responsabilità costituzionali di questi anni, e sulle dolorose e discutibili scelte che ha dovuto intraprendere anche in solitudine, l’unico argine di contenimento è rappresentato dal capo dello Stato. Giorgi Napolitano non ha certo i poteri del cancelliere tedesco e men che mai i poteri del presidente della repubblica francese o del primo ministro britannico, ma ha dimostrato di sapere salvaguardare le prerogative costituzionali che gli spettano e di pedinare passo dopo passo governo e parlamento.
Almeno in questo, ad iniziare dalla presidenza di Ciampi, il presidente della Repubblica ha fermamente rifiutato di farsi declassare a semplice notaio degli accordi dei capi partito, cosa a cui era stato ridotto in tutti i decenni precedenti, salvo rarissime e circostanziate eccezioni.
Ad ogni aumento del peso del presidente consiglio, abbiamo già scritto, deve corrispondere un non minore peso riequilibrante della presidenza della Repubblica. Non di meno, di fronte ad ogni accentuazione della deriva partitocratica o delle paralisi istituzionali da essa generate, deve corrispondere il potere d’intervento del capo dello Stato. Ciò è già in atto da diversi anni, ma la cruna costituzionale è obiettivamente assai stretta. Un motivo in più per procedere nell’attuazione delle riforme costituzionali, allontanando però il pericolosissimo e ultra demagogico obiettivo di diminuire il numero dei parlamentari, cosa su cui vi è un’incredibile coralità partitica che, più che appagare, ubriaca questa emotiva ma razionalmente insensata richiesta del popolo. A furor di popolo, dunque, per raggirare proprio il popolo e rafforzare con codesto dissennato meccanismo il livello della futura oligarchia politica, ossia partitocratica. Un quadro molto fosco e per niente tratteggiato da altri, per quanto possiamo sapere. Perché mai?
Non sono certo il numero dei parlamentari a fare la differenza, in linea di massima corrispondenti per di più a quelli britannici e francesi, ma la qualità degli uomini che vengono candidati e votati e la cornice di riferimento partitocratica o di ordinario esercizio rappresentativo del modello democratico.
In tutta solitudine, non ci stanchiamo di ribadire, con convinta serenità intellettuale e con non minore preoccupazione politica, questa tesi. Per il bene del Paese.