Destabilizzare, ad ogni costo. Ecco la caricatura della verità operata da Obama contro la Siria

02 Settembre 2013

Domenico Cambareri

 

 

 

 

EUROPA E OCCIDENTE ALLA DERIVA

Intervento umanitario o arrogante e impune manifestazione di bandistismo internazionale?

L’intervento a fin di di bene per bloccare ogni ulteriore impiego di sarin (e non del micidiale gas nervino, che i siriani neppure lontanamente possiedono, ma che detengono invece israeliani, inglesi, francesi e americani) vale soltanto per dare ossigeno ai cosiddetti “patrioti” ovvero alle molteplici e variegate opposizioni armate tra di loro in aperta lotta, che non riescono a incrinare la solidità di un regime che a noi occidentali sembrava molto meno granitico. Sappiamo che tra queste molteplici fazioni quella più organizzata e che sta prendendo sempre più piede pare essere proprio quella al qaedista. – Condividiamo la posizione assunta dal ministro degli esteri italiano Emma Bonino e dal  capo del suo governo e speriamo che essa possa diventare punto di riferimento per altri Paesi dell’EU e del Mediterraneo allargato, ad iniziare dall’incerta Germania (Merkel: intervento umanitario). Speriamo in conclusione in tardivi ripensamenti del partito dei guerrafondai, ad iniziare dal governo inglese dopo la non condivisione espressa dal parlamento. Auspichiamo soprattutto che negli USA possano nascere condizioni di affrancamento oggi impensabili dalle lobby sioniste, finanziarie e dei grandi e spesso oscuri tessitori di strategie planetarie a dir poco megalomani e schizofreniche.

Finalmente Obama ha gettato la maschera di attore melodrammatico: ha superato il primo e forse ultimo guado. Ha proclamato alto e chiaro che vuole intervenire in Siria per (pretesi) fini umanitari e che, da buon presidente democratico, aspetta le decisioni del congresso statunitense. Una condotta in apparenza senza piega, limpida e trasparente nel rispetto formale dell’altra voce espressione della volontà del popolo, mentre ha raccolto attorno a sé, in posizione univoca, questo gabinetto governativo di estrazione democratica. In realtà, Obama avrebbe potuto e potrebbe in queste ore e in questi giorni di attesa forzare la mano e scatenare l’attacco, visto che la storia del power act americano è costellata di molteplici, unilaterali iniziative belliche assunte autonomamente da precedenti presidenti a stelle e strisce, indipendentemente dalla volontà parlamentare o prima che essa si esprimesse.
La posizione di Obama ha purtroppo i caratteristici tratti caricaturali e beffardi di una commedia assolutamente ridicola che si trascina da mesi. Innanzitutto, in questo quadro, è lo stesso Obama ad avere sbeffeggiato il suo ruolo. Presidente riletto che nomina agli esteri un ex candidato democratico sconfitto nella corsa delle presidenziali, Kerry, il quale aveva promesso già prima di lui una radicale svolta nella politica americana; presidente rieletto che alla difesa ha nominato un uomo che, dopo un’era dalla durata incredibile, non pende dalle labbra dei sionisti, eppure … a diversi mesi dall’inizio del nuovo mandato Obama e la sua amministrazione rimangono ad operare in apnea e sottoschiaffo continuo. Il perché è presto detto: la strategia planetaria americana rimane quella formulata da oltre un quindicennio dai teorici del nuovo impero ed espressione di think thank “neoconservatori” la cui origine e il cui dna democratico e super interventista ha squassato gli equilibri interni di queste attività svolte sia “sottocoperta” quanto in plancia.
Riteniamo di non esprimere valutazioni viziate da pregiudizi, né gravi e veniali, e invitiamo i lettori a rileggere in particolare le nostre analisi scritte ai tempi della vigilia della seconda guerra del golfo, del secondo attacco all’Iraq, quando gli USA in Europa ebbero, tra le maggiori potenze, solo la stampella inglese, e videro la completa contrarietà francese e tedesca. L’intervento italiano voluto dall’”amerikano“ Berlusconi fu da noi condiviso come necessità da assumere a denti stretti al fine di non isolare eccessivamente e repentinamente la maggiore potenza, il “poliziotto internazionale”, perché ciò avrebbe potuto scatenare imprevedibili e gravi fraintesi e ritorsioni reciproche, indebolendo oltremodo i già fragili denominatori comuni oltre ogni pessimistica previsione; e perché avrebbe consentito all’Italia, scesa in campo al fianco di Washington, di potere esercitare un ruolo di moderazione nelle più diverse situazione e nello sviluppo dei più differenti scenari. Purtroppo, le cose non andarono così perché Berlusconi si appiattì totalmente e acriticamente sulle posizioni del fanatico oltranzista Bush jr.
In politica estera, d’altronde, l’Italia non avrebbe potuto spingersi oltre giacché le superbe qualità del venditore del terziario e dei prodotti del consumismo in altri campi erano davvero fragili, incolte e presuntuose manifestazioni in quest’ambito e non ci si potevano aspettare miracoli dai suoi consiglieri, compresi quelli militari, che forse e perfino lo indirizzarono nei modi meno adeguati. Lo sciovinistico esercizio del ricorso alle “amicizie personali” con alcuni dei maggiori leader come Bush e Putin, esibito in pubblico in modo istrionesco, e non il motto di spirito ma la greve e terribile sciocchezza secondo cui l’Italia non aveva bisogno di portaerei esprimono il grado di vacuità caratteriale e di impreparazione politica su questioni della massima delicatezza attinenti ai controlli delle vie di comunicazione, della loro sicurezza e della indispensabile sufficienza energetica da parte del nostro vecchio premier.
Fermo rimane il fatto che la seconda guerra irachena, non meno della prima, non aveva fondamento alcuno sia in termini di “diritto internazionale” sia di intervento umanitario e serviva soltanto ad attuare la strategia dell’impero neo-conservatore, ovvero a prolungare l’esercizio del potere secondo gli originari schemi della strategia di Kissinger, cioè a saldare le prospettive presenti e future con la precedente impostazione dell’ex consigliere per la sicurezza e ministro di Nixon. E non di meno di quella realtà storico-economico-politica, ancora antecedente e fondativa, realizzata tra fine ottocento e fine prima guerra mondiale dagli inglesi e dai francesi, che aveva portato ad amputare il Kuwait dalla Mesopotamia solo per avere sotto diretto e assoluto controllo le cospicue riserve petrolifere di questa piccola appendice geografica e per inibire un concreto accesso al mare a Bagdad.
L’errore di Saddam Hussein, d’altronde, era stato quello di avere osato sfidare a viso aperto le grandi potenze occidentali, alle quali aveva voluto dimostrare di non essere stato soltanto un loro “mercenario” e utile idiota nel decennale conflitto contro l’Iran. La seconda invasione dell’Iraq, dunque, con la scusante scandalosa dell’11 settembre e della guerra al terrorismo degli esclusivisti di al Qaeda & compagni servì per togliere di mezzo Saddam Hussein al fine di porsi definitivamente a ridosso del reale obiettivo, l’Iran; di preservare al contempo la navigabilità del golfo, vera giugulare dei rifornimenti petroliferi, in caso di conflitto; di controllare tutte le accresciute risorse petrolifere individuate nell’area dalle più recenti prospezioni. E ancora, di interrompere definitivamente la riscossione di una parte delle risorse che alimentavano la resistenza palestinese. Infine, salvaguardare interamente gli assetti e le alleanze segrete con Israele e le entità politiche della penisola arabica.
Diversi obiettivi da raggiungere  con una sola invasione “liberatrice”.
Con l’assoggettamento dell’Iraq, l’obiettivo statunitense perseguiva e raggiungeva il suo primo, reale clou alla luce della sua dottrina imperialistica che già da tempo è comprensibile a tutto tondo, ossia quella di imporre e realizzare una situazione di endemico caos interno. Ovvero di definitiva pseudo “pacificazione” che è ciò che correttamente hanno realizzato con la conquista e il susseguente psuedo riscatto nazionale iracheno: la frantumazione anarcoide e sanguinaria interna tra settarismi religiosi e etnici, moltiplicata dall’intervento ininterrotto del migliore alleato sul campo degli USA: al Quaeda. Questo è il contenuto quotidiano della vita irachena che altrimenti, in termini di dottrina americana, è la destabilizzazione sistematica di una regione d’importanza cruciale.
Alle amministrazioni americane e ai potentati economico-finanziari che si celano dietro le mosse politiche non importa un bel niente di “esportare la democrazia” e di altri rozzi e criminali slogan, quanto quello di portare a compimento la completa destabilizzazione del Vicino Oriente.
Con ciò, gli USA realizzano l’azzeramento (programmato) di regimi si violenti ma che tuttavia rappresentavano il “meno peggio” e il più elevato tasso di diffusione di aspetti peculiari del modello di vita quotidiana occidentale, sia nella formazione culturale dei giovani studenti e dei nuovi quadri civili e militari, sia degli influssi nei modelli politico-statuali non solo sul piano meramente formale, che avevano determinato il raggiungimento di difficilissimi equilibri interni altrimenti impossibili da raggiungere. In tal modo, gli USA preservano l’esistenza delle diverse dinastie regnanti nella penisola arabica, ad iniziare da quella saudita, il cui climax dei valori civili è rimasto nella fonda notte di quel che in occidente chiamiamo medio evo. E preservano l’accrescimento ininterrotto delle metastasi sioniste e la loro intoccabilità.
A proposito delle armi chimiche e dell’utilizzazione del sarin da parte di Assad, non mettiamo in conto che gli USA e i loro accoliti francesi e inglesi debbano per forza mentire, ma denunciamo come le prove da essi raccolte valgano non in quanto comunicate agli altri interlocutori internazionali all’Onu e all’opinione pubblica a cui si rivolgono incessantemente con una sapiente campagna psicologia, ma per quanto essi affermano come dispensatori di verità non verificate. E’ lo stesso modello comportamentale adottato nel caso delle due precedenti invasioni dell’Iraq prima ricordate e che si è rivelato totalmente falso.
I presidenti americani e i premier inglesi e i loro maggiori collaboratori civili e militari, cioè, hanno per anni esercitato deliberatamente la politica delle falsificazioni dei documenti dell’intellingence al fine di coinvolgere altri governi e popoli, l’ONU e la “pubblica opinione” mondiale nell’attacco secondo giustizia e umanità contro l’Iraq. In questo, i presidenti USA si sono dimostrati maestri insuperabili, e l’attacco giapponese al Pearl Harbour rappresentò l’apoteosi della strategia di Roosvelt tesa a far entrare la sua nazione nel conflitto a qualsiasi costo. A qualsiasi costo.
Sappiamo bene che alla classe politica americana e non di meno a quella inglese non importava alcunché del massacro operato da Saddam Hussein già anni prima di tutti gli esseri viventi di un piccolo centro curdo con proiettili chimici, e di altri minori casi, o dell’utilizzazione degli stessi armamenti durante i nove anni di guerra tra Iran e Iraq. Idem dicasi per il contesto della guerra civile siriana, scatenata con le istigazioni e gli aiuti occidentali. Nulla egualmente importava agli americani delle falsificazioni operate dalle bande terroriste degli albanesi del Kosovo, e quando essi se ne avvidero, per quanto in questi temi non è opportuno dire mai che è troppo tardi, quando si avvidero delle fregature che i loro protetti gli avevano elargito, certo non cambiarono tattiche strategie e finalità pur di amputare la Serbia e creare il mostro fantoccio del Kosovo.
Sappiamo bene che la demagogica denuncia circa la necessità di intervenire in Siria non ha nulla a che vedere con la difesa di alcun vitale interesse americano, cosa a cui sarebbe “correttamente” (per gli USA) legata ogni decisione del presidente Obama in merito al già citato power act presidenziale, completamente sganciato dalla volontà del congresso. L’intervento a fin di di bene per bloccare ogni ulteriore impiego di sarin (e non del micidiale gas nervino, che i siriani neppure lontanamente possiedono, ma che detengono invece israeliani, inglesi, francesi e americani) vale soltanto per dare ossigeno ai cosiddetti “patrioti” ovvero alle molteplici e variegate opposizioni armate tra di loro in aperta lotta, che non riescono in alcun modo a incrinare la solidità di un regime che a noi occidentali sembrava molto meno granitico. Sappiamo che tra queste molteplici fazioni quella più organizzata e che sta prendendo sempre più piede pare essere proprio quella al qaedista. Questo intervento perciò non ha come obiettivo la neutralizzazione degli arsenali chimici siriani, anche per il rischio dei susseguenti imprevedibili effetti collaterali.
E’ altresì bene ricordare che gli USA sono moralmente sul banco degli imputati da decenni, ma che nessun tribunale internazionale li ha mai giudicati o li sta giudicando in quanto i trattati vigenti sulle armi chimiche sono stati redatti ad usum delphini. Gli USA e la Raf inglese da loro armata bruciarono con le bombe al fosforo una quantità incalcolabile di tedeschi. Dalle bombe al fosforo alle bombe al napalm, siamo sempre in presenza di armi micidiali e di ricadute chimiche e di bombardamenti disseminati in molte parti del mondo, con al centro il Vietnam e tutta l’Indocina. Ad esse sono da associare i defolianti, sempre utilizzati nel sudest asiatico con effetti aggiuntivi non meno terribili sugli uomini sugli animali e sulla flora. Grandi crimini contro l’umanità mai giudicati. Ad essi sono da aggiungere quelli – davvero unici – contro le popolazioni inermi delle due città giapponesi azzerate dalle bombe atomiche e la sovraesposizione di soldati e civili alle esplosioni sperimentali avvenute negli USA e nei territori soggetti ai francesi e nei paesi limitrofi, in particolare il Sahara occidentale; sovraesposizione che durò per anni, quando ormai erano acclarati i danni provocati dal semplice esporsi senza strumenti protettivi idonei in un ambiente assoggettato agli effetti radioattivi delle esplosioni atomiche e nucleari.
Le stesse considerazioni generali e in parte specifiche qui non possono che valere per i governi inglese e francese. Vi sono ulteriori aggravanti per i tre compagnoni: questa è l’ennesima manifestazione scellerata di potenze “liberali e democratiche” che ritengono di avere le sorti dei popoli in loro mano e che purtroppo si sentono protetti dall’assurda, tragicomica e criminosa articolazione del consiglio di sicurezza e dai privilegi esclusivi che ancora oggi sono appannaggio delle cinque potenze vincitrici di Italia, Germania e Giappone.
Questa è altresì la manifestazione più palpabile, dolorosa e deleteria di come il progetto della reale unificazione europea rimarrà una mera utopia sino a che gli sciovinismi di signorotti di campagna al servizio del grande capitale finanziario e delle lobby sioniste non saranno cacciati definitivamente dai loro scranni governativi dai sudditi inglesi e dai cittadini francesi.
Condividiamo la posizione assunta dal ministro degli esteri italiano Emma Bonino e dal  capo del suo  governo e speriamo che essa possa diventare punto di riferimento per altri Paesi dell’EU e del Mediterraneo allargato, ad iniziare dall’incerta Germania (Merkel: intervento umanitario). Speriamo in conclusione in tardivi ripensamenti del partito dei guerrafondai, ad iniziare dal governo inglese dopo la non condivisione espressa dal pprlameto. Auspichiamo soprattutto che negli USA possano nascere condizioni di affrancamento oggi impensabili dalle lobby sioniste, finanziarie e dei grandi e spesso oscuri tessitori di strategie planetarie a dir poco megalomani e schizofreniche.