Difesa, protezione civile, industria e lavoro: quali nuove navi deve costruire la Marina, e perché?

 02 Marzo 2014

Domenico Cambareri

Al crocevia tra industria e lavoro, diplomazia e strumento militare: approntamento contro i grandi disastri e per gli interventi umanitari. Per l’Italia, l’Unione Europea e la Nato

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                                                                                                                                 Modello del progetto Fincantieri

Un articolo non solo per gli addetti ai lavori e per la stampa, ma anche per il cittadino che desidera essere informato e conoscere cose di cui non si parla, se non a casaccio.

La tipologia di queste navi rappresenta il non plus ultra anche rispetto alle portaerei nella loro utilizzazione per aiuto e assistenza alle popolazioni colpite da distruttivi e luttuosi eventi e in particolare da grandi disastri naturali, e per operazioni umanitarie di largo respiro e durata. – La notizia d’agenzia dello scorso mese di gennaio secondo cui la Turchia avrebbe deciso di dotarsi di una nave da trasporto polifunzionale per operazioni anfibie lascia di stucco. – Non possiamo tacitare l’esplicito e doveroso riferimento al potenziale lavoro perso da parte dei cantieri italiani, e quindi al lavoro che sarebbe stato assicurato per diversi anni a migliaia di lavoratori dell’industria navale e di quelle collegate, ad altissima tecnologia elettronica e aeronautica, oltre alle tante aziende minori dell’indotto industriale, qualora fosse stata ottenuta qualche commessa. – Le radicali trasformazioni geopolitiche avvenute e in atto a livello di “Mediterraneo allargato” (che comprende l’Atlantico centro occidentale e la cruciale porzione dell’Oceano Indiano compresa fra le coordinate del Kenia a sud-ovet e dell’Iran a nod-est) e a livello planetario, nel contesto della multipolarità, dell’instabilità diffusa con molte aree di accentuata crisi e di conflitti pericolosi, in particolare in quelli a noi geograficamente prossimi e perfino contigui; la non sicurezza delle vie di comunicazione marittima, specie quelle delle rotte dei rifornimenti energetici così come dei tracciati dei gasdotti e degli oleodotti in funzione, in via di realizzazione in contesti e teatri operativi terrestri in cui il ruolo della proiezione marittima è fondamentale, danno maggiore vigore all’impellenza della ulteriore revisione delle priorità strategiche e di sicurezza di questi approvigionamenti per noi vitali. E danno non minore vigore all’esigenza del mondo del lavoro e dell’industria. –

Si parla di una nave polifunzionale di 20.000 tonnellate a p.c. e 15.000 standard. Se così davvero stessero le cose, tutto ciò sarebbe una spesa destinata ad una cosa sottodimensionata, superata, quasi vecchia e ammuffita; una spesa definibile superflua e poco produttiva … perfino uno sperpero. – Essa desterebbe la nostra massima perplessità per cotanta inaspettata e inaccettabile miopia della Marina Militare. Sarebbe un voler realizzare una nave per gli anni ’20 – ‘ 40 di questo nuovo secolo con i requisiti operativi sviluppati in base agli scenari degli anni ’90 del secolo precedente. Sarebbe come dire che quel che è accaduto e sta accadendo nel contesto planetario delle marine da guerra e della cantieristica non abbia alcun significato. – Una simile unità avrebbe una capacità di carico e di trasporto inferiore di quasi il 40% rispetto alla Juan Carlos e alla Camberra, un ponte di volo inadeguato all’imbarco e alle operazioni ordinarie e non episodiche con elicotteri medio – pesanti in contemporanea con aerei S/Vtol e convertiplani. – L’Italia aveva ed ha un’unità con caratteristiche quasi adeguate per questo compito (già operativa da qualche anno, a differenza del Juan Carlos), senza grave detrimento per gli obiettivi paganti qui delineati. Sarebbe la Cavour. Ci pare strano che Fincantieri non abbia promosso una variante, una versione apposita nella lista dei suoi progetti, o che non ne abbia sviluppata, alla luce di questa esperienza, una nuova e del tutto ad hoc, e non l‘abbia proposta alle marine straniere interessate ad un simile tipo di unità (nelle dotazioni elettroniche e d’armamento esemplificate, ma in grado di “spuntare” qualcosa in più rispetto al modello spagnolo). – Nel frattempo, alla Marina italiana non rimane altro che utilizzare per la seconda volta la portaerei Cavour, per metà anch’essa già superata per validi compiti di portaerei leggera, come emporio galleggiante a pro dell’industria nazionale e delle associazioni di assistenza umanitaria.

 

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 Classe Mistral della Marine Nationale, tre unità più                                                                                                                            due ordinate dalla Russia. Sono prevedibili ulteriori ordini.

 

La notizia d’agenzia dello scorso mese di gennaio secondo cui la Turchia avrebbe deciso di dotarsi di una nave da trasporto polifunzionale per operazioni anfibie ” tridimensionali”, con impiego di mezzi da sbarco e di elicotteri, lascia di stucco. La Turchia avrebbe scelto la classe Juan Carlos dei cantieri spagnoli.
Non tanto per le scelte tecnico-operative, strategiche e politiche che ne stanno a monte (e che andrebbero attentamente ben vagliate, pur con tutta la massima apertura e benevolenza), quanto per il contesto economico-politico e tecnologico che in prima battuta qui ci interessa e che intendiamo delineare. Per informare correttamente i lettori e in particolare le orde di giornalisti completamente ignoranti o al minimo stupidissimi sprovveduti, come e non meno dei “politici” e dei politicanti di qualsiasi latitudine partitica ed estrazione ideologica che in modo siffatto sono venuti a scrivere e scriveranno, ancora volgari banalità e erronee e bugiarde baggianate, toccando il fondo della mistificazione.
Questa notizia d’agenzia è in perfetta accoppiata con l’altra informazione: i cantieri spagnoli hanno ultimato e trasferito via mare in Australia la prima delle due navi da trasporto e d’assalto anfibio commissionate da quel Paese, dove adesso è in fase di approntamento. Queste due navi sono gemelle di quella costruita per l’Armada ispanica: uno scafo di cui risparmiamo di elencare le caratteristiche generali, indicando però che la stazza a pieno carico equivale grosso modo alla portaerei leggera italiana Cavour: circa 28.000 tonnellate. Con la Turchia, dopo lo strepitoso successo avuto con l’Australia, la Spagna dunque avrebbe inanellato un ulteriore importantissimo ordine per i suoi cantieri navali e dunque per i suoi operai e ingegneri e per la sua economia.
C’è da dire che la Spagna ha già in servizio un piccolo e oramai vecchio incrociatore porta aeromobili, o sea control ship, rapportabile al Garibaldi italiano ( ma meno sofisticato nelle dotazioni elettroniche e d’armamento ); e che già aveva costruito due navi da trasporto per operazioni anfibie (classe Galicia) grandi almeno il 50% in più della classe italiana San Marco, in un progetto comune con l’Olanda, che ne aveva costruito una per la propria marina. Il caso di già problematico è a nostro parere rappresentato dalla Francia, che, dopo la costruzione di due navi per operazioni anfibie (LPD) dei primi anni ‘90,Siroco e Foudre, con 12.000 t.p.c. : quindi quasi il 50% in più delle San Marco, ha realizzato nello scorso decennio altre tre navi di maggiori dimensioni, con ponte di volo continuo (acronimo francese BTC, che combinano le caratteristiche di LPD e LHD, ovvero di navi trasporto per operazioni con mezzi da sbarco e nave trasporto per operazioni con elicotteri; 16.500 t. standard, 21300 a pieno carico): Mistral, Diximud, Tonnerre . La Russia ne ha ordinate due ai cantieri francesi, con opzione per altre due. Esse si collocano al di sotto delle caratteristiche del Cavour (concepibile in versione LPD/LHD, come nell’originario e perciò “ibrio” progetto per una portaerei troppo tuttofare) e delle navi costruite in Spagna In questo contesto, evitiamo di citare la marina di sua maestà britannica per rendere più omogeneo il contesto, salvo quanto verremo più in avanti a scrivere. La differenza di 6000-7000 tonnellate in meno, cioè di oltre il 30% in meno, diventa cosa rilevante, laddove il leggero se non irrisorio aumento dei costi di costruzione dello scafo risulta poco significativa rispetto alla più accentuata capacità di imbarco e versatilità operativa del prodotto finale.
Per dare una più completa ma generale informazione, c’è da dire che: – queste navi sono ovviamente in grado di imbarcare aerei S/Vtol come gli Harrier II Plus o il futuro F35 (al centro di inesauribili, giustificate polemiche) per fornire un appoggio diretto alle truppe da sbarco; – esse hanno un tonnellaggio inferiore alle ben più grandi unità statunitensi stimabile attorno al 40% in meno (queste ultime operano con aerei Harrier imbarcati in via permanente e hanno iniziato a ricevere i futuristici convertiplani Osprey per il trasporto dei marines); – la tipologia di queste navi rappresenta il non plus ultra anche rispetto alle portaerei nella loro utilizzazione per aiuto e assistenza alle popolazioni colpite da distruttivi e luttuosi eventi e in particolare da grandi disastri naturali, e per operazioni umanitarie di largo respiro e durata, visto il grande ospedale di cui sono forniti e la notevole capacità di imbarco di mezzi e di ricovero di persone negli alloggiamenti per le truppe da sbarco.
Infine, nel contesto che abbiamo appena delineato, precisiamo che Fincantieri sta per ultimare la costruzione di una nave per operazioni anfibie e di appoggio a unità minori per la marina algerina, ma la stazza è di oltre tre volte inferiore rispetto alle navi francesi e di quattro volte rispetto a quelle  ispaniche, essendo una versione aggiornata delle piccole “San Marco”.
E’ da presumere con certezza che di questi contesti, che implicano simultaneamente conoscenze sulle dinamiche inerenti diversi altri ambiti che qui sottaciamo, la stragrande maggioranza degli squallidi politicanti e giornalisti italiani nulla sappia e voglia sapere, o quasi. Non possiamo però qui tacitare l’esplicito e doveroso riferimento al potenziale lavoro perso da parte dei cantieri italiani, e quindi al lavoro che sarebbe stato assicurato per diversi anni a migliaia di lavoratori dell’industria navale e di quelle collegate, ad altissima tecnologia elettronica e aeronautica, oltre alle tante aziende minori dell’indotto industriale, qualora fosse stata ottenuta qualche commessa.
Purtroppo, molti sono ancora con estrema facilità vittima delle ubriacature demagogiche para e pseudo-pacifiste, disfattiste e di quanto improntato alla più riprovevole e autolesionistica semplicioneria nazionale per come agiscono e operano non pochi di coloro che esercitano i loro ruoli nei delicati settori dell’informazione e della politica. Ubriacature demagogiche che hanno prodotto e continuano a produrre guasti enormi non solo a livello politico e industriale ma anche e soprattutto culturale e lavorativo, accentuando il depauperamento produttivo e competitivo dovuto anche ai fenomeni macroeconomici e speculativi internazionali.
In tale contesto, è doveroso informare sul fatto che in appena due decenni la Spagna, che ha iniziato dal nulla, ha conquistato una non insignificante posizione nelle commesse ottenute da più Paesi per la produzione di naviglio sottile e medio (vedette, cannoniere missilistiche, corvette; fregate) e infine, come stiamo vedendo, di navi di grandi dimensioni, ed ha sostituito l’Italia in questa posizione di mercato e insidiato non poco le posizioni di Francia, Regno Unito e Germania.
In merito al mondo della tecnologia navale militare con spiccate caratteristiche d’impiego duale (militare e civile), degli ordinativi di unità già avvenuti nei contesti internazionali e del lavoro che ne discende, e alle obiettive esigenze nazionali, cosa è accaduto in Italia? Non semplicemente una condizione di improduttiva stasi, quanto l’azzeramento sistematico del tentativo della Marina Militare di dotarsi di navi di siffatte caratteristiche. In meno di un decennio, la Marina ha cercato più di una volta di bypassare in sede di commissioni parlamentari quella della difesa, in cui scandalosamente il clima non si presentava favorevole, per tentare attraverso quella a cui afferisce la protezione civile. Ma la positiva decisione assunta l’ultima volta venne stoppata dalla commissione difesa della camera coinvolta.
La Marina Militare ha già da un decennio un’indifferibile necessità di dotarsi di navi siffatte non solo per sostituire le vecchie e molto usurate San Marco, San Giorgio e San Giusto (quest’ultima svolge anche il compito di nave scuola). Quanto anche per adeguare alle nuove esigenze le caratteristiche complessive delle nuove unità, visto che le missioni da svolgere sono enormemente cresciute di numero, dimensioni, modalità d’impiego e teatri operativi. Missioni non strettamente nazionali quanto soprattutto realizzate in ambito ONU, NATO, OSCE e già UEO, per gli accresciuti impegni assunti dal parlamento e dai governi italiani già da molti anni. Compiti internazionali, anche umanitari, che non accenneranno a decrescere a breve e medio termini.
Le radicali trasformazioni geopolitiche avvenute e in atto a livello di “Mediterraneo allargato” (che comprende l’Atlantico centro occidentale e la cruciale porzione dell’Oceano Indiano compresa fra le coordinate del Kenia a sud-ovet e dell’Iran a nod-est) e a livello planetario, nel contesto della multipolarità, dell’instabilità diffusa con molte aree di accentuata crisi e di conflitti pericolosi, in particolare in quelle a noi geograficamente prossime e perfino contigue; la non sicurezza delle vie di comunicazione marittima, specie quelle delle rotte dei rifornimenti energetici così come dei tracciati dei gasdotti e degli oleodotti in funzione, in via di realizzazione in contesti e teatri operativi terrestri in cui il ruolo della proiezione marittima è fondamentale, danno maggiore vigore all’impellenza della ulteriore revisione delle priorità strategiche e di sicurezza di questi approvigionamenti per noi vitali. E danno non minore vigore all’esigenza del mondo del lavoro e dell’industria di dovere produrre sia per le necessità nazionali disconosciute se non ridicolizzate incoscientemente, sia nel contesto della competitività internazionale dei cantieri navali e dell’industria ad alta ricaduta tecnologica..
Il ruolo della nostra marina in tutto ciò è di primissimo piano. Gli inviluppi pluridecennali della nostra politica e della sua incultura invece si sono mossi in direzione opposta. Ed oggi si torna a parlare di nuove navi solo nel momento in cui la piccola flotta di cui disponiamo è giunta al tracollo generazionale e di vetustà operativa.
Questa nuova specie di “legge navale” arriva a quasi quarant’anni della prima, che fu del 1975. Essa è spuntata nel bel mezzo della legge di stabilità varata dal parlamento a fine anno 2013, su proposta del governo, grazie all’attivismo dei vertici della Marina Militare, su cui torneremo più in avanti con un altro articolo in riferimento alle altre navi (previste sia con questo strumento finanziario sia attraverso le ordinarie, striminzite risorse del bilancio della Difesa). Giunge dunque nel momento massimamente cruciale, onde evitare di portare al completo collasso la squadra navale ma non certo al fine di adeguarla al necessario sviluppo richiesto dal quadro strategico e dagli impegni politici internazionali. Questa “legge navale” camuffata porta inoltre in sé il marchio dell’infamia politica, come fu già nel caso del finanziamento del caccia intercettore EFA (progettato e prodotto da Regno Unito, Germania, Italia e Spagna) fatto dal governo D’Alema, allorquando si dovette ricorrere ai mutui e agli interessi bancari, anziché ai soldi dello Stato. Parimenti, adesso si dovranno accendere dei mutui pluridecennali. Non c’è da rabbrividire solo al pensare agli sperperi immani del regime partitocratico e delle sue clientele, che hanno divorato le risorse destinate alle giovani generazioni e alle due prossime di questo nuovo secolo e a tutto il Paese ?
Dunque, adesso grazie a questa anonima “legge navale” finanziata con mutui bancari, dovrebbe essere realizzata una di queste navi. Forse, un’altra con i normali stanziamenti di bilancio programmati. Ma … A nostro avviso c’è un grande ma … con se e con però sulla qualità del progetto che vorrebbe realizzare la Marina, ossia sulla reale adeguatezza delle due navi, per quel poco che ci è dato a sapere dalle informazioni della Marina e della Difesa, delle riviste del settore (Rivista Marittima, Panorama Difesa, Rivista Italiana di Difesa, etc.), delle agenzie stampa, dalla stampa quotidiana e periodica che abbiamo già ampiamente doverosamente criticato .
Si parla di una nave polifunzionale di 20.000 tonnellate a p.c. e 15.000 standard. La cosa è indirettamente confermata sul piano della consultazione dei progetti esistenti e resi pubblici della Fincantieri, che riporta nel su sito un progetto di massima quale evoluzione di una precedente proposta progettuale di un’unità minore.
Se così davvero stessero le cose, tutto ciò sarebbe una spesa destinata ad una cosa sottodimensionata, superata, quasi vecchia e ammuffita; una spesa definibile superflua e poco produttiva … perfino uno sperpero. Essa desterebbe la nostra massima perplessità per cotanta inaspettata e inaccettabile miopia della Marina Militare. Sarebbe un voler realizzare una nave per gli anni ’20 – ‘ 40 di questo nuovo secolo con i requisiti operativi sviluppati in base agli scenari degli anni ’90 del secolo precedente. Sarebbe come dire che quel che è accaduto e sta accadendo nel contesto planetario delle marine da guerra e della cantieristica, specie di quelle europee ed estremo-orientali ad iniziare da quella cinese, giapponese e sudcoreana, assurdamente non avrebbe alcun valore per una Marina così sagace e previdente quale è stata la nostra. Sarebbe retrodatare questa scelta all’età delle due navi del progetto ispano-olandese e delle due prime gradi navi da trasporto per operazioni anfibie francesi, visto che le “nuove” unità italiane sarebbero perfino (un poco) più piccole di quelle della classe Mistral.
Una simile unità avrebbe una capacità di carico e di trasporto inferiore di quasi il 40% rispetto alla Juan Carlos e alla Camberra, un ponte di volo inadeguato all’imbarco e alle operazioni ordinarie e non episodiche con elicotteri medio – pesanti in contemporanea con aerei S/Vtol e convertiplani. Cosa assolutamente non fattibile sarebbe perciò l’imbarco in pianta stabile di alcuni caccia da supporto alle truppe da sbarco, perché ciò inciderebbe pesantemente sulle possibilità operative del ponte di volo quanto di ricovero nell’hangar delle navi , ovvero nella loro funzione comprimaria di portaelicotteri d’assalto. Discorso di per sé neppure concepibile per le Mistral, come abbiamo già visto. Una foto della Marine Nationale mostra, in una prova sperimentale, un Osprey americano appontato su una Mistral, la Diximud, che occupa totalmente in larghezza la parte prodiera del ponte di volo.
L’Italia aveva ed ha un’unità con caratteristiche quasi adeguate per questo compito (già operativa da qualche anno, a differenza del Juan Carlos), senza grave detrimento per gli obiettivi paganti qui delineati. Sarebbe la Cavour. Ci pare strano che Fincantieri non abbia promosso una variante, una versione apposita nella lista dei suoi progetti, o che non ne abbia sviluppata, alla luce di questa esperienza, una nuova e del tutto ad hoc, e non l‘abbia proposta alle marine straniere interessate ad un simile tipo di unità (nelle dotazioni elettroniche e d’armamento esemplificate, ma in grado di “spuntare” qualcosa in più rispetto al modello spagnolo). Non poteva e non può che risultare, secondo questa prospettiva assolutamente concreta, come perdente e superata già dall’inizio la sola carta della “polifunzionale”da 15.000 tonn., di un’unità cioè con circa la metà del dislocamento del Cavour per le marine che hanno altre e più elevate esigenze. Ha inciso pure questo nella perdita ”a priori” di ogni possibile proposta di valida concorrenza progettuale e di acquisizione i ordinativi e di prezioso lavoro? Tutto ciò ha significato andare allo sbaraglio e “regalare”, senza neppure avere la possibilità di tentare, ad altri cantieri commesse su cui vi erano carte da giocare? Ha inciso su tutto questo anche la miopia della Marina e della direzione generale degli armamenti della Difesa?
In base a queste obiettive considerazioni, oggi è dunque impensabile a nostro avviso ( ma solo nostro e non anche della Marina?) realizzare degli scafi di queste dimensioni e con queste finalità operative senza dapprima pensare di fornire la loro linea di volo imbarcata di alcuni aerei ed elicotteri atti a supportare l’indispensabile copertura aerea. Diversamente, ciò obbligherebbe ad operazioni molto più rischiose o molto più complesse e costose e probabilmente non fattibili, in quanto implicherebbe in questa seconda evenienza la presenza di un’ulteriore unità (una portaerei tirata fuori dalla manica del prestigiatore) atta a garantire l’ombrello aereo all’operazione d’assalto dei mezzi da sbarco e degli elicotteri e possibili convertiplani. Perciò sarebbe un buco nell’acqua.
Va da sé che una piattaforma in grado di consentire una proficua utilizzazione di elicotteri classe AH101, CH47, di un paio di convertiplani Osprey e di qualche aereo da supporto tattico a decollo corto e atterraggio verticale dovrebbe ascendere a un tonnellaggio di poco superiore al Cavour e al Juan Carlos: un’unità di 30.000 – 32000 tonnellate, che rimarrebbe sempre marcatamente al di sotto di un raffronto con la stazza e le prestazioni delle navi americane delle stesse categorie. Ma che sarebbe in grado di fornire, senza detrimenti e penalizzazioni operative, una buona autonomia operativa a 360° alle sue funzioni e quindi alle operazioni “tridimensionali” (mare, cielo, terra). Una piattaforma che nelle operazioni di soccorso per grandi calamità naturali alle popolazioni e per supporto umanitario potrebbe fornire ancora di più un elevato grado di aiuto, in ogni circostanza.
Nel frattempo, alla Marina italiana non rimane altro che utilizzare per la seconda volta la portaerei Cavour, per metà anch’essa già superata per validi compiti di portaerei leggera, come emporio galleggiante (dopo la missione umanitaria ad Haiti che, con un’operazione triangolare con il Brasile, si risolse in un nulla di fatto) che dal Golfo Persico sta conducendo il periplo dell’Africa, a buon pro di un programma articolato e al tempo stesso misto, in quanto oltre agli aspetti umanitari sono presenti quelli di promozione industriale in favore di Fincantieri e di Finmeccanica e delle attività di eccellenza nazionali. Ma i Paesi africani, per questo tipo di mercato, sono i meno paganti. E, anche qui, mentre il Regno Unito sta ultimando la costruzione della prima di due portaerei medie do 65.000 t. di stazza (più del doppio della Cavour) su progetto francese e similmente procedono la Cina, che l’ha già varata, e l’India, cosa pensano di fare il nostro governo e il parlamento, visto che l’Italia dipende totalmente dalle importazioni via mare? Tenere una flotta al di sotto di un accettabile standard atto a rispondere alle esigenze di salvaguardia degli interessi e della sopravvivenza energetica ed economica (anche nel contesto delle alleanze di cui fa parte), a prevenire e contenere il diffondersi delle instabilità regionali che abbiamo alle porte di casa e alle stabili, ininterrotte presenze nell’Oceano Indiano?
 
Le caratteristiche della LPD/LHD riportate nel progetto Fincantieri (quello che sarebbe “valido” anche per la marina italiana?) sono qui di seguito riportate. Esse rimangono molto al di sotto delle prestazioni operativa delle Juan Carlos / Camberra e assolutamente inidonee a soddisfare i requisiti degli scenari più avanzati dei prossimi decenni per operazioni con elevato grado di autonomia d’impiego in teatri a media intensità di pericolo per le truppe da sbarco. Si tenga presente che la viscosità dei contesti internazionali e le pressanti esigenze che ne conseguono hanno obbligato i recalcitranti e riottosi governi italiani (che sono sempre gli “ultimi arrivati”) ad elevare al rango di reggimento prima e di brigata poi il “Btg. San Marco”, in presenza della riduzione del 400% dello strumento militare nazionale, e ad associare alla forza da sbarco nazionale reparti dell’Esercito, ad iniziare dai lagunari.
 
Lunghezza fuori tutto 190,00 m
Lunghezza fra le perpendicolari 167,00 m
Larghezza massima 33 m
Larghezza 28,00 m
Dislocamento a pieno carico circa 20.000 t
Propulsione 4 x 6.000 kWm
Gruppi di generatori 4 x 2.500 kWe
Velocità operativa 20 nodi
Autonomia a 16 nodi 7.000 miglia
 
Ponte di volo fino a 6 elicotteri tipo EH-101
Hangar elicotteri fino a 6 tipo EH-101
Capacità garage ponte principale fino a 1200 metri lineari
Area ospedale circa 1000 m² più 1000 m² area convertibile
Bacino allagabile circa 50×15 m
Rampe veicoli 1 poppiera + 1 laterale
Alloggi 200 equipaggio + 750 truppa
 
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 La nave capoclasse  da Trasporto e sbarco (LDC/LHC) con mezzi                                                                                                 anfibi ed elicolteri Juan Carlos dell’Armada                                                                                                                            Espanola, acquisita anche dall’Australia con due unità 
(cliccare sull’immagine per ingrandirla)