Estate di tornasole. Caduta della civiltà urbana.

05 Settembre 2014

Mino Mini

Nota conclusiva di Domenico Cambareri

Con il sole nulla a che vedere

 

          L’estate che sta indecorosamente estinguendosi nel momento in cui scriviamo, rappresenta – come il tornasole – l’indicatore  di una situazione che non è più soltanto di degrado avanzato delle nostre città quanto, piuttosto, di declino della civiltà urbana. A Treviso dei rom armati cercano di sbattere degli anziani  fuori dalle case popolari per occuparle ( TREVISO TO DAY.IT) ), a Roma, nel quartiere di Tor Bella Monaca, una donna si ricovera in ospedale e le occupano la casa (TORRI.ROMA TO DAY.IT), nelle stazioni ferroviarie altri rom impongono ai viaggiatori servizi non graditi con  minacce in caso di rifiuto, infestano di favelas gli spazi incustoditi della città, distruggono impianti elettrici bloccando treni e strade  solo per rubare il rame o sfasciano tetti di edifici pubblici per rubare le coperture dello stesso metallo. Altre etnie, dedite al commercio ambulante, assaltano i vigili che contestano loro il commercio di merci contraffatte o scatenano lotte sanguinose fra etnie rivali.
Questi i fatti, non elucubrazioni intellettuali, e rivelano, in maniera eclatante, il fenomeno più temuto di dissoluzione urbana: la paventata etnicizzazione degli spazi cittadini.
La forma più pericolosa  di  questo fenomeno rappresentato dall’occupazione degli spazi interconnettivi della città, quelli che tengono insieme i diversi nuclei abitativi. Ne scrivemmo su queste pagine il giugno del 2012, ma Cassandra, si sa, fece una brutta fine e chi si azzarda a dire << l’avevo detto >> è destinato a seguirne la sorte.
Rassegniamoci al ludibrio ed autocitiamoci, ” Per capirci: (di una città) ignoriamo, per astrazione,gli edifici nonché le strade veicolari ed i parcheggi che sono semplici strutture per i traffico e la sosta. Che cosa resta? Uno spazio connettivo, appunto: giardini, strade e piazze pedonali, marciapiedi, cortili in comunicazione libera con strade, luoghi non edificati o abbandonati etc. Chi occupa questi spazi può dominare la città. …essendo poco o nulla frequentati oppure nascosti o parzialmente nascosti, essi diventano luoghi di agguato, di stupro, di rapina, di omicidio, di spaccio e consumo di stupefacenti. … Sta avvenendo che gli spazi urbani (in particolare gli spazi interconnettivi) vengano occupati, anche violentemente, dai cosiddetti “diversi”(extracomunitari, immigrati,… rom, integralisti religiosi, gruppi etnici etc.) che stanno invadendo diverse zone delle città. …..
Il pericolo è che questi “diversi” si creino un loro definitivo spazio pubblico escludendone surrettiziamente o violentemente gli altri e rivendichino, con il tempo, la propria presenza nella sfera pubblica. … Si attuerebbe una frammentazione della città per effetto del formarsi di unità omogenee per etnia, religione, affiliazione od altro, ma apertamente differenziate rispetto alla popolazione urbana generando delle enclaves autogovernantesi – di fatto – con propri codici, proprie fedi ( ad es. la Sharia per gli islamici), propri costumi.” E’ ciò che, ormai, si sta tramutando in realtà ele forze dell’ordine si sono dichiarate impotenti di fronte al dilagare della violenza e della criminalità che  sta montando come una marea.
 Ma, nonostante l’evidente degrado, non sono questi i fenomeni che rivelano il declino della civiltà urbana. I “diversi” – per continuare ad usare questo termine – non hanno alcuna responsabilità in questo. Essi, infatti, non sono altro che un epifenomeno inevitabile, un “… mosaico di popoli e razze, venuti con le loro tradizioni e le loro convinzioni nel nostro paese per forgiarvi nuove culture e reinventare l’arte del vivere insieme” (Jacques Attali- Express 2002) ed è appunto nella loro tradizione e nelle loro convinzioni religiose comportarsi da predatori come fanno. Il loro “vivere insieme” implica, sì, un rapporto, una integrazione, ma fra predatore e preda e le “città”, in questo quadro ecologico, altro non sono che il loro territorio di caccia..
Occorre domandarsi, allora, chi siano i responsabili di questa regressione della civiltà urbana. Quando la terza carica istituzionale dello Stato si lascia andare a ripetuti eccessi di coprolalia pseudo intellettuale andando oltre l’infelice esternazione escatologica di Attali o quando un ministro di nascita congolese razzisticamente vorrebbe indurci a prendere in considerazione l’adozione dei costumi familiari del suo popolo di origine, salta all’evidenza chi siano i responsabili di questa regressione: NOI.
NOI le vittime, NOI le prede che  si sottomettono mostrando la giugulare nell’illusione che il predatore, il carnefice, non vi affondi le zanne. Nel mondo animale funziona, forse, la ritualizzazione della sottomissione per evitare l’uccisione, ma non nel nostro. Siamo NOI, non più uomini ma mutanti (cyborg)  ancora attratti dalla civiltà degli uomini ma incapaci di comprenderne il senso che, lasciato campo a un anarcoide multietnicismo mondialsta abbiamo abbandonato la difesa della nostra civiltà nelle mani di squallidi personaggi che operano ogni giorno,all’interno dei più diversi partiti,  come è stato detto, per ” la dissoluzione dei legami fra gli uomini, l’erosione dei vincoli comunitari, la loro polverizzazione in una folla di solitudini metropolitane.
Siamo NOI, che racchiusi nella solitudine in mezzo alla folla, assistiamo passivamente indifferenti alle manifestazioni di violenza, di microcriminalità, di deturpazione dei luoghi della nostra esistenza, di distruzione dei simboli della nostra civiltà. E quando non siamo indifferenti ci limitiamo ad invocare la protezione di uno Stato che è stato disarmato, per eccesso di buonismo, proprio con il nostro voto.
Razzismo di ritorno il nostro?   Forse si: ma in quanto siamo  mutanti, gli uomini erano un’altra cosa. Gli uomini avevano creato la città come luogo dell’identità collettiva ovvero come luogo del Noi.
In quanto mutanti altamente tecnicizzati, ma regrediti al livello elementare dell’Io, abbiamo invece costruito, come dice Adriano Segatori ” …una società muta; un mutismo coperto dal rumore della pubblicità, dal baccano della polemica, dalla cagnara degli insulti, dalla sovrapposizione confusionaria delle opinioni. In famiglia, nella coppia, negli incontri politici, non c’è ascolto dell’Altro, valutazione delle sue considerazioni e risposta mirata alla discussione. In questo silenzio comunicativo, … emerge il senso della solitudine …” e l’abbiamo inverata, autoemarginandoci,  costruendo il non-luogo, la periferia, aperta all’invasione delle nuove culture.
Questo disfacimento della civiltà urbana richiama lo spengleriano Tramonto dell’Occidente” e le sue tormentate vicende. La stessa cecità liberal-progressista che impedì alla cultura del tempo di comprendere il significato del “Tramonto” , preclude oggi la comprensione del fenomeno di disfacimento urbano.
La visione ciclica di Spengler, infatti, prevedeva il tramonto di una civiltà, non il suo declino non il suo declino; indicava che quella occidentale era prossima al picco più basso (il tramonto) del suo percorso sinusoidale oltre il quale avrebbe potuto iniziare la fase ascendente di risalita di una nuova civiltà . Oggi , per quanto riguarda la città, alla luce degli eventi in corso dobbiamo registrare un eccesso di ottimismo in Spengler. La curva discendete della civiltà, di cui quella urbana è l’inveramento,ha sfondato il limite del picco negativo ed è, ormai,”fuori orbita” in caduta libera. La cultura imperante liberal-progressista, infatti, nella sua visione lineare dei processi di formazione della civiltà, non può concepire il declino – sarebbe un ossimoro – e perciò interpreta darwinianamente lo stesso come “trasformazione” ovvero come un “… forgiare nuove culture e reinventare l’arte del vivere insieme” secondo l’affermazione del progressista Attali. Ma la caduta della civiltà urbana non è equiparabile ad un processo di “trasformazione” più di quanto la putrefazione sia la trasformazione dello stato vitale di un organismo. I fatti mostrano che, in realtà, si tratta di regressione ad uno stadio civile elementare o, addirittura, ad uno stadio di sottomissione.A meno che……una futura generazione, dopo il simbolico rito sacrificale dei propri genitori, non si armi, soprattutto intellettualmente, per arrestare la caduta e “reimmettere in orbita” il processo di formazione della civiltà.

Nota conclusiva di Domenico Cambareri

Un grido d’allarme vero. Con le dovute puntualizzazioni

I molteplici, incessanti crudi fatti che costellano la vita quotidiana nazionale in negativo e che sostanziano l’interessante focus di Mino Mini, quanto quelli da lui espressamente citati indicano che nelle aree metropolitane in non rari casi davvero incombente è il pericolo di costituzione di enclave di eversione sociale radicale posta i essere da componenti emarginate e violente dei più svariati gruppi etnici minoritari qui immigrati. In ogni caso, è già palpitante l’avvertire in ogni centro abitato, dal più grande al più piccolo, un radicale cambiamento della percezione immediata che si ha degli spazi pubblici, ad iniziare da quelli dei centro storici e non soltanto dalle periferie. Le condizioni di degrado marciano, anzi galoppano quasi ovunque, specie nelle ore notturne. Non parliamo poi di Roma, Milano, Napoli, Genova, Palermo, Catania, Bari, dove l’espropriazione di piazze e di spazi cittadini è diventata cosa ordinaria, come il vedere tranquillamente urinare extracomunitari tra l’indifferenza soccombente dei passanti e dei residenti. Ovvero, contro la più assoluta impotenza, prigionieri dell’impossibilità totale della forza pubblica di controllare, prevenire e interdire.
Una simile realtà di degrado non può però dare contezza sia di una visione generale del problema immigrazione sia delle responsabilità non più e forse mai occulte di questo fenomeno reso assolutamente incontrollabile, incontrollato e spesso selvaggio.
Innanzitutto, vi è l’altra faccia della realtà costituita da quanti, immigrati non comunitari, si sono inseriti nella nostra società, di quanti vi lavorano stabilmente o periodicamente in condizioni di completa tranquillità e di rispetto delle regole. Di quanti lavorano soddisfatti e di quanti hanno avviato attività commerciali redditizie in proprio. Così come non tutti sono soggetti selvaggi, non tutti producono attraverso meccanismi speculativi e di sfruttamento, come è notorio fra i cinesi e, ancora, purtroppo, fra non pochi italiani, tasse a parte.
In realtà, il fenomeno negli ultimissimi tempi è diventato a dir poco esplosivo per gli altrettanti esplosivi fattori che stanno interagendo, ad iniziare da quello non eufemisticamente umanitario e dalle ataviche e oggi super moltiplicate colpe dei governi europei. Quanto sta accadendo in diverse regioni del mondo da cui provengono questi immigrati e questi profughi è dovuto non in ultimo agli interventi indiretti e occulti, agli interventi diretti e alle guerre ivi portati dagli occidentali, in primis dagli americani (senza alcun antiamericanismo preconcetto) il cui fine non era di “risolvere i problemi” e “assicurare maggiore sicurezza” all’Occidente allargato, ma quello di produrre una generale e perdurante destabilizzazione, una condizione di radicalizzazione violenta e incontrollata delle crisi e dei conflitti: almeno questi sono i risultati che abbiamo davanti agli occhi. Dall’Iraq alla Siria al nord Africa al problema sionista. Perfino … lungo i confini che avrebbero dovuto essere e dovrebbero essere di assoluta comprensione e affratellamento fra Russia e Unione Europea: il cuscinetto ucraino.
In tutto ciò, tornando entro i confini più prossimi di casa nostra, europea e italiana, interagiscono ulteriori fattori, in cui quelli vecchi vengono ravvivati dagli effetti violenti del neo-neo-colonialismo con i colpi di coda. A essi si aggiunge qui in Italia un fenomeno ideologico particolarmente virulento: l’impietosa ,tracotante e nichilista demagogia degli ambienti dell’estrema sinistra “anticapitalista” e di non pochi roccheforti di gente di tal fatta operanti all’interno del PD “cattocomunisti” di ieri e di oggi compresi.
Uno di questi campioni di valori negativi e di inconsulta e sconsiderata demagogia è la persona che occupa lo scranno di presidente della camera. La quale nello scorso mese di dicembre arrivò a dire che la preoccupazione primaria del Paese non era il crollo del pil – con tutto ciò che di tragico esso include, ossia l’arretramento spaventoso di oltre il 25% della produzione nazionale che ha raggiunto punte del 70% nell’edilizia e persistenti cifre sempre a due zeri in settori strategici dell’economia quale il manifatturiero, con milioni di disoccupati e di attività che chiudevano e, in primis, non fossa altro che come atto di riverente e doverosa pietà fraterna, verso qui connazionali che per la disperazione si sono suicidati. La preoccupazione primaria non era dunque il crollo del pil con tutto ciò che esso comportava e comporta ma quello costituito dalla moltitudine di questi poveri disgraziati. Senza neppure considerare, sia pure in modo strumentale, che un’Italia al riparo da questa terribile crisi avrebbe potuto fornire molta più assistenza ai profughi e agli immigrati del terzo e del quarto mondo. Una tragedia commista a farsa, tutta italiana, che ha visto rimanere tranquillamente seduta alla presidenza della Camera questa signora Boldrini. Non ci sono state manifestazioni, non ci sono stati cortei non autorizzati da parte dei centri sociali ( e atti di violenza), da parte dei comitati di base, di Sel, della CGIL, dei lavoratori cristiani per il socialismo, della sterminata pletora delle onlus ideologicamente ben targate contro siffatto personaggio. Perché mai? Perché costoro sono i co-protagonisti della Boldrini. E’ ai livelli più alti e rappresentativi di queste sterminate giungle che siedono i diretti responsabili dell’ideologia sfrenata dei confini aperti a tutti e … a tutto.
Grillo oggi glielo ricorda e Sansonetti (esponente molto più riflessivo e non irrazionale) irosamente e immotivatamente lo mette a tacere. Eppure, fra i tanti e tanti risvolti, un aspetto di primaria importanza per le autorità sanitarie e della sicurezza nazionali e comunitarie a buon vedere è quello di tenere al massimo dell’efficienza il filtro della a pro salute pubblica e quello dell’ antiterrorismo.
L’anarcoide nichilismo e la superficialità assoluta  hanno mosso e muovono queste schiere di variegati e “vagabondi” comunisti e desueti radical chic purtroppo mai finiti nei tempi che furono nei campi di “rieducazione” maoisti e in quelli siberiani, in cui venivano rinchiusi non solo sedicenti dissidenti, anticomunisti, intellettuali vari e poveri disgraziati ma anche compagni caduti chissà perché in disgrazia). In tutto questo, poi, in maniere esemplare, la guida del PD da parte di Bersani per l’Italia è stata davvero esiziale. Gli accordi con l’estrema sinistra hanno garantito a queste frange l’elezione di due presidenti delle Camera, del presidente della regione Puglia, del sindaco di Milano e il godimento di tanti privilegi non pochi dei quali direttamente attinenti con ciò di cui qui andiamo scrivendo.
Bene dunque ha scritto Mino Mini nel mettere in risalto che la cosa ancora più pericolosa è costituita dal ruolo primario svolto in questo processo dai mallevadori indigeni, da coloro i quali, nella più vieta e ritrita demagogia acconsentono e favoriscono questo degrado estremo, in cui perfino gli immigrati attratti dalla società occidentale per tanti buoni motivi  sono costretti loro malgrado a venire risucchiati e a soccombere. Vi sono poi anche le susseguenti implosioni nostrane delle “sussidiarietà” nate sull’onda della realizzata demolizione dell’attività parlamentare e della sua efficienza legiferante che alla fin fine hanno sfiaccato e svuotato di ruoli e responsabilità primarie la cosa pubblica, il governo  e lo Stato (nel senso meno elevato e più immediatamente concreto e per come esso è stato in passato percepito) e quindi la magistratura e le forze dell’ordine.
Qui Mini indica esplicitamente come corresponsabili anche tutti i singoli cittadini i quali, con lo strumento peculiare  del  voto per i mandati politici elettivi, hanno irremediabilmente determinato l’ulteriore degrado e sfascio. La nostra correlativa estraneizzazione  morale e civile  dalla sfera pubblica è non di meno altrettanto colpevole, nel lascia fare, nel lasciar andare. Per cui  e da cui  l’utilizzo delle variegate folle di immigrati nei modi più cinici e “libertari”,  per fini assolutamente strumentali a pro della distruzione della società italiana e più ampiamente occidentale è da imputare anche a NOI.
Razzismo di ritorno, quello di Mini? Forse si, dice l’autore. Certamente si: ma agli occhi dei demagoghi del proscenio politico pervasi da una cieca brutalità nichilista, irriducibilmente portati ad agire con implacabile ostinazione per distruggere quanto è rimasto di ciò che non è stato finora infettato dalle metastasi del comunismo nostrano e risucchiato dal dilagante mondialismo ultra liberista (ossia in primis: dai grandi speculatori dei fondi “tossici” e dai cartelli e trust che controllano il costo dei prodotti energetici e dei nuovi minerali strategici per l’alta tecnologia).
In un contesto nazionale dal profilo politico culturale economico e sociale differente, invece, il retroterra identitario e culturale di questi immigrati avrebbe potuto essere e potrebbero ben essere degno di doverosa attenzione non soltanto intellettuale e di fecondo incontro, a pro degli aspetti più ricchi delle culture “altre”, per varcare i confini dell’esotico e degli istituti di studi etno – antropologici, di arti culture e religioni comparate.
L’organizzazione e la vita dell’impero romano sino a prima dei misfatti lungo la linea cronologica da Costantino a Teodosio e Giustiniano sta lì ad indicarlo in modo esemplare e imperituro. Non esistevano esclusivismi etnici e “razzismi”, non esistevano esclusivismi religiosi e supremazie di tale natura (per ambedue gli aspetti, le dissonanze marginali erano costituite dalle rivendicazioni delle peculiarità” israelitiche). L’intransigenza assoluta in merito ai tributi era ciò che consentiva la vita dell’impero: con le legioni, la giustizia e la struttura burocratica, le strade, i porti e le flotte, i rifornimenti alimentari e i commerci. E la lingua “universale” e la cultura.
Tutto questo contesto è spiegabile innanzitutto con il collasso interno: il collasso delle qualità morali degli italiani e degli europei. Per cui è comprensibile nel suo ulteriore svolgimento: comprensibile ma non giustificabile, ancora una volta specie in Italia, dove torme inesauribili di arrivisti e demagoghi senza scrupoli si sono tuffate nell’agone politico esaurendo quasi ogni spazio di accesso.
Tutto questo contesto è altresì spiegabile con il collasso interno europeo prodotto dalle farneticazioni pseudo intellettuali di Attali e cordate consimili, la cui gratuita superficialità sconfina nella più vieta rozzezza di comprensione e interpretazione delle dinamiche storiche e sociologiche. Una melassa di farneticante e micidiale utopismo che disprezza la riflessione storica e quanto da essa si può ricavare di insegnamenti o quantomeno di sollecitudine all’ aspettazione di imprevedibile evenienze … oltre la cruda elencazione dei fatti.
In riferimento alla concezione di Oswald Spengler, richiamata da Mini, è necessaria qualche precisazione e una breve premessa. La quale innanzitutto ci fa capire quale ironico destino abbiano subito le sue parole e il suo pensiero. Studioso che ebbe feroci avversari in Europa e in Italia, specie in campo idealistico, Spengler da parte degli estimatori è stato esaltato, ma spesso sull’onda di fraintendimenti e di libere interpretazioni che hanno accentuato il vituperio dei suoi avversari di ieri e di oggi. Il metafisico agnostico e il filosofo della morfologia della storia universale fu anche interpretato soprattutto come sociologo, come nel caso di Reno De Felice.
In realtà, Spengler, con la sua concezione “ciclica” della storia universale, delinea una filosofia d’impronta nettamente biologica. Egli afferma che le civiltà sono organismi di rango superore che, come ogni altro organismo, sono soggette alle leggi del trapasso e della morte. Oltre al suo filosofare con il martello, come Nietzsche che esplicitamente richiama, in lui ritroviamo come in Nietzsche appunto, uno splendido retaggio di influenze, da quelle non remote di Goethe a quelle lontane e  quasi inavvertite e trasposte degli antichi, dai cicli cosmici del pensiero presocratico a quello tardo-antico degli stoici in particolare, come, a proposito dell’Aìon o eone latinamente  inteso come grande saeculum  e poi, successivamente su scala temporale umana, come millennio. Il pensiero spengleriano, con tutto il suo vitalismo, è intrinsecamente permeato di una sua heimarmene o fato. Le civiltà sono singole unità biologiche di ordine superiore, morfologicamente già costituite e strutturate, a livello universale. Esse sul piano storico si estrinsecano secondo la peculiarità delle quattro stagioni:  in quelle della fanciullezza e della giovinezza, dell’età adulta e della senilità, a loro volta accoppiate e contrapposte nelle obbligate fasi della cultura e della civilizzazione. Alle prima coppia corrisponde la fantasia incontenibile e creatrice, alla seconde il fissarsi via via sempre più illanguidito e irrigidito di un’attività raziocinante onnivora. Sono dunque la cultura creata dalla fase aurorale, forza espansiva primigenia e incontenibile, in assoluta sintonia con la natura, e la civilizzazione, altrettanto piegata all’ineluttabilità della sua intrinseca natura e del suo intrinseco destino.  Tutto il resto è da intendere alla luce di un linguaggio potentemente animico, suggestivo e trascinatore, quale è ad esempio quello dei versi di Gottfried Benn, o l’insuperabile prosa di Nietzsche; altrimenti, come fraindendimento generato da animi inguaribilmente intrisi di umori tardo-romantici.
Oggi, siamo al termine di ciò che lui appellò civiltà faustiana, alla quale non è propria nessuna eterogenesi dei fini vichiana: il “fuori orbita”, in caduta libera di Mini quasi come dispersi … nel vuoto intergalattico.  E tramonto, per Spengler, significa declino, termine “ad quem” irreversibile. Pure le belle ma inconcludenti parole di Attali, al di fuori dalla reale comprensione dei fenomeni storici, “… forgiare nuove culture e reinventare l’arte del vivere insieme”, sono espressione della consunzione del ciclo millenario della civiltà occidentale, della sua senescenza ultima. Della caduta della nostra “civiltà urbana” faustiana, della sua estrema fase di civilizzazione, agli occhi di Spengler, non era possibile “… un processo di “trasformazione” più o meno profonda più di quanto la putrefazione sia la trasformazione dello stato vitale di un organismo” (Mino Mini); qui l’alchimia, con la sua prima fase, quella della putrefazione appunto, rimane assolutamente esclusa dal contesto “profano” rappresentato da Mini..
Arrestare dunque la caduta non si può, nell’ottica spengleriana, ma ciò va doverosamente tentato (distinguiamo il piano fattuale e ideale umano da quello morfologico e cosmico in cui esso è incapsulato). Arrestare la caduta per “reimmettere in orbita” il processo di formazione della civiltà. Ciò non significa correttamente altro, nella prospettiva del filosofo tedesco, nient’altro che avviare … l’alba di una nuova civiltà, in cui il meglio della precedente possa venire ripreso e continuato, nelle nostre mere intenzioni valoriali e ideali.
Ma la nuova civiltà non sarà altro che, tenute presenti le debite differenze di grado, il nascere di un altro fiore o di un altro qualsivoglia aspetto della magnificenza irruente del Tellus mater. Punto di contatto di forte pregnanza simbolica con la concezione dello storico dell’antichità (cristiano e non agnostico) Bachofen, altro pensatore non di meno frainteso.