Disastri euroamericani e tragedie dei popoli. 1. Vicino Oriente

15 Settembre 2014

Domenico Cambareri

 

 

 

 

Gli USA dallo spaesamento geopolitico all’impazzimento neo-con

Quanto qui presentiamo non è un semplice résumé di fatti ma una serie di fondate e serene considerazioni su alcuni salenti avvenimenti della contemporaneità storica ultima e sul filo logico che li tiene necessariamente collegati, alla luce di quanto obbliga a doverli riconsiderare come scelta e frutto di spietate e scellerate “opzioni” della politica estera americana e, in secondo piano, dei loro alleati europei. Opzioni che avrebbero, però, potute essere ben altre … – Non abbiamo mai avuto e non abbiamo l’intenzione di colpevolizzare ad ogni costo, per presunzione di colpa, la politica di potenza delle amministrazioni americane ma quanto esse hanno compiuto di deliberatamente ingiusto e quanto di improvvido ma in modo non deliberato esse hanno fatto, senza neppure cercare di porvi rimedio. – Non vi è dubbio alcuno che gli USA sotto la guida di Bush figlio abbiano toccato il fondo della credibilità internazionale, anche se fu imposto un lungo corso di implacabile guerra propagandistica dopo i fatti dell’11 settembre, su parte dei quali continuano a gravare fortissimi sospetti. – E’ d’obbligo a questo punto chiedere se e perché la strategia USA e le due guerre e mezzo combattute si siano risolte in completi fallimenti, in semplici bolle di sapone. Sono stati fallimenti voluti? Sono valsi a rendere endemicamente destabilizzata questa cruciale regione? Perché mai gli USA tentano ancora di coinvolgere la NATO, e dunque gli europei, in un’ennesima coalizione, adesso contro questo fantoccio dell’Isis? Da dove sono sbucati questi miliziani dell’Isis, e cosa ha significato e significa il detto “ad ogni azione segue una reazione” a dir poco uguale e contraria? Cosa significa che della coalizione internazionale faranno parte una decina di Paesi arabi? Quali? Anche l’Arabia Saudita e il Qatar? E perché mai? – Trentaquattro anni di guerre in terra d’Iraq, cioè una durata che va dalla presa italiana di Tripoli alla seconda guerra mondiale. Trentaquattro anni di guerra in terra d’Iraq stanno a testimoniare in modo incontestabile la completa inaffidabilità e la totale non credibilità della politica americana e di quella europea.Domenico Cambareri

 

 

 

 

 

 

La contemporaneità ultima nell’ultimo quarantennio è stata attraversata da conflitti la cui percezione in Europa e negli USA è risultata particolarmente tiepida fra l’opinione pubblica se non del tutto inavvertita. Salvo particolari e brevi momenti di insuperabile spettacolarizzazione e melodrammatica suspance in base a quanto enfatizzato dai media, in sintonia con le indicazioni politiche e gli ”interessi” dei trust economici. Tutto ciò ha determinato una condizione di conoscenza scadente e gravemente alterata dei reali avvenimenti da parte dell’opinione pubblica occidentale.
Questa contemporaneità ultima, non solo per una semplicità d’inquadramento per il lettore quanto anche in riferimento a una individuazione di validi criteri di oggettivizzazione e di contestualizzazione dei fattori e degli accadimenti più salienti, può essere fatta iniziare con la guerra iracheno – iraniana del 1980 -1988 scatenata da Saddam Hussein. Oltre ottocentomila morti e distruzioni senza fine lungo tutto lo storico confine dei due Paesi, avente per ipocentro la vulcanica regione dell’Arabistan persiano.
Come abbiamo avuto a  scrivere sia in quegli anni e ancora poco più di un decennio addietro, questo sanguinoso e lunghissimo conflitto senza vincitori né vinti non è stato altro che una guerra su commissione o, meglio ancora, condotta per interposta persona. Essa si inquadrava perfettamente nella strategia USA e occidentale tout court di contenimento e respingimento del dirompente khomeinismo e nel progetto di mettere in ginocchio lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Teheran e la sua esportazione del petrolio.
Perso l’Iran e fallita tragicamente la più importante operazione segreta di Reagan sulle sabbie di un prosciugato lago salato persiano volta a liberare gli ostaggi dell’ambasciata di Teheran, l’America si sentiva letteralmente smarrita in termini geopolitici dal crollo del maggiore pilastro di raccordo tra l’est e l’ovest. Un pilastro che già era diventato una delle maggiori potenze mondiali e la superpotenza aero-terrestre dell’Asia centromeridionale, seconda soltanto alle armate russe.
Provvidenziale fu dunque il ruolo attivo svolto in maniera ininterrotta da Saddam Hussein, per gli USA, il Regno Unito e la Nato. Al tempo stesso, sia pure in presenza di ancora forti legami con Mosca, in questo nuovo contesto nulla avrebbe potuto fare Saddam Hussein, il nuovo gendarme dell’Occidente dopo la caduta dello scià di Persia e il disfacimento della Cento (e senza più una linea di continuità planetaria antisovietica fra Nato e Seato), senza i reali beneplaciti e gli ininterrotti appoggi, palesi e nascosti, statunitensi, inglesi, francesi etc. La panoplia di armi con cui erano equipaggiate le sue forze armate non era soltanto di origine russa ma anche europea e in particolare francese. La tecnologia americana ed europea, in specie inglese svizzera e tedesca e non esclusa quella italiana, lo aveva rifornito di strumenti avanzatissimi, compresi quelli relativi alla realizzazione di un “cannone” per attacco a lunghissimo raggio e come arma antisatellite (progetto Babylon: l’ideatore canadese, Gerald Bull, sulla scia del progetto americano Harp,sarebbe stato ucciso da agenti israeliani nel 1990). All’Italia, da lì a poco, sarebbero rimasti per un quindicennio sul groppone le fregate e le corvette costruite per la marina irachena (le fregate vennero poi incorporate dalla MMI come pattugliatori classe Bersagliere, le corvette vennero invece vendute a una marina dell’estremo oriente).
Quello che fece saltare il quadro di questa super profittevole relazione tra i Paesi occidentali e l’Iraq (problemi umanitari e stragi di curdi e oppositori vari compresi) fu il colpo di mano, tipico del gioco d’azzardo di Hitler, compiuto da Saddam Hussein con l’ “invasione” del Kuwait, territorio iracheno reso entità indipendente dal Regno Unito al momento del suo riflusso coloniale al fine di privare l’Iraq della sua breve e indispensabile costa (salvo la foce del Tigri – Eufrate o Shatt al Arab,che segna altresì la linea confinaria cruciale, Talweg, con la Persia, fonte di plurisecolari conflitti).
Con tale operazione egemonica, gli inglesi avevano altresì raggiunto questi strabilianti obiettivi prioritari: esercitare il diretto controllo dei ricchissimi pozzi petroliferi del piccolo stato fantoccio, stare stabilmente dietro la nuca di Bassora e di Baghdad, potere in qualsiasi momento interdire con immediatezza ogni imprevedibile futura mossa dei Paesi del Golfo e della penisola arabica, sino ad attaccare a tenaglia la Siria (di cui era stata potenza mandataria la Francia) dal Mediterraneo e dal deserto arabico.
Questo vantaggiosissimo quadro geopolitico, realizzato dagli inglesi a scapito degli iracheni e dei popoli limitrofi, divenne diretta e indiscussa eredità della superpotenza nata dopo il secondo conflitto mondiale, gli USA. E i frutti venero raccolti ripetutamente proprio a partire dalla guerra iracheno-persiana.
La “pazzia” dell’invasione del Kuwait ben fu raccolta da Israele (e come poteva non esserlo?), così come il precedente lungo logoramento dei suoi due maggiori potenziali avversari (solo sul piano declamatorio), giacché la prima guerra del Golfo avrebbe spuntato definitivamente le unghie di Saddam Hussein. Di questa prima guerra, finora i governanti americani non ci hanno mostrato doviziosi o sufficiente documenti filmati relativi alle battaglie con gli iracheni e a quanto è stato distrutto di uomini e di apprestamenti bellici dai loro bombardamenti. La stessa opinione pubblica statunitense e non pochi giornalisti e intellettuali rimasero a dir poco sconcertati sulla blindatura informativa messa in atto, cosa che poi è ancor più aumentata in relazione agli attacchi della seconda guerra del Golfo, nel decennio successivo. Alla faccia della decantata esaltazione della società aperta, del diritto all’accesso alle fonti d’informazione, della minima veridicità delle ricostruzioni ufficiali divulgate in assenza di condizioni di verificabilità.
Non può essere affatto cestinata l’altrettanto criminale conseguenza delle sanzioni imposte dall’ONU, in piena servitù dei più oltranzistici e inesistente “interessi” statunitensi e occidentali su tale piano, contro un irriducibile ex ottimo amico; sanzioni che provocarono impossibilità di cure mediche e decine di migliaia di morti in un popolo inerme immiserito da dieci anni di guerre. Gli ostacoli frapposti dal vinto Hussein ai controlli dell’ONU non possono e non potranno mai essere portati a valida giustificazione di quanto le Nazioni Unite, asservite alla logica dell’oligopolio economico più fanatico, determinarono con le scellerate sanzioni estese a viveri e medicinali. Ancora più grave, alla luce di quanto stiamo scrivendo, risulta quindi la breve operazione anglo-americana Desert Fox del 16 – 19 dicembre 1988.
A partire dagli antefatti di questi bombardamenti, la produzione di documenti falsi o falsificati da parte delle centrali d’intelligence americane e britanniche e dei vertici politici di Washington e di Londra – come è stato acclarato in sede politica e storica – non ebbe più alcun ritegno e alcun limite, specie in riferimento alle concrete possibilità irachene di produrre in brevissimo tempo di testate atomiche. Tanto da potere essere annoverata assieme alle azioni più clamorose realizzate in quegli anni e immediatamente prima e nei precedenti decenni dal KGB e, soprattutto, da Stalin,da Hitler, dal manipolatore e spregiudicato fanatico W. Churchill e dai servizi segreti inglesi, da precedenti presidenti americani e in particolare dal cinico F. D. Roosvelt con l’embargo petrolifero contro il Giappone prima e quindi con l’avere bloccato la reazione all’attacco giapponese a Pearl Harbour, il 7 dicembre 1941.
 
Dopo l’operazione Desert Fox (condannata anche dalla Francia) i leader politici degli USA e del Regno Unito non furono defenestrati dai loro ruoli e nessun alto personaggio fu mai colpito da provvedimenti. Nessuno, anche negli anni successivi,per quanto ci è dato a sapere, pagò per le operazioni di sistematica falsificazione internazionale e per l’aggressione armata compiute.
I due sistemi dell’ “eccellenza” del modello “liberaldemocratico” mostravano quanto fossero d’argilla i loro piedi e di come fosse possibile ingannare impunemente e totalmente gli altri poteri costituiti, i loro popoli, i loro soldati. Mostravano anche, già allora, come la “matura” opinione pubblica occidentale fosse completamente inerme davanti alle campagne di pubbliche bugie e di sistematica falsificazione messe in atto dai vertici del potere esecutivo (come era già accaduto in occasione dei bombardamenti sulla Serbia, basati e giustificati da false prove esibite alla Albright dai rappresentati della guerriglia della minoranza albanese, veri artefici dei primi massacri perpetrati in Kosovo). Una “matura” opinione pubblica e una stampa letteralmente in balìa del potere politico, in grado di assorbire in modo assolutamente prevalente e con imperturbabile indifferenza e incapacità critica quanto le veniva e le viene spacciato nei contenuti informativi delle notizie.
E’ doveroso chiedersi, in tutta serietà, quale sia stata la differenza di grado fra le imposizioni operate da Stalin e da Hitler in condizioni più pressanti per loro e quelle messe in atto dagli USA e dalla “relazione speciale” con Londra anche attraverso l’operato delle Nazioni Unite. E’ non meno doveroso chiedersi quali siano state allora e siano oggi le reali condizioni di autonomia e di impermeabilità della sfera di decisione e di comando dei capi dell’intelligence USA e dello stesso presidente, laddove si vide come tranquillamente un petroliere, nel caso G. Bush padre, poté diventare capo della CIA.
L’assoluta pretesa di trasparenza del modello statunitense ci si presente invece come un operare artatamente vischioso in cui l’opacità informativa e l’ottenebramento propagandistico tutto possono di fronte a pochi giornalisti che cercano la verità, come fu per lo scandalo Watergate. Infatti, è da chiedersi come come sia stato ancora possibile che un figlio di un petroliere diventato capo della Cia e poi capo degli USA possa essere diventato anche lui presidente degli USA pur essendo anch’egli un petroliere, pur essendo stato un alcoolista (condizione non scritta ma in realtà di assoluta non idoneità a poter esercitare un ruolo di comando, il primo ruolo di comando, anche se elettivo), pur essendo assiduo attivista di un gruppo fondamentalista religioso (leggi: integralista o, meglio, esclusivista) in una società e in un Paese di credenti ma innanzitutto apertamente laico?
Quali ulteriori tenebrosi interessi si sono saldarono sotto la presidenza di Bush figlio?
La seconda guerra del Golfo, voluta da questo nuovo insuperabile oltranzista se non irriducibilmente fanatico presidente, che utilizzava toni manichei e da crociata, che infettava i contesti politici con irruzioni di esaltati fideismi religiosi e dava inesausto impulso ai più sfrenati sviluppi del modello politico “imperiale” dei neo-con; questa seconda guerra del Golfo è venuta a segnare l’acme della inaudita, cieca violenza dell’oligopolio economico statunitense e della passiva, servile subalternità europea in ambiti in cui non era in alcun modo in gioco la sicurezza dei loro Paesi, già in precedenza salvati dalle bombe a neutroni fatte installare da Reagan con i loro vettori di lancio in Europa, cosa che aveva portato al collasso definitivo l’Unione Sovietica.
 
Non abbiamo difficoltà a ricordare a noi stessi che allora abbiamo avuto a scrivere di essere stati favorevoli all’intervento dell’Italia in questo secondo e ancor più ingiusto conflitto, inteso alla luce della più cruda realpolitik, quindi come condizione di necessità motivata dal non isolare troppo gli USA dall’Europa proprio nel momento in cui Germania e Francia ribadivano il no al loro intervento a fianco della “coalizione”. Fu un grave errore che si basava sul fatto di avere la possibilità di svolgere all’interno della coalizione un efficace ruolo di “consigliori” politico e di moderazione, un ruolo che avrebbe potuto svolgere Berlusconi. Non eravamo in realtà in grado di valutare l’adeguatezza o l’inadeguatezza del personaggio per tale ruolo, e non eravamo in grado di valutare in realtà la natura e l’affidabilità di Bush figlio. Il nostro era più un parere motivato e condizionato dal voler esprimere fiducia alla condizione che ritenevamo necessaria e atta a recuperare e conservare un dialogo europeo diretto con la presidenza americana. Insomma, un qualcosa che poteva richiamare la reale sostanza dell’intervento in guerra dell’Italia contro la Francia, per cui dietro le baldanzose ed esaltanti parole di Mussolini a piazza Venezia si celava la preoccupata esigenza francese non meno che italiana di contenere il ruolo di straripante vincitore di Hitler; e di potere esercitare condizioni di moderazione delle pretese hitleriane e del soddisfacimento della nuova revanche germanica (cose di cui beneficiarono in prima persona i francesi di origine ebrea nei territori occupati dagli italiani).
 
Non vi è dubbio alcuno che gli USA sotto la guida di Bush figlio abbiano toccato il fondo della credibilità internazionale, anche se fu imposto un lungo corso di implacabile guerra propagandistica dopo i fatti dell’11 settembre, su parte dei quali continuano a gravare fortissimi sospetti sulle modalità degli attacchi terroristici e sulla totale carenza reattiva dell’aviazione USA (in particolare, sull’aereo di linea che avrebbe colpito un fianco del Pentagono).
Nell’orgia di irrazionale esaltazione scatenata da Bush per conseguire una lotta senza quartiere contro Bin Laden (già “agente” americano in Afghanistan) e Al Qaeda e vendicare la strage delle due torri gemelle, ecco quindi organizzare con un lampo la nuova coalizione contro Saddam Hussein, che non c’entrava niente. In una mia analisi di quei giorni, ebbi a scrivere proprio: “Si legge Iraq, si scrive Iran”. Alla luce di questa corretta interpretazione, dunque, Bush e il suo establishment imposero un nuovo conflitto che veniva anteposto in modo assolutamente irrazionale e assurdo alla lotta al terrorismo di Al Qaeda e al voler assicurare alla giustizia (americana? internazionale?) i mandati delle stragi di New York. L’attacco alle basi afghane dei terroristi di Al Qaeda sarebbe invece avvenuto molto dopo, con il gran comodo degli strateghi di Bush e dei gradi speculatori dell’oro nero e dell’oro giallo, con un’altra coalizione internazionale. Che lasciava però completa mano libera alle ininterrotte azioni di coperture terroristiche da parte dell’IISS pachistano e di alcune monarchie del golfo persico; che, sin dalle prime battute sui campi di battaglia, scriveva pagine a dir poco equivoche, rilasciando senza colpo ferire i capi di Al Qaeda catturati.
I più recenti avvenimenti legati a parte degli aspetti delle “primavere” dei popoli nordafricani (Tunisia, Libia, Egitto) lasciano trasparire poche cose su cui ci possa essere ancora certezza. D’altronde, non abbiamo mai avuto l’intenzione di colpevolizzare ad ogni costo, per presunzione di colpa, la politica di potenza delle amministrazioni americane ma quanto esse hanno compiuto di deliberatamente ingiusto e quanto di improvvido ma in modo non deliberato esse hanno fatto, senza neppure cercare di porvi rimedio. In tal senso, il nervo scoperto rimane a proposito delle dichiarate e rivendicate responsabilità americane nel fare precipitare nel caos il regime di Bashar al Aassad e il popolo siriano in una sanguinosa guerra civile di cui non si vede il termine.
I più recenti fatti di cronaca sanguinosa legati alla sorti della Siria e alle sorti dell’Iraq e dei territori curdi dopo il ritiro delle forze della coalizione e degli USA in particolare, dimostrano come due guerre   mezzo a nulla siano valse e che anzi la realtà delle cose nella mezzaluna fertile e in tutta l’area circostante sia diventata ancora più grave e ingestibile.
E’ d’obbligo a questo punto chiedere se e perché la strategia USA e le due guerre e mezzo combattute si siano risolte in completi fallimenti, in semplici bolle di sapone. Sono stati fallimenti voluti? Sono valsi a rendere endemicamente destabilizzata questa cruciale regione? Perché mai gli USA tentano ancora di coinvolgere la NATO, e dunque gli europei, in un’ennesima coalizione, adesso contro questo fantoccio dell’Isis? Da dove sono sbucati questi miliziani dell’Isis, e cosa ha significato e significa il detto “ad ogni azione segue una reazione” a dir poco uguale e contraria? Cosa significa che della coalizione internazionale faranno parte una decina di Paesi arabi? Quali? Anche l’Arabia Saudita e il Qatar? E perché mai? Quali sono stati in tutti questi anni i rapporti segreti intrattenuti con questi loro interlocutori, e quali sono i reali finanziamenti e appoggi che essi hanno fornito e forniscono ai terroristi islamici di matrice sunnita? Come mai in particolare USA e Francia hanno rafforzato legami e vendite di armi con questi due Paesi e costruito nuove basi in Qatar? Arabia Saudita e Qatar: Paesi che rappresentano il reale corno del problema di questi ultimi anni nella penisola arabica e in tutto il Vicino Oriente. E ancora, in via affatto marginale ma comunque co-essenziale: vale la pena di rischiare una pace più o meno ampia e duratura in tutta questa regione nevralgica a costo di garantire le più criminali e incontrollabili derive sioniste? Quali sono le cointeressenze fra i circoli sionisti più fanatici e gli ideologi neo-con? Israele a questo punto è da considerare come un’effettiva entità federale degli USA, cosa che farebbe rabbrividire la politica americana ante Kissinger? E cosa ha da dire la politica dei numeri sparsi dell’Europa, in primis quella della relazione speciale con Washington, ossia quella inglese?
Trentaquattro anni di guerre in terra d’Iraq, cioè una durata che va dalla presa italiana di Tripoli alla seconda guerra mondiale. Trentaquattro anni di guerra in terra d’Iraq stanno a testimoniare in modo incontestabile la completa inaffidabilità e la totale non credibilità della politica americana e di quella europea.
 La seconda parte: “Disastri euroamericani e tragedie dei popoli. 2. Sincope europea: l’assurdo scontro russo-ucraino” sarà pubblicata nei prossimi giorni.