Clandestini, insediamenti abusivi e enclaves. Il collasso della vita urbana e della giustizia

09 Maro 2015

Mino Mini

Caduta della civiltà urbana /3

 

METASTASI

 

Ormai è un crescendo. I recenti casi di degrado urbano confermano, purtroppo, ciò che da anni il Borghese andava profetizzando nella generale insipienza: la paventata etnicizzazione degli spazi cittadini e la conseguente occupazione degli spazi interconnettivi della città hanno assunto il carattere di una metastasi urbana .
Ricordiamo a chi ci segue su queste pagine ed a chiarimento per chi ci legge per la prima volta, il senso dei termini che stiamo utilizzando, autocitandoci purtroppo, poiché gli stessi non fanno parte della vulgata corrente.
Etnicizzazione degli spazi cittadini. Un tempo gli spazi urbani erano … luoghi architettonicamente individuati in cui prendeva forma la sfera pubblica dove si metteva in relazione e si articolava in parole ,gesti e azioni, l’interesse individuale con quello collettivo. Si esprimeva la politica, insomma, quella naturale e diretta. … Oggi nelle periferie dei quartieri dormitorio lo spazio urbano è un’entità sconosciuta, se non in casi rarissimi . La periferia è divenuta aliena agli abitanti della stessa. … Rimangono gli spazi interconnettivi della città, quelli che tengono insieme i diversi nuclei abitativi.
Per capirci: ignoriamo, per astrazione, gli edifici nonché le strade veicolari ed i parcheggi che sono semplici strutture per il traffico e la sosta. Che cosa resta? Uno spazio connettivo, appunto: giardini, strade e piazze pedonali, marciapiedi, cortili in comunicazione libera con strade, luoghi non edificati o abbandonati etc.
Chi occupa questi spazi può dominare la città.
Sta avvenendo che gli spazi urbani disertati dai cittadini, fatta eccezione per alcune aree centrali, come gli altri spazi connettivi, vengano occupati, anche violentemente,dai cosiddetti «diversi» (extra comunitari, immigrati dell’eurozona, rom, integralisti religiosi, gruppi etnici etc.) che stanno invadendo diverse zone delle città… Il pericolo è che questi «diversi» si creino un loro spazio pubblico escludendone surrettiziamente o violentemente gli altri e rivendichino, con il tempo, la propria presenza nella sfera pubblica.. Si attuerebbe una frammentazione della città per effetto del formarsi di unità omogenee per etnia, religione, affiliazione od altro, ma differenziate rispetto alla popolazione urbana generando delle enclaves autogovernantesi – di fatto – con propri codici, proprie fedi (ad es. la Sharia per gli islamici), propri costumi. Si avrebbe, così, una etnicizzazione degli spazi cittadini ed un serio conflitto per la tutela dei diritti dei cittadini ospitanti poiché, se messi in     minoranza     dai «diversi», rischierebbero la deterritorializzazione.
Questo è quanto paventavamo anni fa. Da allora ad oggi, la realtà ha superato le fosche previsioni concretizzando l’etnicizzazione non solo degli spazi cittadini, ma di interi quartieri, edifici residenziali compresi.
‘Mbeh – direbbe il benpensante – che male ci sarebbe se ogni diversa etnia etnicizzazze una parte della città? Vi sarebbe il caos. Una città, essendo un organismo, è la materializzazione concreta della civiltà dei propri abitanti, ovvero del modo che hanno gli stessi di relazionarsi tra loro; in quanto tale è la “forma” secondo la quale si esprime l’individualità della comunità, ovvero ciò che differenzia una città dall’altra pur appartenendo alla stessa koiné. Chi non appartiene alla stessa, come è il caso delle diverse etnie, vive secondo altri costumi e altre idee di convivenza e si esprime attraverso altre “forme”. Uno spazio urbano vissuto secondo la shari’a, ad esempio, è diverso da quello di Zingaropoli o da quello vissuto da cinesi o da africani non musulmani. Ne consegue che ogni etnicizzazione da luogo a cellule estranee all’organismo urbano preesistente – il nostro, per capirci – intaccandolo con un processo infettivo o tumorale: una metastasi, appunto. Obbietterà il benpensante: ma la mondializzazione annulla le differenze e poi le città, specie quelle nuove, si assomigliano tutte. Vero se chiamiamo città quelle che, in realtà, sono periferie dove bipedi atomizzati, condizionati pavlovianamente a reagire a stimoli indotti per incrementare il consumo, impiegano il loro tempo a cercare di coniugare, mediante il movimento sempre più veloce di protesi motorizzate, i diversi momenti della loro esistenza sparsi in strutture disseminate nel territorio “urbano”. E nelle periferie, come abbiamo ricordato nella lunga citazione, gli spazi urbani sono ridotti o inesistenti mentre aumentano gli spazi interconnettivi che essendo poco o nulla frequentati oppure nascosti o parzialmente nascosti, possono diventare – e molto spesso lo diventano – luoghi di agguato, di stupro, di rapina, di omicidio, di spaccio e consumo di stupefacenti. Le cronache dei giornali trattano in continuazione dei fenomeni criminali sunnominati, ma senza individuare la relazione che lega gli stessi ai luoghi. Non intuiscono che la criminalità che vi si esercita è, in realtà, una guerra di conquista di un locus minoris resistentiae ovvero di punto debole dell’organismo urbano che presentando una diminuita o nulla capacità di difesa può favorire un processo di etnicizzazione.
Se analizzassimo, ad esempio, la recente vicenda del benzinaio Graziano Stacchio e quella collegata di Roberto Zancan con l’aiuto di Google Earth, ci accorgeremmo che la stessa si è svolta in un’area marginale di un paese di circa 3500 abitanti caratterizzato da un insediamento tipico delle periferie di tutta la conurbazione che va da Trieste a Torino, ma che trova il suo habitat più diffuso nel triveneto.
Case isolate disposte serialmente a dieci metri l’una dall’altra sui due lati delle strade con fronti edilizi distanti circa 21 metri. Nessuno spazio urbano, ma tanti spazi interconnettivi dove anche una delinquenza sporadica ha molte possibilità di farla franca. Nel caso in questione Zancan ha realizzato il suo Factory store di gioielleria in bordo alla via Riviera – SS 247 edificata su un solo lato e ai margini del nucleo abitato di Ponte di Nanto, proprio dove il paese si chiude a nord con via Pigafetta. Concepito e realizzato quando le condizioni di civile convivenza consentivano di lasciare incustodite le case senza nemmeno chiudere le porte a chiave è diventato oggi un vero e proprio invito alla rapina.
L’eroico Stacchio che l’ha sventata per difendere una povera giovane è il primo inconsapevole combattente – vittorioso, per ora – di una inciviltà urbana che, per i propri errori di concezione, sta aprendo le porte all’etnicizzazione degli spazi cittadini ed al nuovo medioevo adveniente.
Come dicevamo in apertura il fenomeno della etnicizzazione si è esteso a comprendere interi quartieri cittadini edifici residenziali compresi. A Milano non c’è soltanto China town consolidatasi per acquisto pianificato di interi immobili; anche i rom si sono creati il loro quartiere iniziando la realizzazione di Zingaropoli che, qualche mese fa, avevamo solo ipotizzato dato il sostegno che questa variegata etnia poteva vantare da parte della Open Society Foundation di George Soros. Sempre a Milano la etnicizzazione degli spazi pubblici viene esercitata clamorosamente mediante l’occupazione temporanea di piazze per la recita in comune di una delle cinque preghiere giornaliere. Non abbiamo ancora un quartiere musulmano data la varietà di sette che fanno parte dell’Islam, ma intanto l’emiro del Qatar, Hamad al-Thani, ha acquistato il 100% di Porta Nuova, il quartiere di nuova edificazione realizzato nella zona dell’Expo. Non si può affermare trattarsi di etnicizzazione degli spazi cittadini, ma data la vicinanza di Hamad al-Thani ai Fratelli musulmani e all’estremismo islamico, non ci sarebbe da meravigliarsi se, in un futuro molto prossimo,anche qualche frangia del variegato mondo sunnita, sostenuta finanziariamente, realizzazze la propria etnicizzazione.
Le città italiane, piccole e grandi, non sono l’Alessandria dei Tolomei dove tre etnie diverse sottostavano all’imperio di una dominante. L’impero era la concezione in grado di rendere la città un organismo di scala superiore rispetto alle sue componenti etniche. La nostra attuale fase culturale è in declino ed incapace di unificare, a scala superiore, alcunché.
I quesiti che un simile fenomeno ci pone sono,allora, i seguenti: può controllarsi un simile fenomeno di etnicizzazione? Può contrastarsi la conquista violenta degli spazi interconnettivi messa in atto dall’etnia rom e simili e quella surrettizia di certe frange islamiche? Occorre che il governo stanzi fondi più consistenti per la sicurezza, che faccia ricorso all’esercito per pattugliare le strade o che?
Allo stato delle cose riteniamo che occorra molto di più di tutto questo. Occorre una vera rivoluzione: antropologica e culturale, prima che politica, che porti a capire come le attuali periferie stiano trasformandosi in insediamenti servili abitate da gente che non ha più valori di riferimento per cui battersi, che non ha più fedi in cui credere, indifferenti davanti ad ogni offesa verso la loro dignità proni soltanto al soddisfacimento di bisogni indotti. Una rivoluzione che partendo dall’abbandono delle logiche che hanno portato alle periferie ricostruisca la città.