Bagdad e Vicino Oriente Antico: la distruzione delle guerre occidentali e i traffici internazionali di opere rubate

10 Febbraio 2014

ripubblicato il 30 Marzo 2015

Fonti: ArcipelagoMilano

Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org
 
 

Archiviostorico.info

 

Digilander.libero.it

www.wsws.org/articles/2003/apr2003/loot-a19.shtmlwww.rense.com/general37/impl.htm

Ann Talbot

 
 
 
 
 

 La nostra memoria e la nostra coscienza civile sono in mano a dei cinici e spregevoli  politici – gli esportatori della democrazia – che ci manipolano incessantemente senza limiti

 I misfatti che compiono gli esclusivisti islamici, dalle vallate dell’Afghanistan e da quelle irachene a quelle di altre contrade del Vicino e Medio Oriente non cancellano le responsabilità dirette degli occidentali, in primis degli americani, nei misfatti compiuti nei grandi musei e nelle grandi aree archeologiche, soprattutto irachene, per quel che possiamo ad oggi sapere. Distruzioni e commerci illeciti  che sono innanzitutto misfatti politici. Responsabilità politica dei governi che hanno posto in essere le operazioni belliche, vuoi per la loro assoluta imprevidenza e cecità vuoi per la loro manifesta e voluta noncuranza vuoi per il loro lasciar fare al commercio illegale internazionale dei reperti archeologici e delle opere d’arte, che, guarda caso, ha nelle città occidentali e soprattutto americane i centri di maggiore rilevanza. Va riconosciuto ai governi e agli archeologi italiani la profusione di lavoro svolto per rimediare a così tanti disastri, ma ciò costituisce purtroppo poca cosa nell’oceano delle distruzioni e asportazioni. –  Domenico Cambareri

 

TESORI RUBATI.

Il saccheggio del patrimonio artistico nel Medio Oriente

Opera di Paolo Brusacco

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Mercoledì 12, ore 18,15, il libro verrà presentato a Palazzo Sormani, sala del Grechetto, via F. Sforza 7, Milano, con Giulio Giorello e Paolo Maralla (Carabiniere del Nucleo TPC nell’operazione “Antica Babilonia” nel 2003, II Guerra del Golfo) a cura di Unione Lettori Italiani Milano

Di grande interesse il saggio di Paolo Brusasco, docente di Archeologia del Vicino Oriente Antico all’Università di Genova perché, prendendo spunto dal “crimine del secolo” quale il saccheggio selvaggio e la parziale distruzione dell’Irak Museum a Bagdad nel 2003, durante la seconda Guerra del Golfo, scatenata da Bush contro Saddam Hussein, pone una domanda cruciale “A chi appartiene il passato?”. E se si può affermare che il patrimonio artistico di un paese attiene alla identità della sua gente, ne esprime il pensiero e la sua storia, ne perpetua la memoria, è possibile anche affermare che la cancellazione della memoria di quel passato, mediante la distruzione o la sistematica depredazione di quel patrimonio, attraverso insediamenti militari nei pressi di fragili siti archeologici, come quelli americani attorno all’antica città di Ur, o il contrabbando internazionale di antichi reperti, configuri un crimine premeditato?
Questo è ciò che pensa l’autore, che nelle sue pagine ci racconta con passione e chiarezza le vicende che da anni affliggono i beni artistici dell’Irak, oggetto di rapina da parte di una filiera internazionale di contrabbando organizzato, che agisce su due fronti: l’uno parte dal contadino iracheno, “tombarolo” per necessità di sopravvivenza, passa per intermediari locali che affidano i proventi degli scavi a mafie internazionali, che immettono nel mercato clandestino le opere d’arte trafugate, che finiscono nelle aste mondiali per la delizia di collezionisti facoltosi. Attualmente il traffico illecito passa dal web, più sicuro per la privacy.
L’altro fronte è il saccheggio sistematico di musei e siti archeologici, perpetrato in occasione di guerre,come la II guerra del Golfo, nonostante Trattati internazionali quali la Convenzione di Ginevra del 1936 e quella dell’Unesco del 1970 dichiarino che non solo il paese aggredito è tenuto a mettere in sicurezza i suoi beni artistici, ma lo stesso invasore deve attivarsi per la salvaguardia di musei e ospedali .
Nulla di tutto questo è avvenuto in Irak, l’antica Mesopotamia, collocata nella feconda pianura tra il Tigri e l’Eufrate,”culla della civiltà”, con i Sumeri, gli Accadi, gli Assiri, i Babilonesi. Qui è nata l’agricoltura 7000 anni fa, qui le prime città- stato, la scrittura cuneiforme su tavolette di argilla, i primi dizionari sumeri-accadici e babilonese-aramaico, testimoni di un cosmopolitismo diffuso già allora; il primo codice delle leggi di Hammurabi nella seconda metà del 1700 a.C. Con Nabucadonosor nel VII a.C., Babilonia diventa capitale di un impero che va a dal Golfo Persico al Mediterraneo. Testimonianza indelebile la Porta di Ishtar e la Via delle Processioni con i suoi leoni in squillanti mattoni gialli smaltati, da cento anni al Museo di Berlino.
Quando in quel terribile 10 aprile del 2003 le truppe americane entrarono a Bagdad, si consumò uno dei più drammatici sfregi alla storia millenaria dell’Irak, perché nei tre giorni successivi nessuno seppe o volle difendere da ladri improvvisati o peggio altamente specializzati, i tesori contenuti nell’Irak Museum, nelle gallerie, al piano terra e persino nei caveau sotterranei, conniventi gli stessi custodi.
E così sparirono, sotto gli occhi “distratti” degli alleati e dello stesso SBAH, l’autorità museale, la Dama di Uruk, la Monna Lisa di Nimrud, i monili del Cimitero reale di Ur, i gioielli delle Regine assire di Nimrud, non inferiori per valore al tesoro di Tutankamon, migliaia di tavolette cuneiformi e sigilli cilindrici, tesori poi in parte ritrovati in luoghi improbabili, grazie a soffiate o a ricompense. Dei 15.000 reperti catalogati (a fronte di migliaia ancora innominati) solo un terzo è stato recuperato, grazie anche a una fattiva collaborazione con l’Interpol, e alle dogane di tutto il mondo.
La creazione di data base, con migliaia di fotografie immesse in rete, da parte di missioni inglesi, americane, italiane, quali i Carabinieri italiani del Nucleo TPC (Tutela Patrimonio Culturale), hanno facilitato l’opera. Alcuni ritengono anzi che l’attentato di Nassirya del 2003, dove morirono 17 nostri carabinieri, fu organizzato per vendetta contro l’efficienza italiana nella missione Antica Babilonia, che comprendeva persino l’uso di elicotteri per sorprendere i ladri all’opera nei siti archeologici.
Resta comunque sorprendente il constatare che gli alleati invasori, pur attestati subito fuori della porta di entrata del’Irak Museo, nulla fecero per fermare quello scempio di opere d’arte. Ecco allora il dubbio adombrato all’inizio che ciò fosse frutto di una precisa volontà politica, volta a cancellare la memoria di un popolo per fini di sottomissione.
L’Irak Museum di Bagdad, fondato nel 1924 dalla diplomatica inglese Gertrude Bell, sesto museo per importanza nel mondo, con i suoi quasi 12.000 m2 di estensione è diventato dunque “la metafora dell’Irak” e costituisce un modello per fatti affini, nelle turbolente aree della Tunisia, Egitto, Siria, dopo le Primavere arabe.
Ripercorrere, con l’autore, la sua storia travagliata aiuta a comprendere l’ideologia sottesa alla sua conduzione: quella orientalista eurocentrica sotto il colonialismo inglese che vedeva nella Mesopotamia la “culla della civiltà occidentale” tralasciando il profondo lascito islamico; quella propagandistica socialisteggiante sotto Saddam Hussein, che ricorreva alla memoria della Mesopotamia antica come “antidoto alla divisione etnico religiosa tra sunniti, sciti e curdi”; quella della reggenza sciita subentrata a Saddam che nel Museo vedeva un simbolo della dittatura saddamiana sunnita e dunque profanabile a scopo turistico. Perché si sa. la storia non è “magistra vitae”.

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Paolo Brusasco

Tesori rubati Il saccheggio del patrimonio artistico nel Medio Oriente

  IL LIBRO – A dieci anni dalla seconda guerra del Golfo, la distruzione e il saccheggio dell’Iraq Museum di Baghdad e di molti siti sumerici, babilonesi e assiri dell’Iraq rappresentano un elemento emblematico del tormentato rapporto tra popoli e identità culturale. L’appropriazione del passalo di intere nazioni rischia quindi di portare alla cancellazione di una storia millenaria. Perché musei e siti archeologici sono stati violati? E per quale ragione dalla Tunisia alla Libia, dall’Egitto alla Siria la primavera araba si è trasformata in un autunno dei beni culturali? Nell’affrontare queste complesse vicende, l’autore offre una disamina approfondita dei recenti saccheggi del patrimonio artistico nel Medio Oriente e traccia un quadro inquietante del commercio internazionale dei tesori d’arte, evidenziando le dinamiche sociali e politiche dei vari contesti e le problematiche di tutela.
  DAL TESTO – “L’assalto ai musei di antichità dell’Iraq, in special modo quello decisamente violento e profanatore occorso a Baghdad durante la seconda guerra del Golfo del 2003, è stato un avvenimento così traumatico da assumere una valenza simbolica universale, palesemente allusiva, da un lato, di interessi e visioni contrastanti del patrimonio culturale che si radicano nella recente storia di questo martoriato paese, ma altresì emblematica, d’altro canto, delle dinamiche sottese da più generali valutazioni di ordine etico valide in ogni contesto bellico o di crisi politica. Per questo motivo pare interessante presentare al lettore il saccheggio dell’Iraq Museum sotto una nuova chiave di lettura: una disamina degli avvenimenti che, partendo da dati concreti e oggettivi – il corso degli eventi come narrato da testimoni oculari -, ne trasponga il significato su un piano rappresentativo, di valenza generale, a ché la lezione del “caso Iraq” possa essere utile ad anticipare e prevenire, se possibile, dinamiche similari in altri contesti e luoghi, specialmente del Medio Oriente. Tanto più che proprio in questa regione il sottile vento della “primavera araba” si sta trasformando in un ciclone furioso che annichilisce il patrimonio culturale di paesi quali Siria, Egitto, Tunisia e Libia. “Non si dovrebbe, a rigore, parlare di “crimine del secolo” – come lo definisce George Youkhanna -, non solo non sapendo cosa ci potrà riservare in futuro il corso della storia, ma soprattutto perché non possiamo dimenticare la strage terroristica delle Twin Towers dell’11 settembre 2001, così come le oltre 160.000 vittime, l’80% delle quali civili, cadute dal 2003 a oggi nel conflitto che ha insanguinato l’Iraq […]. Dopo la ritirata dell’esercito statunitense, nel dicembre 2011, forse è tempo di tirare le somme sull’eredità che gli americani si sono lasciati alle spalle, e, in particolare, sulla perdurante ingerenza delle tensioni etnico-confessionali nella contrastata gestione del patrimonio archeologico del paese, di cui l’Iraq Museum è massima testimonianza. Queste problematiche in ultima analisi sono riconducibili alla identificazione, ovvero al mancato riconoscimento, nel valore del retaggio culturale incarnato dal museo stesso da parte dei vari attori (stranieri e iracheni) che hanno operato sulla “scena del crimine” durante i saccheggi.”
  L’AUTORE – Paolo Brusasco insegna Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico presso la Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. Supervisore di importanti scavi in Iraq, in Siria e nel Mediterraneo, ha pubblicato The Archaeology of Verbal and Nonverbal Meaning. Mesopotamian Domestic Architecture and its Textual Dimension (Archaeopress, Oxford 2007), Babilonia. All’origine del mito (Cortina, Milano 2012) e, per Bruno Mondadori, La Mesopotamia prima dell’Islam (Milano 2008).
   INDICE DELL’OPERA – Introduzione – Ringraziamenti – 1. L’Iraq Museum di Baghdad: viaggio nel tempo (Aprile 2003: il disastro ha inizio – Una storia travagliata: dal museo di Gertrude Bell a Saddam – I tesori dell’Iraq Museum: una visita simbolica) – 2. Il saccheggio dell’Iraq Museum di Baghdad. Recenti sviluppi e problemi (“Il crimine del secolo” – Tesori in pericolo: la guerra si avvicina – Chi ha rubato i tesori dell’Iraq Museum? – Alla ricerca dei tesori perduti: misure di tutela – L’intervento degli Stati Uniti – Database fotografici e stime dei danni – Il balletto delle aperture: sviluppi recenti) – 3. A chi appartiene il passato? (Nuovi orizzonti nella tutela dei beni culturali – L’Iraq e i beni culturali tra passato e presente – Le leggi di tutela internazionali) – 4. Ur e Babilonia: basi militari sul passato (“La città di Abramo” e “la madre delle prostitute” sotto attacco – La base aerea di Tallil nella sumerica Ur) – 5. Siti violati. Carabinieri italiani e British Museum in Iraq (La distruzione dei siti sumerico-babilonesi e assiri – Il giardino nell’Eden: la missione “Antica Babilonia” dei Carabinieri italiani ad An-Nasiriyah – La ricognizione del British Museum nell’Iraq meridionale – Danni ai siti assiri e sviluppo urbanistico incontrollato) – 6. Primavera araba e autunno dei beni culturali. I casi di Siria ed Egitto («Aleppo è più che in pericolo: Aleppo è distrutta» – La distruzione del patrimonio artistico della Siria – Rivoluzione e patrimonio artistico in Egitto) – 7. Il mercato di antichità mesopotamiche sul web: problemi di tutela e legalità, di Paolo Brusasco e Roberta Boero (Dalle case d’asta ai siti Internet – Il mercato nel 2010 – Recenti sviluppi nel 2011-2012) – 8. Iraq 2100: visioni di un “im”-probabile futuro (Memoria e vita – Iraq 2100) – Fonti e crediti fotografici – Bibliografia – Indice dei nomi – Indice dei luoghi
Il saccheggio del patrimonio artistico nel Medio Oriente
Bruno Mondadori, sett. 2013
pp.178, euro 18
U.S. MNEMOCIDE WAR MACHINE – LA DIU.S. MNEMOCIDE WAR MACHINE – LA DISTRUZIONE DELLA STORIA IRAQENASTRUZIONE DELLA STORIA IRAQENAU.S. MNEMOCIDE WAR MACHINE – LA DISTRUZIONE DELLA STORIAU.S

 

www.wsws.org/articles/2003/apr2003/loot-a19.shtmlwww.rense.com/general37/impl.htm

U.S. IMPLICATED IN PLANNED THEFT IRAQI ANTIQUITIES Ann Talbot – 19/4/03 “USA implicati nel furto preordinato dei reperti storici iraqeni”

U.S. MNEMOCIDE WAR MACHINE

LA DISTRUZIONE DELLA STORIA IRACHENA

Ann Talbot

museo di baghdad

marteau7927.wordpress.com

 

Man mano che emerge la reale entità del saccheggio del Museo Nazionale di Baghdad, appare chiaro che non si è trattato affatto di qualcosa di accidentale. E’ stato piuttosto il risultato di un progetto pianificato da tempo, per far bottino dei tesori storico-artistici conservati nei musei iraqeni. Se il Museo di Baghdad fosse stato messo a sacco da abitanti dei quartieri poveri, ciò sarebbe già stato abbastanza criminale, e la responsabilità sarebbe rimasta sulle spalle dell’Amministrazione USA, che si è rifiutata, nonostante ripetuti appelli, di provvedere alla sicurezza degli edifici culturali di Baghdad. Tuttavia, non appena il personale del Museo è stato in grado di comunicare con l’esterno, è risultato chiaro che il saccheggio non era casuale. Era opera di persone che sapevano cosa cercare e che erano venute con le attrezzature speciali adatte a svolgere il lavoro.Il Dr. Donny George del Museo di Baghdad ha detto: “Credo che fossero persone che sapevano quello che volevano. Hanno lasciato dov’era la copia dell’Obelisco Nero di Salmanassar, passando oltre. Questo significa che dovevano essere specialisti. Non hanno toccato le copie.” Parlando a Channel Four, ha affermato -rivolgendosi al Dr. John Curtis del British Museum- che tra i pezzi rubati ci sono anche il vaso sacro di Warka, un vaso d’oro di 5000 anni fa trovato a Ur, una statua accadica ed una assira. Il Dr. Curtis ha ribattuto dicendo che “è come rubare la Monna Lisa”. Solo dopo una settimana dal saccheggio il Dr. George è stato in grado di allertare gli archeologi di tutto il mondo su ciò che era stato rubato. Le autorità militari americane non hanno fatto alcun tentativo per impedire che gli oggetti lasciassero Baghdad, né hanno promosso una ricerca a livello internazionale dei reperti rubati. La riluttanza statunitense ad agire non può essere spiegata dalla mancanza di avvertimento. Archeologi professionisti e storici dell’arte avevano già detto in anticipo al Pentagono del pericolo di saccheggio. Il Dr. Irving Finkel del British Museum ha dichiarato a Channel Four che il saccheggio era “assolutamente prevedibile e avrebbe potuto essere facilmente fermato”. Il Museo è stato vittima di un assalto preordinato con cura. I ladri che hanno preso i materiali più preziosi sono arrivati equipaggiati di attrezzature per sollevare gli oggetti più pesanti, che il personale stesso del museo non avrebbe potuto rimuovere dalle sale, e avevano le chiavi delle camere blindate dove erano sistemati gli oggetti più preziosi. Un crimine del genere non veniva commesso dai tempi della sistematica spoliazione nazista dei musei d’Europa. La rivista online statunitense Business Week ripete la tesi della premeditazione e della cospirazione nel sacco dei musei iraqeni in un articolo del 17/4 intitolato “Erano già pronti i ladri d’antichità?”, con sottotitolo “Sapevano ciò che cercavano perché i mercanti d’arte avevano ordinato i pezzi più importanti in anticipo”. Il Business Week riporta: “E’ stato come se gli esecutori stessero aspettando la caduta di Baghdad per muoversi. G. J. Stein, professore d’archeologia all’Università di Chicago, che ha condotto scavi in Iraq per decenni, è convinto che i mercanti avevano ordinato i pezzi in anticipo. “Stavano cercando esemplari molto specifici, sapevano dove guardare”. Fin dalla precedente Guerra del Golfo del 1991 antichi reperti iraqeni sono apparsi sul mercato provenienti dai musei che furono saccheggiati allora e da siti archeologici spianati con i bulldozer. In questi siti le statue sono state tagliate in pezzi per poter essere esportate. La razzia dell’eredità culturale iraqena ha eccitato l’appetito dei collezionisti, i quali sono già responsabili per i saccheggi di siti in Estremo Oriente, America Latina, Italia. Con la recessione dei mercati globali, le opere d’arte e le antichità sono considerate sempre più un sicuro investimento, andando ad alimentare un già vasto traffico sotterraneo. Il commercio illegale di antichità è altrettanto lucrativo del traffico di droga, a cui peraltro è sovente associato. Secondo un rapporto del 2001 dal titolo “Il commercio illecito di antichità: la distruzione del patrimonio archeologico mondiale”, Londra e New York sono i principali mercati di questo commercio. La Svizzera, che consente l’ottenimento di un titolo legale ad ogni opera d’arte che rimanga sul suo territorio per almeno 5 anni, è un punto di transito cruciale. Il Prof. Lord Renfrew of Kaimsthorn, direttore dell’istituto archeologico di Cambridge, ha dichiarato in una conferenza stampa di presentazione del suddetto rapporto che “il commercio continua perché il governo è alla mercè dei mercanti d’arte, che vogliono mantenere ininterrotto il flusso di reperti. E’ uno scandalo.” All’arrivo delle notizie sull’ultimo saccheggio, il governo laburista di Blair ha organizzato una conferenza stampa nel British Museum, in cui il Segretario agli Affari Culturali ha promesso sostegno ufficiale alla protezione dei reperti iraqeni. Intanto, mentre parlava, la Biblioteca Nazionale iraqena veniva saccheggiata. L’edificio, sede di rarissime copie del Corano vecchie di secoli ed altri esempi di calligrafia islamica, così come insostituibili documenti storici dell’epoca ottomana, è stato dato alle fiamme e un numero indicibile di testi è stato distrutto. Il giornalista Robert Fisk, che vide le fiamme, si precipitò dai marines USA nel tentativo di salvare parte della collezione, ma loro si rifiutarono di dare aiuto. Fisk ha scritto sull’Independent: “ho dato la mappa del posto, il nome preciso in arabo e in inglese, ho detto che si vedeva il fumo da cinque km di distanza e ci sarebbero voluti solo 5 minuti per arrivare là. Mezz’ora dopo non c’era neppure un americano sul posto e le fiamme si alzavano nell’aria per 70 metri.” Dopo il destino del Museo di Baghdad, si può concludere che il saccheggio e il rogo della Biblioteca è servito a mascherare un crimine più sistematico, in cui selezionati manoscritti sono stati rubati per ricchi collezionisti. In questo quadro si spiega la connivenza nel rogo dei libri – un’altra pratica nazista.
IL RUOLO DELL’ACCP Dopo questi due devastanti attacchi alla cultura, l’attenzione si è focalizzata sulle attività dell’ACCP (American Council for Cultural Policy). Anche la stampa inglese, che lavora sotto alcune delle più dure leggi antidiffamazione del mondo, ha riportato che l’ACCP può aver influenzato la linea del governo USA in merito agli oggetti d’arte iraqeni. L’ACCP è stato costituito nel 2001 da un gruppo di ricchi collezionisti d’arte, per far pressione contro la Legge statunitense di Regolamentazione della Proprietà Culturale, che tenta di mettere regole al mercato dell’arte, fermando il flusso di beni rubati verso gli Stati Uniti. L’ACCP ha difeso in giudizio il mercante d’arte F.Schultz, poi dichiarato colpevole in forza della Legge sulla Proprietà Nazionale rubata; la medesima associazione si oppone all’uso in giudizio della sentenza del 1977 “U.S. contro McClain” come precedente legale nei casi riguardanti il possesso e il trasferimento di oggetti d’arte rubati. Nel caso McClain un giudice statunitense diede responso favorevole al fatto che tutta l’arte e i monili precolombiani portati negli USA senza l’espresso consenso del Governo messicano fossero proprietà rubata. La legge messicana considera tutti i reperti archeologici come Proprietà dello Stato e ne vieta l’esportazione. Il Messico è solo uno di molti paesi che hanno questo tipo di legislazione. Ashton Hawkins, uno dei maggiori avvocati d’arte e fondatore dell’ACCP, considera questo tipo di legislazione “protezionista”. Ha condannato i paesi “fonte” archeologicamente ricchi per il tentativo di proteggere con tali misure i loro musei e siti archeologici, lamentando che sotto l’amministrazione Clinton tali politiche protezioniste sono arrivate a dare impronta alla politica del governo USA. Hawkins ha gli occhi puntati ai grandi musei mediorientali. Ha auspicato che le antichità egiziane conservate al Museo del Cairo vengano disperse: “Vorrei proporre” ha detto, “che il Museo del Cairo offrisse l’opportunità ai musei di tutto il mondo di acquisire fino a 50 oggetti ciascuno per le loro collezioni. In cambio i musei esteri darebbero un cospicuo contributo per la costruzione del nuovo museo ai piedi dell’altipiano di Giza, un milione di dollari ciascuno per esempio.” Il meeting inaugurale dell’ACCP ha avuto luogo nella casa sulla 5°Strada di Guido Goldman, un collezionista di tessili uzbeki. Tra i presenti c’era Arthur Houghton, l’ex curatore del Museo Getty di Malibu in California, che è notoriamente un espositore di opere di dubbia provenienza. Hawkins stesso è andato in pensione nel 2000 dalla carica di vicepresidente del consiglio d’amministrazione del Metropolitan Museum of Art di New York, museo che -secondo il suo precedente direttore Thomas Hoving- conserva molti manufatti saccheggiati da tombe etrusche. Prima che la guerra cominciasse, membri dell’ACCP hanno avuto un incontro con i funzionari del Pentagono, in cui hanno dichiarato la loro grande preoccupazione per le antichità iraqene. Cosa questa preoccupazione significhi è evidente dalle osservazioni di William Pearlstein, il tesoriere del gruppo, che descrive le leggi iraqene sul patrimonio archeologico come “protezioniste”. L’ACCP nega di volere un cambiamento nelle leggi iraqene, ma i saccheggi del museo e della biblioteca di Baghdad avranno come effetto concreto di aggirare questo problema, se la Legge statunitense sul furto d’oggetti d’arte e materiale archeologico verrà modificata. Il Prof. John Merryman della Scuola Giuridica di Stanford e membro dell’ACCP, ha auspicato una “applicazione internazionale selettiva dei controlli sull’esportazione” nei tribunali statunitensi. In altre parole, sarebbe perfettamente legittimo importare oggetti trafugati a Baghdad se un tribunale USA sceglie di non riconoscere la legislazione iraqena. Merryman ha stabilito i principi dell’organizzazione in un testo del 1998, in cui sosteneva che il fatto che un oggetto artistico fosse stato rubato non era in sé un impedimento all’importazione legale negli Stati Uniti. E nella sua rivendicazione si spinge anche oltre: “L’esistenza di un mercato preserva gli oggetti d’arte, che altrimenti potrebbero essere distrutti o trascurati, fornendo loro un valore di mercato. Nel quadro di un commercio legittimo e aperto, gli oggetti possono spostarsi verso le persone e le istituzioni che li valutano di più, e che per tale ragione sono più adatti a prendersene cura”. Questa è un’argomentazione autogiustificativa che puzza molto di ipocrisia. I ricchi collezionisti possono ora additare il caos per le strade di Baghdad, il saccheggio del museo e il rogo della biblioteca come prova che gli Iraqeni, troppo poveri o troppo ignoranti, sono incapaci o non interessati a prendersi cura dei loro tesori artistici, tesori che sarebbero dunque meglio protetti nei musei Americani o nelle collezioni private. Le idee dell’ACCP rappresentano gli interessi di settori particolarmente rapaci della classe dirigente USA, che operano sul principio che tutto – persino oggetti di incalcolabile valore artistico o scientifico – è definito dal suo “valore di mercato”. Loro intendono il prezzo, naturalmente, dato che il vero valore degli oggetti trafugati dal Museo di Baghdad e dalla Biblioteca Nazionale Iraqena è incalcolabile. Questi sono letteralmente gente che capisce IL PREZZO DI TUTTO E IL VALORE DI NIENTE. L’auspicio che il mercato determini il possesso e l’accesso alle opere d’arte e ai reperti archeologici metterebbe questi oggetti nelle mani di una facoltosa minoranza, e renderebbe la possibilità di pubblico accesso dipendente dalla buona volontà dei ricchi possessori. Nonostante il fatto che molti membri dell’ACCP abbiano fatto parte di istituzioni pubbliche, il loro intento è profondamente contrario alla pubblica diffusione dell’arte e dell’archeologia. Stanno tentando non solo di cambiare le leggi degli altri paesi, ma lavorano contro le tradizioni più progressiste della società americana, che hanno sempre premiato i musei pubblici.
UNA TRADIZIONE SCIENTIFICA Lo sviluppo dei musei pubblici è avvenuto di pari passo con lo sviluppo di una comprensione scientifica dei manufatti archeologici e delle società che li hanno prodotti. I musei a finanziamento pubblico hanno rappresentato una rottura con la vecchia tradizione di tesaurizzazione privata. Le esposizioni avevano lo scopo di mostrare gli oggetti del passato in modo scientifico e razionale. L’accumulo di reperti archeologici in mani private tende a disgregare il lavoro scientifico, dato che il materiale si disperde ed è perciò difficile da catalogare, senza contare che molto di esso rimane sconosciuto agli studiosi del campo specifico. I musei pubblici sono tali non solo per il loro finanziamento e per il fatto che aprano le sale ai visitatori, ma soprattutto nel senso che rendono disponibile a tutti la conoscenza, cioè qualcosa che è riconosciuto come requisito primario del processo scientifico, fin dalla rivoluzione scientifica del 17° secolo. Uno degli effetti del saccheggio del museo di Baghdad è stata la distruzione del catalogo cartaceo del museo e dei relativi dati digitali sul patrimonio conservato nelle sale del museo. Questo ha reso non solo più difficile il tracciamento degli oggetti, ma ha anche minato alla base intere generazioni di paziente lavoro archeologico. Distruggere un simile catalogo significa rendere privata una collezione, sia in senso simbolico che concreto, dato che il suo contenuto diventa sconosciuto al mondo esterno. Mentre gli oggetti più importanti sono ben conosciuti a livello internazionale, i dati contenuti in un museo vanno molto oltre queste spettacolari opere d’arte. Includono tutti i ritrovamenti minori degli scavi archeologici, che in sé stessi non sono appariscenti, ma se studiati tutti insieme producono l’immagine di una società che non potrebbe essere ottenuta altrimenti solo dalle opere d’arte. Gli archeologi passano il loro tempo a setacciare i detriti delle civiltà passate, anche in senso letterale. Possono passare al setaccio tonnellate di terra cercando ali di scarabeo o semi. Antiche latrine e mucchi di rifiuti producono ricchezza conoscitiva. Ciò che viene gettato o scartato fornisce il contesto dei reperti di grandi templi, palazzi e tombe reali. Un recente libro sulla Mesopotamia di Petr Charvat contiene immagini di pezzi d’argilla con impronte di stuoie di giunco intrecciate. Questa non è roba che può abbellire la teca di un collezionista, ma rivela importanti informazioni sulle capacità artigiane e sul modo di vita degli antichi abitanti della Mesopotamia.
UN DURO COLPO ALLA COMUNITA’ SCIENTIFICA MONDIALE Il Museo di Baghdad era più di un semplice luogo d’esposizione di manufatti. Tutti gli scavi condotti in Iraq da squadre internazionali di archeologi vi erano riportati. Il museo possedeva un database di conoscenza accessibile a tutti i ricercatori del mondo, ed era il centro di una vasta rete cooperativa. Il saccheggio e la distruzione di tutti i dati sono un colpo per la comunità internazionale degli studiosi. Questo minaccia di riportare indietro l’orologio a più di 150 anni fa, prima dell’inizio dell’archeologia scientifica in Mesopotamia. I primi scavi non furono “scientifici” per gli standards attuali, gli archeologi stavano ancora imparando la propria disciplina attraverso un processo per prove ed errori. Una delle lezioni più elementari di questo processo d’apprendimento fu che IL CONTESTO è tutto in archeologia. Un manufatto può raccontare la sua intera storia solo se è conosciuto il contesto in cui è stato ritrovato. Per contesto si intende la posizione fisica dell’oggetto nel terreno, la sua relazione con altri manufatti, e gli strati di terreno intorno. Da questa informazione è possibile determinare la datazione relativa di un oggetto e considerevoli altre informazioni sul suo uso pratico e sul significato sociale. Strappato dal suo contesto, perde molto del suo significato. Persino la più bella opera d’arte può essere meglio apprezzata quando il suo contesto e le condizioni sociali del suo creatore sono conosciute. In senso lato, la comprensione del contesto di un oggetto significa comprendere le sue relazioni con l’intero sito in cui è stato trovato, con altri siti vicini, e con l’ambiente storico di cui fa parte. Se i sentimenti nazionalistici vengono spesso evocati per giustificare il mantenimento dei reperti nel loro paese d’origine, in realtà la ragione scientifica più importante per farlo è che il contesto del manufatto viene preservato proprio mantenendolo vicino a dove è stato ritrovato. E’ ancora possibile vedere nell’Iraq attuale case costruite con metodi simili a quelli usati dagli antichi costruttori, e vedere barche costruite con modelli simili. Il vero significato dei reperti mesopotamici può essere apprezzato solo guardandoli nel contesto dello straordinario paesaggio dell’Iraq moderno, un paese dove ogni collina che si alza sulla pianura è stata originata da strati e strati successivi di mattoni di fango che testimoniano intere generazioni di occupazione del sito. L’amministratore coloniale americano, il generale in pensione Jay Garner, ha tentato di cooptare l’impatto emotivo del paesaggio per i suoi scopi politici, tenendo i suoi meeting sotto una grande tenda eretta presso la ziggurat di Ur di 4000 anni fa, che serviva da piattaforma del tempio del dio lunare Nanna. Ma permettendo il saccheggio del museo di Baghdad, le autorità statunitensi hanno mostrato chiaramente di non avere alcun riguardo per la vera importanza dell’Iraq nella storia umana. Quando i cartografi medievali europei disegnarono nel 13° secolo la mappa del mondo, misero l’Asia in testa perché per loro era il continente più importante. C’erano le terre della Bibbia. Gerusalemme era al centro della loro visione del mondo, e poco oltre si stendeva Babilonia, il luogo della prigionia ebraica, la Torre di Babele e la casa di Abramo nella città di Ur. Nella mente degli europei l’immagine biblica del mondo era così scolpita che i primi scavatori di antichi siti in questa regione cercarono una conferma della Bibbia. Persino nel 20° secolo Leonard Woolley si riferiva ai suoi scavi a Warka con il nome biblico di Ur dei Caldei. Eppure il materiale che venne fuori dagli scavi scosse la visione biblica del mondo. Una importante scoperta fu che la storia narrata nella Bibbia di Noè e del Diluvio ebbe origine in Mesopotamia molto prima che la Bibbia venisse scritta. Quando la scrittura cuneiforme di migliaia di tavolette d’argilla fu decifrata, ci si rese conto che molte civiltà complesse ed avanzate erano esistite in Mesopotamia, e di una antichità mai immaginata prima. Il vero quadro della storia apparve chiaro solo con la messa a punto delle tecniche di datazione al carbonio14. Nella seconda metà del 20° secolo ci si rese conto che l’agricoltura stanziale in Medioriente risaliva a 11 millenni prima di Cristo.
LA CULLA DELLA CIVILTA’ [..] (N.d.T.:ho omesso alcune note storiche per non allungare troppo la lettura, vedere articolo originale) In quell’epoca in Iraq lo sviluppo delle tecniche di irrigazione aumentò di molto la produttività agricola, il surplus della quale a sua volta favorì l’emergere della prima civiltà urbana del pianeta, proprio in quella terra che oggi le forze militari congiunte di USA e Gran Bretagna stanno riducendo a un deserto. [..] Grazie alla produttività di questo sistema di irrigazione in Mesopotamia si sono succedute molte civiltà. Persino i Greci erano in soggezione davanti alle conquiste intellettuali della Mesopotamia. Uno dei ministeri che sono stati sistematicamente distrutti nei recenti giorni di razzia, è stato il Ministero dell’Irrigazione. Potremmo dire che con questo atto l’amministrazione USA vuole ricondurre l’Iraq ai secoli bui, tranne il fatto che l’Iraq non ha mai conosciuto secoli bui (nel senso in cui l’Europa li ha conosciuti). Gli imperi potevano succedersi, nascere e cadere, ma finchè il sistema di irrigazione continuava a funzionare la terra tra i due fiumi poteva produrre più cibo di quanto ne abbisognasse. Attaccando il sistema di irrigazione, l’amministrazione USA ha causato più danno in poche settimane di quanto abbia fatto ogni altro invasore nella storia. Il significato culturale dell’Iraq non ebbe fine con la caduta dell’impero persiano. Attraverso le epoche buie dell’Europa, rimase un porto sicuro di cultura, preservando -sotto i Califfi Abbasidi- i testi classici ormai persi in Occidente. L’erudizione e il valore scientifico islamico si rivelarono vitali per il riemergere della filosofia aristotelica in Europa e per il Rinascimento. La misura reale delle perdite si rivelerà pienamente quando verrà fatto il conto degli esemplari alla Biblioteca Nazionale. Ciò che è già chiaro fin da ora invece è che un enorme crimine è stato commesso, non solo contro il popolo iraqeno, ma CONTRO L’UMANITA’ INTERA, dato che la storia dell’umanità è stata attaccata. Per questa ragione il sacco di Baghdad segna un punto significativo nella traiettoria dell’amministrazione Bush del suo tentativo di sprofondare il pianeta nella nuova barbarie, che cancellerebbe tutto ciò che la storia ci mostra del passato.
 
 

THE SACKING OF IRAQ’S MUSEUM: U.S. WAGES WAR AGAINST CULTURE AND HISTORY 16 aprileby Patrick Martin

THE DAY OF THE JACKALS – disturbing questions about the looting of antiquities from the Iraqi National Museum in Baghdad 19 aprile by Rod Liddle

LOOTING IS WHAT THIS WAR IS ALL ABOUT 24 aprile

HOW AND WHY THE U.S. ENCOURAGED LOOTING IN IRAQ 15 aprile

HANG BLACK BANNERS MOURNING CULTURAL LOSS 21 aprile

WHEN A MUSEUM FALLS VICTIM TO WAR 23 aprile

U.S. ACCUSED OF PLANS TO LOOT IRAQI ANTIQUITIES Liam McDougall

IRAQ AND RUIN 24 aprile

LIBERATION AND LOOTING IN IRAQ 14 aprile

IRAQ’S LOOTED ARTEFACTS BEGIN TO EMERGE 23 Aprile

THE RAPE OF HISTORY – THE WAR ON CIVILIZATIONS 19 aprile

MNEMOCIDE

o su siti italiani

BAGHDAD, SACCHEGGI PREMEDITATI Predoni con arnesi professionali e la mappa dei pezzi migliori: tutto pianificato? JOHN ANDREW MANISCO da IL MANIFESTO, 25/4/03

WWW. IRAQSVENDESI. COM Saccheggiato il patrimonio archeologico delle mille e una notte I beni meno preziosi sono finiti in Internet: per acquistarli bastano 20 dollari di Umberto Rapetto da AVVENIMENTI n.16 del 25/4/03

LA DENUNCIA DEGLI ARCHEOLOGI CONTRO L’INDIFFERENZA AMERICANA AI SACCHEGGI La Stampa – 19/4/03

BOTTINO DI GUERRA

IRAQ ANNO ZERO LA MEMORIA BRUCIATA NERONE A BAGHDAD

IRAQ: MONITORAGGIO DEL PATRIMONIO CULTURALE Facoltà di Studi Arabo-Islamici dell’Università L’Orientale di Napoli

BAGHDAD CHIAMA TORINO