Mini: quali le prospettive dell’Isis alla luce degli obiettivi di produttori, registi e scenografi ?

02 Dicembre 2015

Mino Mini

 

 

 

 

 

A ciascuno il suo

IL MONDO NUOVO

 

 

 

         Ormai sul web, dopo la strage dell’13 novembre, trovi di tutto ed il contrario di tutto e sarebbe divertente, da cinici “apoti” (1) quali riteniamo di essere seguendo l’insegnamento di Prezzolini, compilare un’antologia delle castronerie che capita di leggere. A volte, però, si rimane davvero di stucco. Colgo, a mo’ d’esempio, questa – segnalatami – postata da Davide Bruni: << Uno degli storici italiani più importanti, Franco Cardini, arriva a giustificare tutto ciò che fanno gli islamici…La distruzione degli antichi monumenti di epoca romana e mesopotamica, a suo dire, sarebbe da spiegarsi con il fatto che quelli distrutti, agli occhi dei musulmani, rappresenterebbero il ricordo di antiche oppressioni! La cosa ha imbarazzato addirittura il conduttore cattocomunista di RAI Storia, il quale è intervenuto dicendo: “Eppure quella è roba che non risale al colonialismo…” Cardini ha insistito: “Si ma ricordano oppressioni del passato…”>>
         Non siamo in grado di confermare se quanto affermato da Cardini sia stato riportato correttamente e nel giusto contesto del discorso che si andava svolgendo in RAI Storia, ma prendendo per buona la citazione del Bruni verrebbe fatto di rilevare la cecità dello storico non già per l’evidente errore cronologico tra l’età delle opere distrutte e l’avvento dell’Islam, bensì per il significato da attribuire al gesto iconoclasta compiuto dai fondamentalisti dell’ISIS. Eppure Cardini, che si professa cattolico, e quindi cristiano, dovrebbe ricordare la distruzione di tutti i templi, sculture ed opere d’arte pagane da parte dei cristiani una volta giunti al potere. Dovrebbe, quale insigne medievista, conoscere l’editto di Teodosio del 346 che stabiliva chiunque adorasse templi pagani, chiunque compisse sacrifici, fosse dannato a morte “gladio ultore sternatur” (Cod. Theod. XVI,tit.10.4); dovrebbe conoscere la Vita di Edesio di Eunapio che attribuisce al vescovo Teofilo la distruzione del Tempio di Serapide in Alessandria e quella della gloriosa biblioteca annessa ricca di 200.000 volumi; ricordare quanto ebbe a lamentare Rutilio Namaziano nel vedere “… la potenza cristiana ( pestis contagia I,397) e l’impero patteggiare con i barbari, e questi, col pretesto della nuova religione, devastare, saccheggiare, distruggere i templi antichi, proscrivere gli antichi riti.” E potremmo continuare a lungo con i vari santi distruttori e fomentatori di stragi. Dovrebbe riconoscere in questo fenomeno universale l’esigenza di chi, intollerante come tutti i monoteismi, non accetta l’esistenza di altre concezioni della divinità diverse dalla propria e pertanto deve distruggere ogni segno che possa far ricordare o pensare religioni altre.
* * *
           Che l’ISIS, come il cristianesimo delle origini, sia intollerante non sussistono dubbi e vale per esso la stessa esigenza di distruzione di tutto ciò che contrasta la sua visione: uomini e cose. E’ pur vero che l’ISIS non è una nuova religione monoteista essendo una espressione sunnita-salafita – deviata o meno – di un Islam che conta circa un miliardo e mezzo di fedeli, ma ha ciò che il resto dell’Islam, reputato corrotto dalla Fitna, ovvero dal << disordine religioso >>, non ha più: un telos, un fine, un obiettivo. Riprende una visione apocalittica ed escatologica che risale alle origini dell’Islam ed alle parole del Profeta Maometto, per creare un mondo nuovo allo scopo di formare il nuovo esercito islamico di “guerrieri sacri” che dovrà scontrarsi con l’esercito dei romani – leggi “crociati” – a Dabiq per sconfiggere l’Anticristo ed avviare la Fine dei tempi.
         Dabiq è una località del nord della Siria – vedi caso – e il suo nome connota la rivista online dell’Isis nella copertina della quale comparve l’ormai celebre drappo nero sull’obelisco di piazza S.Pietro.
         Per dar vita al mondo nuovo ed al nuovo esercito islamico occorre, però, dar vita ad una organizzazione statuale ed è proprio ciò che Abū Bakr al-Baghdādi annuncia il 29 giugno 2014 chiamando IS il nuovo Stato Islamico proclamandosi Califfo di tutti i musulmani. Il nuovo Stato – si noti bene – non si estende solo sui territori conquistati in Irak ed in Siria, ma si proietta ambiziosamente sulle antiche regioni islamiche dello Sham (Levante), di Hegiaz (Penisola arabica) e del Maghreb (Nord Africa) dove, giurando fedeltà al Califfo si potranno formare le wilāya ovvero le provincie del nuovo Stato islamico. Punta ad essere, per i sunniti di tutto il mondo, un riferimento ed un obiettivo ideale come è stato Israele per gli ebrei.
         Ce n’è abbastanza per infiammare lo spirito dei musulmani emarginati o che si sentono tali; per offrire un’identità a chi vive nell’alienazione delle periferie urbane; per offrire un’opportunità di incutere terrore a chi cova una psicopatia latente. Ce n’è abbastanza per offrire un riscatto a tutti costoro arruolandoli per condurre la jihad, sacralizzandoli.
         Vien da chiedersi chi sia la mente raffinata – orientale o occidentale – che ha pensato e portato a realizzazione un piano così brillante capace di far partorire il terrore dal grembo multietnico delle società occidentali. Chi sia ad averlo elevato a sostegno di un mondo nuovo nella forma di uno Stato aperto, senza confini stabili perché proteso ad acquisire ogni antico e moderno territorio islamico.
         Non certo Ibrāhīm ibn ‘Awwād ibn Ibrāhīm al-Badrī al-Husaynī al-Qurashī al-Samarrāī alias il Califfo Abū Bakr al-Baghdādi sul cui passato si addensa l’ombra del sospetto.(2) Tra le tante voci del web sul suo conto ce n’è una, attribuita al servizio segreto iraniano, secondo la quale la vera e piena identità del Califfo, conosciuto con il nome di Abu Bakr Al Baghdadi sarebbe quella di Elliott Shimon, di genitori ebrei, agente segreto del Mossad. Un abilissimo infiltrato con il compito di entrare nel cuore militare e civile dei paesi che vengono dichiarati come una minaccia per Israele, al fine di distruggerli per facilitare, successivamente, l’affermazione dello stato sionista – il Grande Israele – su tutta l’area del Medio Oriente. Venendo dall’Iran sciita, grande nemico dell’ISIS sunnita, la rivelazione rientra nel novero della disinformazione e della propaganda anti israeliana anche se il ruolo di Israele nella vicenda dell’ISIS è tutt’altro che chiaro.
         A dar retta allo Spiegel, il vero artefice del successo dell’ISIS sarebbe Samir Abd Muhammad al-Khlifawi, ex colonnello dell’intelligence dell’aeronautica di Saddam Hussein. Conosciuto con il nome di Haji Bakr, avrebbe utilizzato le tecniche del mukhabarat per elaborare il piano meticoloso che ha portato al controllo del nord della Siria da parte dell’ISIS. Ciò lo qualificherebbe come notevole stratega e abile tattico, ma non come “mente” ideatrice dello Stato Islamico proiettato alla riconquista dei perduti territori islamici mediante la jihad apocalittica ed il terrore e con la formazione delle wilāya, le “provincie” dello Stato Islamico.
         Questa visione territoriale in progress ovvero in formazione continua, somiglia troppo a quella che, quindici anni fa, il premier di Ankara, Ahmet Davutoğlu aveva elaborato in forma di dottrina politica, quando era docente di Relazioni internazionali. E’ conosciuta come Profondità strategica turca ( Stratejik Derilink. Türkiye’nin Uluslararasi Konumu) e l’estensore ha individuato il concetto di “bacino terrestre di prossimità” ( Balcani-Medio Oriente- Caucaso) come ordinamento spaziale. Come dice il prof. Giorgio Del Zanna dell’università Cattolica << Sfrutta l’idea del turanismo, ovvero le affinità culturali, religiose e linguistiche che ci sono tra la Turchia e le popolazioni di queste aree, frutto dell’antica dominazione ottomana. Alle volte sono richiami mitizzati, più presenti nelle menti dei dirigenti turchi che nella realtà, ma vengono incentivati e sostenuti da una penetrazione soft power (economica, religiosa e culturale). Tale dottrina in Occidente è definita neo-ottomanesimo >>. Come avemmo modo di dire su queste pagine <<Dovrebbe far riflettere il fatto che la Turchia, oltre ad essere il “terminale” occidentale del Turan è, soprattutto, un grande paese mediterraneo nato per   sostituzione di un fatiscente impero bizantino da parte di popoli provenienti dall’Asia. Intelligentemente, trovandosi in un territorio in cui vigeva un ordinamento spaziale di impronta romano-bizantina, seppe mantenerne i caratteri ereditando anche la visione imperiale che lo supportava. L’impero ottomano si trovò, a dominare la riva sud del Mediterraneo, la riva orientale e, in parte, la riva adriatica dei Balcani. >> (3) Tutti territori di cui l’ISIS ambisce ad ottenere l’adesione allo Stato Islamico per trasformarli in wilāya, ovvero provincie. E poiché la politica turca nei confronti dell’ISIS è quanto di più equivoco si possa immaginare non sarebbe insensato ipotizzare che lo stesso sia il “giocatore esterno”, l’inconsapevole realizzatore dell’allargamento del “bacino terrestre di prossimità” a comprendere la sponda nordafricana del Mediterraneo. soprattutto, un grande paese mediterraneo nato per   sostituzione di un fatiscente impero bizantino da parte di popoli provenienti dall’Asia. Intelligentemente, trovandosi in un territorio in cui vigeva un ordinamento spaziale di impronta romano-bisantina, seppe mantenerne i caratteri ereditando anche la visione imperiale che lo supportava. L’impero ottomano si trovò, a dominare la riva sud del Mediterraneo, la riva orientale e, in parte, la riva adriatica dei Balcani.>> (3)Tutti territori di cui l’ISIS ambisce ad ottenere l’adesione allo Stato Islamico per trasformarli in wilāya, ovvero provincie. E poiché la politica turca nei confronti dell’ISIS è quanto di più equivoco si possa immaginare non sarebbe insensato ipotizzare che lo stesso sia il “giocatore esterno”, l’inconsapevole realizzatore dell’allargamento del “bacino terrestre di prossimità” a comprendere la sponda nordafricana del Mediterraneo.
         A questo punto sorge spontanea una domanda: e noi?
         Noi Italia, noi Europa, noi popoli del “je suis Paris”, del politicamente corretto, del multiculturalismo incosciente, dell’immigrazione buonista, noi che abbiamo assunto come valori il rifiuto del sacro, l’oblio dell’essere, l’egoismo individualista, la dissoluzione della famiglia, la teoria del gender,il relativismo, il nichilismo e via elencando, come ci rapporteremo nei confronti di questi “guerrieri sacri” di una religione monoteista, pronti a morire e a dare la morte e la distruzione per il loro credo? Li bolleremo come terroristi e contrapporremo loro la cultura del gay pride dal momento che la cultura che fece grande la nostra civiltà è negletta?
         Bombarderemo i loro insediamenti in Siria, certo, ma dovremo fare altrettanto nelle loro wilāya in nord e centro Africa e ciononostante non estirperemo il germe incubato nel ventre dell’Europa. Possiamo chiamarli terroristi, ma non sono le Brigate Rosse, molto più acculturate, né la Rote Armee Fraktion.
         Questi sono credenti.

 

Note del testo
1.) Quelli che non la bevono
2) Il drappo sull’obelisco
3) Occident Express