Investimenti urgenti senza sfruttamenti finanziari per abbattere la bomba migratoria. Emancipando le donne in primis

 

19 Novembre 2018

Enea Franza

 

 

 

 

Il tempo ci corre contro. Per una svolta planetaria. 

Investire nel dividendo demografico

 

 

«Quando nel mondo del credito si parla di “finanza etica”, generalmente si assiste all’esposizione del seguente concetto: se il denaro è utilizzato per finanziare attività “sociali”, il suo uso è “etico”.
Ovviamente si presume che in caso contrario non lo sia, o lo sia meno. Dietro questa concezione c’è sicuramente una sfumatura ideologica che antepone l’“etica del capitalismo” (in sostanza il profitto) a un’altra “etica”: il denaro per qualcos’altro (un’ideologia, una religione, un’opinione ecc.).
La ragione, comprensibilmente, risiede nell’attitudine di una parte del mondo imprenditoriale a interpretare il capitalismo come una corsa selvaggia al denaro, dimenticando purtroppo che i valori sui quali si fonda sono anche altri. Da qui la comprensibile reazione, che pone l’accento sulla “finalità” nell’uso del denaro quale elemento discriminante per giudicare l’“eticità” dell’investitore e dell’investimento».
Così si esprime Jacopo Schettini Gherardini, in un bell’articolo sul “Il Sole 24Ore”, del marzo 2002, in tema di Finanza e di Etica, centrando a mio modo di vedere l’essenza del dibattito sulla finanza etica. In effetti, i vari dibattiti sulla finanza etica trovano pochi punti di convergenza. Tranne, infatti, la generale condivisione sul contrasto alla speculazione finanziaria, alla finanza derivata, alla lotta ai paradisi fiscali, c’è una profonda divisione sui temi etici e, dunque, sugli interventi concreti. Da una parte c’è chi privilegia, infatti, il tema ecologico, chi invece quello della ricerca scientifica chi, infine, il tema delle nuove tecnologie.
La questione più generale dell’impatto sulla società della finanza e del calcolo del costo sociale dell’investimento è stato il filo conduttore di un bel convegno (a cui sono stato chiamato ad intervenire con una relazione) organizzato dalla Fondazione Einaudi, con il patrocinio di Unicredit, tenutosi lo scorso 15 novembre presso l’Università LUISS a Villa Blanc.
L’occasione è stata propizia per poter discutere di una delle questioni sulle quali la finanza, a mio modo di vedere, potrebbe trovare il modo per redimersi e avere occasione di ampio guadagno: l’emergenza demografica.
I dati statistici stimano l’attuale popolazione mondiale in oltre 7,5 Miliardi; l’esplosione demografica ha, peraltro, la caratteristica di amplificare la differenziazione tra le razze umane presenti, e è destinata a generare un mondo sempre più diverso, se si tiene conto della diversa fecondità tra i paesi occidentali, africani o dell’estremo oriente (tanto per fare un esempio, mentre il numero dei figli per l’Italia è pari a 1,3 per il Niger è pari a 6,5).
La questione da affrontare parte dalla constatazione che le analisi statistiche condotte da qualificati istituti di analisi e ricerca demografica evidenziano che oltre 214 milioni di gravidanze sono indesiderate e, quindi, subite. E’ evidente che su tale aspetto molto si debba fare e che il denaro (tanto denaro) sia necessario per fare corretta informazione, educazione e prevenzione per la pianificazione familiare.
Al fine di evitare fin dall’inizio equivoci su quello di cui si sta parlando, chiarisco da subito che per pianificazione familiare non può e non deve assolutamente intendersi una politica che non metta al centro della scelta di procreare la donna e la relativa famiglia; dunque, politiche di pianificazione familiare come quelle, ad esempio, adottate dal governo cinese fino a qualche mese addietro (adesso addolcite) non rientrano certamente nella tema che si sta affrontando. E’ doveroso precisare che le scelte che decisero i cinesi, cioè in pratica di “figli zero”, che erano state precedute di qualche decennio da quelle di Indira Ghandi per l’India, sono state dettate per contenere esplosioni demografiche del tutto inimmaginabili in Europa e nel resto del pianeta.
Qui, invece, la denatalità ha colpito per cause e per motivi del tutto diversi se non opposti, e oggi ne vediamo gli esiti concreti, che erano stati già antevisti dai demografi oltre venti anni fa.
Bene, dopo questa doverosa premessa, ci accingiamo a spiegare perché, dal nostro punto di vista, sia conveniente per gli Stati e per i privati investire nei paesi africani e dell’estremo oriente nella pianificazione famigliare.
Le motivazioni economiche sono essenzialmente due.
La prima è sotto l’evidenza di tutti: l’enorme povertà di alcuni paesi finisce per colpire anche le economie occidentali, come dimostrano le carovane di poveri che dal Sud del mondo migrano in cerca di opportunità verso i paesi più ricchi. Il fenomeno è evidente  su entrambi i lati dell’atlantico ( il Mediterraneo e la rotta balcanica da un lato ed il Messico dall’altro sono i due esempi più attuali e conosciuti dagli europei ); ci sono poi quelli dell’estremo oriente, con l’invasione demografica cinese del tetto del Mondo, il Tibet, e le pressioni sul già esplosivo subcontinente indiano, dove tanti cinesi ed indocinesi bussano. Oltre all’Australia, che ha assunto da diversi anni una posizione più che draconiana: circondata e difesa dagli oceani, rifornisce di acqua e viveri in mare aperto la moltitudine delle piccole imbarcazioni indocinesi e le rimanda indietro. Chi mai si è chiesto quanti di esseri viventi di queste molteplici popolazioni non si è saputo più nulla e sono scomparsi fra i flutti degli oceani ?
La crescita demografica abnorme ha determinato un problema insostenibile per i paesi poveri, che non sono capaci di affrontare e di sostenere il costo di mantenimento dei propri cittadini.
Il loro sviluppo, infatti, collassa sotto il peso della crescita demografica; e non resta altra scelta per quella gente che l’emigrazione. Oltre che del debito internazionale.
Facciamo un semplice esempio che ci aiuti a comprendere la complessità del fenomeno e, dunque, supponiamo di avere una popolazione di 3 milioni persone; con l’attuale tasso di natalità ogni giorno nascerebbero 330 bambini, e quindi, solo per l’istruzione necessitano almeno 10 nuove classi e almeno 20 insegnanti, senza contare medici ed infermieri; si aggiungono i problemi di urbanizzazione. La nostra ipotetica popolazione in pochi anni raddoppia e, ne segue lo spostamento verso i centri urbani dove è garantita acqua e elettricità. Necessiterà poi più cibo, con conseguente maggiore sfruttamento dei terreni e delle risorse.
Dunque, i costi sono enormi ed è interesse quindi, su scala globale, di tutti intervenire con investimenti che permettano di affrontare l’emergenza.
Un’altra ragione – di cui in realtà si sente molto poco parlare – è che investire nei paesi poveri può portare profitto. La chiave di tutto è nel c.d. dividendo demografico: nella sostanza, se si riesce a controllare ed a ridurre il tasso di natalità di una nazione, si apre una finestra in cui il totale delle persone attive diventa superiore al totale di quelle non produttive – costituite prevalentemente da bambini, donne gravide e anziani.
Con le condizioni opportune, la diminuzione del tasso di natalità e l’aumento dei lavoratori attivi sul totale della popolazione, determina un aumento della produttività ed un periodo di straordinaria crescita economica. Risultato: si può far denaro, molto denaro, investendo nel c.d. terzo mondo.
Analizziamo quali sono le condizioni perché tale “miracolo” possa realizzarsi.
Prima condizione: gli Stati in via di sviluppo devono dirottare parte gli investimenti, ora destinati alla realizzazione di grandi infrastrutture, al “family planning”. Tale programma andrebbe coordinato ed affiancato dalle istituzioni finanziarie, con mirati e seri investimenti e piani di rientro collegati alla crescita economica del paese destinatario del programma d’intervento, atti a non creare condizioni di sfruttamento addizionale del quarto e del terzo mondo.
I programmi andrebbero a finanziarie, in primo luogo, un aspetto assolutamente centrale degli interventi: i costi d’educazione ad una gravidanza responsabile, da attuare attraverso interventi di distribuzione di mezzi contraccettivi e con l’assistenza diretta, nonché un piano di intervento sanitario e sociale di assistenza delle donne gravide e cura dei nascituri. Tale intervento da solo rende circa 2,5 dollari per ogni dollaro speso. In effetti, le indagini condotte in alcuni paesi Africani (Tanzania ed Uganda) hanno dimostrato che oltre l’85% delle donne desidera mezzi contraccettivi e subisce la gravidanza, con una stima addirittura di circa 40% di gravidanze non desiderate. Le nascite, poi le malattie delle mamme e dei bimbi, determinano un costo addizionale tragico a carico della collettività.
Con tali premesse, le famiglie con un numero più limitato di figli (anche più sani) e le donne più sane e più istruite concepiranno in età più adulta e, dunque, con maggiori possibilità di occupazione.
Il risparmio dei costi prosegue nel tempo secondo una dinamica di avanzamento ininterrotto e via via più rapido trasformandosi in effettiva emancipazione femminile e rivoluzione sanitaria, sociale e culturale e, sul piani finanziario, addirittura in ricavi. La massa monetaria prodotta dal maggiore lavoro e dalle minori passività pubbliche in tutti questi paesi allontanerebbe l’attuale incontenibile pressione migratoria in quanto il fattore primario, l’incontrollata crescita demografica, verrebbe domato dalla decisa, prolungata e forte contrazione della natalità.
Dimostrazioni ed esempi opposti la Tunisia e la Corea del Sud che evidenziano dividendi demografici ben diversi: mentre infatti nella Corea del Sud, la rapidità dell’intervento ha generato un altro profitto, cosi non può dirsi per la Tunisia, dove la decrescita demografica lenta non ha permesso di cogliere appieno il beneficio di una maggiore forza lavoro.
Per far ciò sono necessarie, tuttavia, ulteriori pre-condizioni: una nuova governance europea e internazionale, che riesca ad attivare una distribuzione adeguata della ricchezza, investimenti in formazione ed un intervento di family planning “veloce” e diffuso. Una governance, soprattutto, non rissosa e determinata.